Diritti

Giornalismo, un mondo in pericolo, il Messico è il paese più pericoloso

11 Novembre 2019

Ogni anno ci troviamo a fare i conti con il numero, impietoso, di giornalisti rimasti uccisi o imprigionati nelle varie aree del mondo.
Quest’anno Reporters Senza Frontiere informa che tra cronisti, collaboratori e operatori, siamo arrivati a 47 uccisioni, di cui 10 solamente in Messico, mentre la Cina si conferma essere il paese in cui la libertà di informare viene repressa con maggior vigore.

“L’odio verso i giornalisti proferito e persino sostenuto da leader politici, religiosi o uomini d’affari senza scrupoli ha conseguenze drammatiche sul terreno, e si traduce in un aumento preoccupante delle violazioni”, sostiene Christophe Deloire, segretario generale di Rsf, che mette sotto accusa anche i social: “Portano una pesante responsabilità in questo senso, questi sentimenti di odio legittimano la violenza e indeboliscono, ogni giorno di più, il giornalismo e con esso la democrazia”.

Negli ultimi tempi il biennio 2017/2018 è stato probabilmente il più infausto per quanto riguarda l’informazione anche in un paese “democratico” come gli USA. Secondo la ONG Article 19 dopo l’avvento di Trump alla Casa Bianca il lavoro dei giornalisti americani è ostacolato da attacchi privati, persecuzione ai whistleblower (fonti anonime) e dalla crescente difficoltà ad accedere alcune informazioni. Attacchi a giornali avvengono anche in Europa da diversi leader politici, insomma la situazione sta cambiando e sta coinvolgendo anche il mondo occidentale, soprattutto nell’area Visegrad e in quella della Turchia, dove i governi applicano un serrato controllo dei media cercando di soffocare le voci critiche.
I giornalisti occidentali raccontano anche dalle loro precarie condizioni di sicurezza le storie di tante piccole persone che si muovono e corrono in un mondo davvero strano per loro, inseguiti da maledizioni religiose, da scomuniche pastorali o da diritti costituzionali o semplicemente da odio.

Il Messico continua ad essere il paese dell’America con il maggior numero di giornalisti morti. Le zone più calde sono quelle a sud di Veracruz e Oaxaca, dove è segnalata anche una forte corruzione tra crimine, politici e polizia locale, dopo la morte di Ruben Espinosa a Città del Messico, a dir la verità, Reporter senza frontiere, dice che non esiste più un posto sicuro in Messico.

Quattro blogger hanno perso la vita in Bangladesh negli ultimi anni. Ansar al-Islam, una poco rassicurante sezione locale di Al-Quaeda e Ansarullah Bangla Team (nome assolutamente da film) si sono presi la briga di dichiarare le proprie responsabilità nelle uccisioni, alcuni dei loro aderenti sono stati arrestati e condannati.

Hindiya Mohamed è invece una delle ultime vittime in Somalia. Lo scorso 3 dicembre 2015 Hindiya stava accendendo la sua auto per recarsi al lavoro, come ogni giorno, quando improvvisamente, assieme al boato di un ordigno, tutto saltò in aria in pochissimi secondi. Non è la prima volta che accadde una cosa del genere a Mogadiscio. Non sarà l’ultima. Il marito di Hindiya, Liban Ali Nur, lo hanno ucciso solo tre anni prima sempre gli islamisti ribelli di Al Shabaab. Il problema è che nessuno in Somalia sembra voler indagare o condannare questi omicidi e questo incoraggia molti terroristi a non preoccuparsi di come e dove mettere a segno i prossimi colpi, soprattutto a discapito dei reporter, dei fotografi e degli operatori. Il governo somalo, dal canto suo, ha detto più volte che la sicurezza dei giornalisti non è una priorità.

Un pensiero va anche a tutti quei reporters che hanno perso la vita nei territori dell’ISIS (una cinquantina di rapimenti e 13 esecuzioni pubbliche), uccisi barbaramente in nome di un ideale di puro terrorismo sociale, non molto diverso da quello che ha condotto alcuni uomini “del Califfo” a fare strage nella redazione parigina di Charlie Hebdo.

Reporters Senza Frontiere ha più volte scritto al segretario generale dell’Onu, al consiglio di sicurezza, all’assemblea generale per far aumentare i meccanismi di protezione nei confronti dei giornalisti di tutto il mondo. Secondo RSF l’Onu dovrebbe farsi carico di una rappresentanza speciale per la sicurezza di centinaia di giornalisti e dovrebbe riportare i crimini compiuti nei loro confronti alla Corte penale internazionale così come è già successo per i reporter in area siriana e dell’Iraq gli anni precedenti.
Il problema è che ancora non sappiamo se il Consiglio di sicurezza riuscirà a garantire la pace e la sicurezza in quelle aree totalmente fuori controllo, è già abbastanza complicato per la Corte penale fare chiarezza per i crimini compiuti sulla pelle dei giornalisti che di fatto non stavano lavorando in aree sottoposte alla giurisdizione internazionale e quindi non perseguibili.

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