Diritti
G8 di Genova: Strasburgo condanna l’Italia per le torture alla Diaz
Quanto compiuto dalle forze dell’ordine italiane nell’irruzione alla scuola Diaz, in occasione del G8 di Genova, il 21 luglio 2001, “deve essere qualificato come tortura”. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani che ha condannato l’Italia, non solo per quanto subito da uno dei manifestanti, ma anche perché non dispone di una legislazione adeguata a punire il reato di tortura.
La condanna della Corte europea arriva sulla base del ricorso a Strasburgo presentato da Arnaldo Cestaro, una delle tante vittime della folle perquisizione alla Diaz, alla conclusione del G8. All’epoca dei fatti l’uomo aveva sessantadue anni e afferma che, quella notte, fu violentemente picchiato dalle forze dell’ordine, tanto da dover essere operato. Cestaro sostiene di aver avuto negli anni diverse ripercussioni fisiche date dalle botte subite. I colpevoli di quel massacro, di cui si continua a dibattere oggi, secondo l’uomo e non solo, sarebbero dovuti essere puniti adeguatamente, cosa che non è mai avvenuta, perché il nostro paese non prevede il reato di tortura. I giudici della Corte europea dei diritti umani gli hanno dato completamente ragione.
Il disegno di legge mirante all’introduzione nell’ordinamento italiano di questo reato, come riportato dall’organizzazione Amnesty International, che ha delineato i fatti del G8 di Genova come “la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”, non è ancora stato approvato dalla Camera dei deputati. Non essendo la tortura nemmeno menzionata nel codice penale, approvare tale modifica rappresenterebbe comunque un notevole passo avanti nella tutela dei diritti umani, nonostante il testo presenti molte criticità, tra le quali l’assenza del requisito della necessaria reiterazione di atti di violenza, qualificando il reato come comune e imputabile a qualunque cittadino, pur prevedendo l’aggravante se commesso da pubblico ufficiale. Inoltre, il testo, non persegue le condotte omissive e manca dell’iniziale previsione di un fondo nazionale per le vittime della tortura.
Insieme ai numeri identificativi per i poliziotti, necessità a tutela del cittadino e di quelle stesse forze dell’ordine che svolgono il loro lavoro in assoluta responsabilità, il reato di tortura è sempre più divenuto un’esigenza in un paese che desidera riconoscersi come civile ed è chiesto a gran voce da gran parte dell’opinione pubblica. Devono crearsi, infatti, gli strumenti e le condizioni affinchè il rapporto tra cittadini e forze dell’ordine diventi di reciproca stima e collaborazione, soprattutto dopo i tanti episodi “dubbi” che ne hanno minato l’esistenza. C’è una frase che oggi mi sentirei di rivolgere ad Arnaldo Cestaro: “Grazie a chi, come te, sceglie l’impegno invece della passività”. Me la scrisse Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi e non l’ho mai dimenticata, perché la mancanza di tutela anche solo di un singolo cittadino da parte dello Stato è la vergogna di un popolo intero.
(L’immagine di copertina è una foto di scena del film Diaz – Don’t Clean Up This Blood di Daniele Vicari)
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