Diritti

Erdoğan e la fine dello stato di diritto in Turchia: il processo ad Ahmet Altan

26 Ottobre 2018

Il 3 ottobre 2018 Ahmet Altan, uno dei più importanti giornalisti e intellettuali turchi contemporanei, è stato condannato all’ergastolo dalla Corte di Appello di Istanbul. Stessa sorte è toccata a suo fratello Mehmet Altan e a Nazlı Ilıcak, Fevzi Yazıcı, Yakup Şimşek e Şükrü Tuğrul. Tutti e sei erano accusati di essere vicini a Fetullah Gulen e di essere coinvolti nel fallito colpo di stato del 15 luglio 2016, che ha cercato di rovesciare il regime di Recep Tayyip Erdoğan.

Il calvario giudiziario di Ahmet Altan è iniziato il 23 settembre 2016, quando è stato arrestato nell’ambito delle “purghe erdoganiane” seguite al tentativo di colpo di Stato. Ahmet Altan ha scritto tre memorie difensive, intitolate Ritratto dell’accusa come pornografia giudiziaria, Non sono il vostro imputato e La giustizia della stupidità. Edizioni e/o le ha riunite in un unico volume, Tre manifesti per la libertà, contenente anche la lettera scritta da 51 premi Nobel per chiedere al governo turco il rilascio di alcuni giornalisti.

Le tre memorie restituiscono un ritratto nitido e raggelante delle attuali condizioni dello stato di diritto in Turchia. Altan riassume così le accuse nei suoi (e degli antri imputati) confronti: “Si ritiene che noi conoscessimo gli uomini accusati di conoscere gli uomini accusati di essere a capo del colpo di Stato”. Questa formulazione è un colpo letale al principio della responsabilità penale individuale: “Se conoscete un criminale, questo fa anche di voi dei criminali?” si chiede Altan, rivolgendosi ai suoi lettori.

Soprattutto, l’impianto accusatorio si basa su prove molto deboli. Si citano alcuni articoli di Altan pubblicati sul quotidiano Taraf all’epoca delle proteste di Gezi Park (maggio-giugno 2013), ma al tempo Altan non scriveva per Taraf. Si sostiene che Alaattin Kaya abbia messo in contatto i fratelli Altan e Nazli Ilicak con Fetullah Gulen, e che i contatti fra Kaya e i tre succitati sarebbero stati frequenti. Ahmet Altan ammette di aver incontrato Kaya, ma solo due volte in tutta la sua vita, nel 2010 e nel 2012. Si ritiene, inoltre, che  dopo le visite di Kaya al giornale, gli scrittori di Taraf abbiano pubblicato articoli contro l’Akp (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, la forza politica di Erdogan). Da cui la legittima domanda di Altan: “Da quando in qua è un crimine pubblicare articoli contro l’Akp? Com’è possibile che le mie critiche nei confronti dell’Akp e i miei ammonimenti sugli errori commessi da un partito politico siano inclusi in quest’atto d’accusa come prove di golpismo?” Si fa riferimento, infine, a un’apparizione televisiva di Altan, datata 14 luglio 2016, in cui l’intellettuale ha affermato che, a causa delle sue pessime politiche, Erdogan avrebbe presto perso il potere.

Le conclusioni di Altan sono drammatiche. In Turchia, afferma, al momento la giustizia è concepita come mera punizione dell’altro. “Il sistema giudiziario è crollato, i media sono crollati, l’esercito è crollato, la pubblica istruzione è crollata, il sistema sanitario è crollato, l’economia è crollata, la politica estera è crollata”. Nulla è rimasto in piedi. Un risultato inevitabile, “quando un solo uomo pretende di arrogarsi un’autorità che non gli compete e di impadronirsi del potere assoluto. Quest’uomo deve avvelenare la società, assassinare tutte le istituzioni che contribuiscono a farla funzionare in modo ordinato e riempire i posti vacanti con traditori senza valore”. Il governo usa il pretesto del colpo di Stato del 15 luglio, “il golpe più ridicolo a cui il mondo abbia mai assistito”, per mettere a tacere l’opposizione e accusare chiunque di golpismo e terrorismo. “Il concetto di FETO-ista non è mai stato definito con chiarezza: è stato lasciato nel vago di proposito, per avere la possibilità di lanciare tale accusa contro tutti gli oppositori dell’AKP, come una maledetta rete da pesca”.

Eppure, Altan mantiene una convinzione: “La strada su cui è stato trascinato questo Paese per colpa di un golpe stupido ed efferato; la strada percorsa in compagnia di un sistema giudiziario ormai morto, formulando accuse vaghe contro i dissidenti, sta arrivando alla fine. O il governo l’abbandonerà… Oppure la sua stessa base, con l’anima resa marcia dalla paura, si renderà conto ancora prima dei dissidenti che altro marciume significherebbe la fine, e rovescerà il governo”. Erdogan, insomma, non deve temere tanto gli oppositori, quanto il silenzio di coloro che dovrebbero essere i suoi sostenitori.

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