Diritti

Errare humanum est

8 Ottobre 2023

La figura dell’errante è innanzitutto un topos letterario e filosofico, naturalmente, ma è anche una figura perennemente presente in tutte le epoche dell’umanità. Che l’errare sia visto come una condizione opposta alla sicurezza della stanzialità o un percorso iniziatico con prove da superare o una fuga, sia per ragioni personali sia per fuggire a catastrofi come guerre o cataclismi, è comunque qualcosa che investe l’essenza stessa dell’essere vivente, non solo umano.

Riguarda infatti anche le piante e gli animali, che migrano da una parte all’altra del globo seguendo il clima più favorevole per il proprio sviluppo, ossia per la propria vita.

A volte, nella letteratura, l’errante è anche un topos del gotico, come nel caso di Melmoth l’errante, romanzo dell’orrore di Charles Robert Maturin (1782-1824), dove l’errante erra nel tempo e nello spazio per un patto diabolico e lascia dietro di sé una scia di sciagure. L’errante mostra anche, così, il suo lato oscuro, un mondo misterioso che non è conosciuto dagli altri e di cui aver paura, cosa che oggigiorno sembra particolarmente in evidenza, anche per chi non conosce Maturin: l’uomo moderno, soprattutto l’europeo e il nordamericano, surrogato del primo, si stupisce di questi movimenti migratori e li teme. Li teme perché sconvolgono i suoi schemi fragili basati sul consumo, su un egocentrismo e su una fruizione dei consumi esasperata, ma paura anche perché i migranti sono sempre portatori di culture diverse e queste culture diverse possono sconvolgere le sue certezze, come l’acquisizione di un luogo difeso da confini che lui chiama “casa”.

Questa paura porta l’uomo moderno a demonizzare il migrante, l’errante, proprio perché sconosciuto, quindi non classificabile e misterioso, nonostante i moderni mezzi tecnologici offrano ormai da parecchio tempo una visione del mondo più ampia e onnicomprensiva e le grandi democrazie occidentali siano state anche frutto dell’emigrazione interna ed esterna. E la paura fa innalzare muri, in Europa come al confine tra U.S.A. e Messico, anziché ponti.

Soprattutto in momenti d’incertezza economica e politica le società si rinchiudono in sé stesse e rifiutano a priori l’idea che possano esserci migranti, nonostante l’evidenza e nonostante quei popoli che adesso rifiutano gli erranti siano stati essi stessi popoli di erranti e migranti, disperati tanto quanto e trattati esattamente come loro, e anche peggio, nei paesi che li accoglievano. Il vagheggiamento di New York aveva il suo primo incubo nella traversata dell’Atlantico, il suo secondo incubo a Ellis Island, e poi, se si superava la selezione, nei quartieri poveri e nei pregiudizi dell’America di allora (e di oggi).

Spesso il Paese d’arrivo dei migranti, nel caso dell’Italia, era l’Italia stessa, con grandi flussi dal Sud al Nord, perché ritenuto più ricco e con più risorse, dove c’erano metropoli, luoghi più facili dove ricostruire un’altra vita, diversa da quella dei piccoli centri di origine. Quando poi il Paese d’arrivo era un Paese straniero, con una lingua e una cultura assai diverse, lo straniamento dell’errante doveva essere ben più accentuato. E il costituirsi spontaneo di concentrazioni della gente proveniente dallo stesso paese d’origine creava all’inizio, loro malgrado, dei ghetti, dove si parlava quasi esclusivamente la lingua dei paesi d’origine, ma dove tutti erano, forse proprio per la comune condizione di emigrati in terra straniera, più solidali tra loro e meno soggetti al razzismo interno che invece vigeva in Italia per gli emigrati dal Sud al Nord. Strani meccanismi, esclusivamente culturali.

Lo stesso razzismo generico che, per esempio, prima investiva i meridionali che si trapiantavano in Lombardia, Veneto o Piemonte, i terroni, adesso, oltrepassata ma non superata questa fase da relativamente poco, ex migranti meridionali e settentrionali stanziali da generazioni si sentono accomunati e rivolgono il proprio razzismo, ossia le proprie paure, ai nuovi migranti provenienti dall’Africa, ancora più evidenti perché di pelle nera. Atteggiamenti meno razzisti investono gli emigranti provenienti dall’Europa dell’Est, perché cristiani e di pelle bianca, quindi più simili e meno impattanti, secondo la mentalità corrente del razzista medio. Il negro è invece il diverso per eccellenza perché non si può camuffare, viene creduto sempre e comunque islamico, e quindi è l’ideale come vittima prescelta del razzista.

Come prima i meridionali erano tutti mafiosi, delinquenti, sporchi e arretrati, adesso queste qualifiche toccano ai nuovi arrivati. Ignorando che, magari, tra i nuovi arrivati possano esserci anche dei diplomati, degli scienziati, degli esperti in qualcosa, come spesso accade a gente che fugge da paesi invivibili o in guerra. Sono tutti, indistintamente, delinquenti o tendenti alla delinquenza, addirittura terroristi, comunque gente che vuole sostituirsi etnicamente agli italiani, come proclama il ministro Lollobrigida, il ministro cognato.

Ma, prima delle sue farneticazioni, ci sono sempre lo slogan caro alla Lega “Prima gli Italiani”, modifica del precedente, altrettanto razzista, “Prima la Padania” e i cori di Pontida dove i napoletani puzzavano.

L’errante, un tempo, almeno secondo la cultura greca antica, diventava comunque un ospite. Naufraghi come Odisseo o Enea venivano accolti in pace dai popoli delle terre dove approdavano e spesso venivano invitati a restare, se avessero voluto.

Odisseo fu raccattato in spiaggia dalla principessa Nausicaa dopo il naufragio a opera degli dèi, portato a corte, ripulito e rivestito e sollecitato a narrare la sua storia. Oggi i naufraghi che arrivano da noi li si tratta come bestie, in lager contenitori dove i servizi sono troppo pochi per quei numeri e, in genere, le storie di ognuno non interessano a nessuno.

Anche ne Le Supplici di Eschilo si narra la storia delle Danaidi, le cinquanta figlie femmine di Danao, in fuga dal regno d’Egitto per aver rifiutato il matrimonio coatto coi cinquanta cugini, figli del fratello gemello di Danao, Egitto, e approdano ad Argo, dove devono raggiungere il recinto sacro, luogo dove tutti i profughi (i supplici) godevano del diritto d’asilo. In un primo momento il re di Argo, Pelasgo, è restio a ospitarle, nonostante la consuetudine del recinto sacro, per timore di una guerra contro il regno d’Egitto. Poi convoca un’assemblea cittadina e gli abitanti decidono di ospitarle, nonostante le conseguenze.

Questa è la legge dell’accoglienza nell’antichità. Se si facesse un referendum cittadino se accogliere o no i profughi non so oggi come andrebbe a finire. Anche se l’Italia, per fortuna, è ancora un paese di accoglienza malgrado l’estrema Destra che ci governa e che sembra avanzare, ed esistono realtà di accoglienza come le comunità valdesi o altre laiche che cercano di sopperire alle pecche governative.

I profughi che arrivano dall’Africa sono tutt’altro che invasori, come vuol esser fatto credere dai demagoghi del nostro attuale governo e dall’estrema Destra extraparlamentare, che sono tuttofobi, hanno paura di qualsiasi cosa esuli dal loro piccolo pollaio dove vivono. L’inasprimento delle condizioni per chiedere asilo, onde creare l’illusione agli elettori di far qualcosa per arginare il problema, è solo una norma che peggiora le condizioni di chi arriva stremato e magari con una scia di lutti alle spalle, nella trincea che caratterizza quasi tutto il percorso dell’errante.

Anche gli ebrei dell’Esodo affrontavano i deserti, le migrazioni e le deportazioni, così come tutti i profughi delle guerre in qualsiasi epoca e in qualsiasi territorio.

E spesso le ragioni di questi esodi erano, allora, determinate dalle varie credenze religiose, quasi sempre referenti a divinità bellicose e vendicative, siano state il Dio degli Ebrei, Baal, o Allah. Le religioni, infatti, costituivano e costituiscono ancora dei confini più forti rispetto ai confini politici e linguistici.

Basti ricordare che, per il leghista vicesegretario della Lega di Salvini, Andrea Crippa, gli arabofoni beneficati dallo sconto al Museo Egizio di Torino da parte del direttore Greco dovevano essere per forza tutti mussulmani, ignorando che ci siano anche cristiani o agnostici o seguaci di altre religioni che parlano arabo. Ma, anche quando, che cosa dovrebbe mai interessare a Crippa della religione in cui credono le persone? Il pregiudizio, padre di ogni razzismo.

Nel frattempo l’errante continua a errare, nella sua solitudine disperata, cercando di trovare la Terra Promessa o per niente promessa, solo agognata, un luogo di pace dove potrà essere apprezzato per ciò che è, ciò che vorrebbe esprimere e ciò che fa. O che riesce a fare, perché, sebbene una parte arrivi al proprio traguardo, non è assolutamente detto che riesca a realizzare il suo sogno. Magari muore prima o resta coinvolto in ciò che gli viene unicamente consentito, rubare per sopravvivere.

Il viandante che scavalca le Alpi, alla ricerca della sua terra ideale, dove si parli la sua lingua, non necessariamente la lingua madre ma la lingua metaforica che parlano i suoi ideali, le sue affinità, i suoi sogni, è immortalato in un meraviglioso Lied Der Wanderer, del 1816 di Franz Schubert (1797-1828) su testo di Georg Philipp Schmidt von Lübeck (1766-1849). Il viandante, pellegrino alla ricerca della sua terra, quella dove lui possa finalmente star bene, s’interroga durante il viaggio:

 

Dove sei, o mio paese amato?

Ti ho cercato, immaginato, e non ti ho conosciuto mai!
Il paese, il paese verde di speranza,
dove fioriscono le mie rose,

dove i miei amici passeggiano,
dove i miei morti ritornano in vita,
il paese che parla la mia lingua,
o terra, dove sei tu?

Erro silenzioso, infelice,
e sospirando sempre mi chiedo sempre: dove?
Una voce arcana mi risponde:
«Là dove tu non sei, là c’è la felicità!».

 

La quintessenza del Romanticismo, diremmo.

Ma è poi così diverso da chi lascia il paese d’origine perché non ci si trova bene, per i motivi più vari? Magari il paese di Petilia Policastro, da cui era fuggita Lea Garofalo colla figlia per scordarsi di quell’orrore familiare intriso di ‘ndrangheta e delle sue sanguinarie e primitive regole per peregrinare sotto falso nome in tutta l’Italia, protetta fino a un certo momento dai Carabinieri e poi abbandonata, finendo uccisa dal compagno mafioso perché aveva osato sfidare la “famiglia”. È poi così diverso?

Ed è poi così diverso il caso del profugo camerunese Mbengue Nybilo Crepin che, con moglie e figlia, è approdato in Tunisia per poi essere derubati dalle guardie di frontiera e abbandonati nel deserto della Libia, dove moglie e figlia sono morte? Alla fine lui ha raggiunto l’Italia che forse non è comunque la terra ideale, dove pensava di condurre la sua famiglia, fuggendo da persecuzioni e guerre, o anche semplicemente da un luogo senza futuro, e, per inadeguatezza dell’occidente attuale, si è rivelata il futuro peggiore che potesse immaginare. Là dove non sei, là è la felicità.

E la libertà, l’uguaglianza e, soprattutto, la fraternità così superbamente esibite dalla Rivoluzione Francese in poi, gloria delle democrazie occidentali, si inabissano nel Mediterraneo centrale sui barconi che arrivano a getto continuo. Il fallimento del colonialismo, ormai superato ma mai davvero finito, che presenta il conto all’UE con centinaia di migliaia di migranti in cerca di salvezza e che vengono chiamati invasori dai vari Vannacci e Salvini, cinici demagoghi, con un seguito di ex emigranti italici ormai gelosi del proprio benessere, che hanno appreso molto bene l’egoismo dei capi.

Umberto Galimberti, nel suo freschissimo L’etica del viandante (Feltrinelli) esprime il disagio moderno, senza più etiche. In un’intervista dice: “L’etica del viandante è un’etica nuova, necessaria, perché nell’età della tecnica tutte le etiche dell’Occidente sono implose. Come fa l’etica a dire alla tecnica di non fare ciò che può? Tutte le etiche che abbiamo formulato, che sono etiche antropologiche in quanto mettono l’uomo al centro dell’universo, non funzionano più…”. E l’unica cosa, almeno così sostiene Galimberti, che potrà redimere questo mondo pieno di confini, che determinano le continue guerre per l’accaparramento di un territorio, sarà la fraternità, la fratellanza perduta, il momento in cui ce n’è più bisogno è proprio oggi, pena la fine dell’umanità. Chissà come personaggi quali Meloni, Salvini, Crippa, Vannacci, Piantedosi e il resto della corte dei miracoli afferente al governo potranno mai capire una cosa tanto semplice e fondamentale, che, tra l’altro, costerebbe immensamente meno perché aiuterebbe una bella fetta di umanità a lavorare e produrre assai più facilmente. Certo, bisognerebbe avere una testa pensante, la grande assente.

Caminante no hay camino

se hace camino al andar.

(Antonio Machado)

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