Diritti
Della banalità e dell’ignoranza
Negli ultimi mesi abbiamo assistito all’accrescersi degli atti di intolleranza e di rigetto nei confronti di coloro che arrivano in Italia tramite viaggi complessi, costosi e pericolosi. Fin dal primo sguardo si percepisce una generale ignoranza nei confronti dei termini utilizzati per definire queste persone che hanno deciso di lasciare il loro paese d’origine e di cercare un futuro in un continente diverso da quello in cui sono nati. Esistono differenze sostanziali tra un immigrato, un clandestino e un richiedente asilo, ma sembra che sia il dibattito politico che l’opinione pubblica si rifiutino di comprendere queste differenze. Non è questa la sede in cui addentrarci nelle definizioni giuridiche, questo breve articolo vorrebbe solo riprendere alcuni aspetti di questa situazione e ricollocarli in un panorama più ampio.
Dopo i fatti di Macerata parecchi hanno fatto ricorso a termini quali fascismo e razzismo, come se questi fossero sinonimi. Le vittime dell’atto terroristico – perché si parla di questo – erano accomunate solo dal colore della loro pelle, a quanto pare più ‘scuro’ rispetto a quello dell’Italiano medio. Il terrorista in questione ha deciso di colpire una categoria specifica di persone, ben identificabili e riconoscibili da chiunque. Ha quindi utilizzato delle categorie per suddividere la nostra società basandosi semplicemente sul colore della pelle, senza altro criterio. È da sottolineare come questo individuo si ritenesse appartenente ad un gruppo etnico/sociale differente e abbia identificato le sue vittime come appartenenti ad un gruppo etnico/sociale a lui ostile, contro il quale fosse necessario combattere. L’atto quindi può essere definito come terroristico e al contempo come razzista, perché fonda la scelta delle sue vittime su criteri razziali. Il terrorista di Macerata ha quindi compiuto due azioni: in primo luogo ha classificato le persone secondo delle qualità e poi ha deciso di perseguire la sua lotta contro un gruppo specifico. Come il terrorismo politico decide di colpire gli appartenenti ad un gruppo politico differente, così a Macerata si è deciso di colpire un gruppo identificabile e, in fondo, noto a tutti. Poter scegliere le proprie vittime casualmente rientra nella dinamica dell’atto terroristico, ma il terrorista in questo caso ha dovuto esercitare una scelta a priori perché necessitava di colpire solo gli appartenenti al gruppo nemico, ovvero ‘i ne<g>ri’.
Questo preambolo serve solo per cercare di capire come mai nella nostra società sia in atto questa suddivisione in gruppi, ovvero ci siano delle dinamiche di tipo razzista sempre più marcate. Le motivazioni sono molteplici e questa non è la sede per analizzarle, ci interessa solo fare alcune sottolineature per trovare dei paralleli e delle differenze rispetto ad altri momenti storici in cui il razzismo era fortemente presente nella nostra società. Ovviamente la memoria corre immediatamente agli anni del fascismo, quando furono adottate nel 1938 le leggi razziali – o razziste – che discriminavano gli Ebrei. L’antisemitismo è un fenomeno radicato nella cultura e nella politica europea, le cui tracce si possono già ritrovare nella letteratura latina, fino al teatro o nelle teorie linguistiche dell’800 e nella religione cattolica. Ma il parallelo proposto tra ‘Ebrei nel 1938’ e ‘immigrati nel 2018’ non è sostenibile. Il motivo è assai semplice. Nella società europea otto-novecentesca gli Ebrei erano parte integrante del tessuto sociale, economico e culturale. Possedevano capitali, fabbriche, ricoprivano ruoli di prestigio nel mondo accademico e politico. In poche parole facevano parte a pieno titolo della società civile. Oggi invece assistiamo all’arrivo di masse di persone che non hanno nulla, non posseggono nemmeno un’identità, tanto meno dei capitali economici. Sono solo persone, senza null’altro che il loro corpo. La loro situazione è quindi totalmente diversa dagli Ebrei europei dell’inizio del ‘900. Gli immigrati presenti in Italia oggi non fanno parte della società civile, sono delle presenze che vengono avvertite come estranee, talvolta come nemiche, ma la loro unica teorica forza risiederebbe nel loro numero sempre crescente, secondo una certa visione che prospetta un’invasione e una sostituzione etnica. Rispetto agli Ebrei europei quindi questi immigrati sono ancora più deboli, perché fin dal loro arrivo in Europa godono di minori diritti e tutele rispetto ad un cittadino italiano, sia esso ebreo, cristiano o mussulmano. Agli Ebrei europei sotto i fascismi sono stati tolti i diritti (al lavoro, al matrimonio, alla proprietà privata, alla residenza…), agli immigrati questi diritti non vengono riconosciuti fin dal principio. Se per gli Ebrei europei si è trattato di una spoliazione progressiva e di un tentativo di espulsione che ha portato al tentativo di sterminio totale, per gli immigrati la situazione attuale è differente. Forse peggiore. Non essendo loro riconosciuta la possibilità di fare parte della nostra società, non è dato nemmeno loro una possibilità di futuro e di passato. Ovvero, vi è la negazione del valore della loro persona fin dal principio, per renderli (s)oggetti sui cui poter sparare non è necessario il lento processo di persecuzione messo in atto contro gli Ebrei europei dai regimi totalitari. La faccenda è molto più veloce, perché gli immigrati rappresentato solo una categoria completamente negativa, che va respinta a priori, che non può – e non potrà mai – far parte della nostra società. Il rischio quindi è ben più grave, perché siamo davanti a persone senza diritti fin dal principio della relazione tra ‘noi’ e ‘loro’. Per perseguitarli quindi non si tratta quindi di spogliarli dei loro diritti, sono già nudi, completamente. Per perseguitarli è sufficiente lasciarli nella condizione in cui sono, senza far nulla. È fin più facile, ‘loro’ sono rigettati automaticamente, senza bisogno di particolari legislazioni, sono già fuori dalla società perché non godono di diritti e non hanno doveri, non sono e non saranno mai cittadini. La loro nudità ci è oscena, ci infastidisce e ci porta a non riconoscerli come persone, ma solo come appartenenti ad una categoria o gruppo nemico, da combattere. Se invece provassimo a vestire queste persone con diritti e doveri? Non sarebbe forse sufficiente seguire il consiglio di quell’ebreo che diceva di “vestire gli ignudi’?
Nota bibliografica.
Si rimanda, ovviamente, alla lettura de ‘La banalità del male’ di H. Arendt e Mt 25.
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