Diritti

Finalmente si parla degli uomini, grazie Papa Francesco

15 Agosto 2016

Finalmente non è colpa delle donne se esiste la prostituzione, il “mestiere più antico del mondo” come vuole tanta retorica qualunquista. E’ Papa Francesco a dimostrarlo, nella sua visita a sorpresa in una struttura protetta di Roma che accoglie ragazze vittime della tratta e dello sfruttamento sessuale.

“Vi chiedo perdono per tutti quegli uomini che vi hanno fatto soffrire” ha detto loro il Papa, “Chiedo perdono per tutti quei cattolici e credenti che vi hanno sfruttato, abusato e violentato” ha ribadito, dopo avere ascoltato una ad una le loro storie di sopraffazione, di violenza, uguali a quelle di migliaia di altre donne coinvolte nella nuova “globalizzazione dello sfruttamento sessuale”.

Già, perché più del 75% delle donne vittime della prostituzione in Italia (secondo i dati della Comunità Papa Giovanni XXIII, la più accreditata nel settore dell’accoglienza e del recupero), proviene da Nigeria (36%), Romania (22%), Albania (10,5%), Bulgaria (9%), Moldavia (7%) e da Ucraina e altri paesi dell’Est.

Tutte portate in Italia con la promessa di un lavoro onesto, e poi stuprate, picchiate, ferite, private dei documenti, per costringerle a prostituirsi, alimentando un giro di profitti di valore stratosferico, calcolato in 90 milioni di euro al mese, più di un miliardo di euro all’anno, che qualche economista liberale propone persino di far valere nel PIL. E che un’opinione diffusa vorrebbe accreditare come professioniste per libera scelta, che dovrebbero pagare le tasse e togliersi dalla strada per non disturbare i benpensanti. Magari riaprendo le case chiuse.

Ci voleva Papa Francesco per fare emergere quello che tutti danno sempre per scontato, inevitabile: la “domanda” di prostituzione, alimentata da 9 milioni di “clienti”, che si contendono le prestazioni delle circa 120.000 prostitute (il 65% in strada) che sono state stimate operanti in Italia.

Ha parlato degli uomini. Per questo ha chiesto perdono, per “tutti quei cattolici e credenti” che alimentano il mercato del sesso, ritenendo “normale” comprare a tempo una persona, il suo corpo, la sua relazionalità, come se fosse una merce come le altre, di cui “usufruire”, su cui esercitare un dominio, realizzare la propria superiorità, imporre una padronanza, materiale e simbolica.

Finalmente una parola forte della Chiesa su questo, inequivocabile, impegnativa per la quotidianità di ciascuno, pronunciata in un luogo in cui è chiara la dimensione mondiale del fenomeno e i suoi connotati di violenza e di rapina.

Dopo l’enciclica “Laudato sì” sul rispetto e la cura della casa comune-natura, una parola chiara sul rispetto e la cura a cui hanno diritto tutti i soggetti-persone della famiglia umana.

E non si dica che si tratta di un atteggiamento di misericordia, accoglienza,  compassione, antico, scontato per la Chiesa, che già nei Vangeli caratterizzava la disponibilità di Cristo nei confronti delle prostitute.

Il Papa non ha parlato del perdono delle “peccatrici” ma della responsabilità intollerabile del genere maschile, non solo gli schiavisti e gli sfruttatori, ma tutti i “clienti”, che si rendono portatori e testimoni di un’antropologia della disuguaglianza, in cui non ci sono zone libere dalla compra-vendita, ancora iscritta nell’ordine simbolico patriarcale, che della sopraffazione sessuale sta facendo l’ultima trincea della propria resistenza. Come i femminicidi ci ricordano drammaticamente ogni giorno, generati dall’idea che la donna sia una “cosa”, di cui potere disporre senza condizioni, fino alla violenza definitiva, perché priva della dignità propria dell’essere umano.

Perché nell’idea di comprare sesso e “impadronirsi” del corpo di un altro essere umano (non importa il genere) c’è un imprinting di violenza ineliminabile, anche se non sempre consapevole.

La sessualità è una componente fondamentale della personalità umana, e questa umanità è portatrice di dignità, che va rispettata, anche nel suo esercizio più disinvolto e disimpegnato (per chi lo vive così), e non può essere mercificata, burocratizzata, sfruttata e brutalizzata, dando per scontato che la prostituzione sia ineliminabile, sia da governare e legalizzare, magari teorizzandola come diritto, il diritto di vendere e di comprare i corpi, a tempo determinato, come frontiera di una nuova libertà.

Come la schiavitù, che nell’antichità era considerata naturale, è scomparsa da secoli dalla tavola dei concetti giuridici e culturali delle civiltà evolute, perché non pensare che sia possibile superare la prostituzione, e ridefinire la relazionalità umana, anche sul piano sessuale, finalmente libera dalla servitù del mercato?

Sembra un’assurdità? La prostituzione sarebbe “naturale”? Forse. Come sembrava naturale nel sud degli Stati Uniti la schiavitù dei neri (appena 150 anni fa), o nelle miniere siciliane lo sfruttamento dei bambini (fino a un secolo fa), o il colonialismo come dominio imperiale di un popolo sull’altro, o perfino un concetto ancestrale come quello di “razza”, definito scientificamente infondato a metà del secolo scorso.

Ancora una volta Papa Francesco sta riscrivendo  il vocabolario della modernità. E la misericordia non è neutrale.

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