Diritti

Gli attentati affondano le radici nella morte della politica

24 Novembre 2015

Le ricostruzioni degli ultimi giorni hanno dissolto la percezione archetipica del terrorista di matrice islamica, abitualmente rappresentato come una persona che si mantiene a distanza di sicurezza dall’alcol, dalle sostanze stupefacenti e da stili di viti edonistici e smodati. Si tratta, forse, di un lieve avanzamento nella lettura di processi e fenomeni che ben poco hanno da spartire con la religione. La chiave di volta è essenzialmente politica. Le società occidentali sono state attraversate da una progressiva e generalizzata depoliticizzazione: corpi intermedi come partiti e sindacati esauriscono la propria carica propulsiva e cambiano radicalmente configurazione. I punti di riferimento tradizionali scompaiono e – soprattutto nelle realtà periferiche – circoli, associazioni e sezioni vengono rimpiazzati da strutture ricreative.

Molti giornalisti e analisti stanno scoprendo ora dinamiche che, in realtà, sono già consolidate da tempo. Per chi vive nella marginalità il primo (e spesso unico) contatto con istanze di cambiamento o ribellismo avviene sul web. Un mare magnum in cui i “cattivi maestri” del fanatismo si rivelano i più abili nuotatori, esercitando un richiamo particolarmente forte per le seconde e terze generazioni di immigrati. Un nesso quasi automatico, dato che proprio questi gruppi sono quelli che patiscono maggiormente la mancanza di lavoro e che accedono faticosamente al welfare. E, nei casi in cui la condizione economica non è così allarmante, si manifestano comunque consistenti difficoltà a inserirsi nel tessuto sociale di appartenenza.

Nelle città europee sono sempre più numerose le aree che assumono la forma di articolazioni aliene dal resto del corpo urbano. Ed è in questi autentici serbatoi di rabbia e insoddisfazione che attecchiscono le sirene dei reclutatori. Si tratta di comunicatori abilissimi a mettere a nudo le contraddizioni in cui versano tanti giovani, puntando sul fascino di azioni antisistema e promettendo un futuro costellato di denaro, benessere e fratellanza in territori lontani. Ragazzi cresciuti in Occidente tra risentimento ed esclusione sognano così comunità descritte come paradisiache in cui poter addestrarsi all’insegna di uno spirito comunitario, per poi ritornare a colpire quelle società che per anni li hanno isolati.

La religione è indubbiamente il collante che permette di costruire reti e di risvegliare dall’apatia quell’insoddisfazione che non ha mai trovato collocazione all’interno di una dialettica politica, se non per scontrarsi con logiche paternalistiche o securitarie. Posizionare il fulcro del dibattito nel campo della religione rischia però di alimentare ulteriormente l’incisività dei predicatori perché distoglie l’attenzione dall’origine del corto circuito: l’assenza di riferimenti e risposte sul piano politico (welfare) che, invece, sterilizzerebbero il terreno su cui oggi investono i canali di Daesh.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.