Diritti
Daniel Arsand, un grande romanzo e una denuncia civile
Una pagina poco nota, forse volutamente trascurata e oscurata da certo conformismo purtroppo ancora presente, quella delle persecuzioni naziste, e non solo, nei confronti dei “degenerati” omosessuali. E’ il tema del romanzo di Daniel Arsand “Io sono vivo e tu non mi senti”. Una storia cruda, un vero colpo allo stomaco, che non trascura nulla di quanto accadeva nei campi di concentramento e, anzi, sembra proprio indugiare, enon certo per il gusto dell’orrido, sulle inenarrabili crudeltà che nel campo di nazista di Buchenwald venivano inflitte ai reclusi con il triangolo rosa, esseri ai quali veniva negata la dignità di uomini immersi ed affogati nelle sozzure e nel degrado più inumano. La storia di un giovane omosessuale tedesco di Lipsia, Klaus Hirschkuch, che riesce a sopravvivere all’incubo che ha divorato altre migliaia di tedeschi, e non solo, per le loro inclinazioni sessuali. Un sopravvissuto all’inferno, ossessionato dal suicidio del compagno che, nonostante tutto quel che ha passato, non riceve solidarietà neppure nella famiglia ritrovata, in una Germania segnata dalle rovine della guerra. “Il figlio era tornato. E non c’era una vera festa”, perché quel figlio era “la loro vergogna”. Il pregiudizio che domina e soffoca perfino i sentimenti più forti. E dallo scontro con l’imbarazzo della famiglia, la decisione di lasciare, una volta ripresosi fisicamente, anche la casa paterna appena riconquistata. Sofferenza ma, anche, liberazione per entrambi, per la famiglia e per lui stesso. Il tentativo di costruirsi, al di fuori dello spazio familiare, una sua autonomia e, nonostante q1uesto, la constatazione che Lipsia, la Germania, non possono più essere il luogo della sua vita. In realtà, la guerra, i dolori, le devastazioni non hanno scalfito la scorza dura della prevenzione nei confronti del “diverso”. Ma anche il ricordo ricorrente e struggente dell’amico Heinz, buttatosi dalla finestra per non cadere nelle grinfie della Gestapo. La fuga verso la Francia, seguendo un amico, René Bayonnet, incontrato dal suo datore di lavoro anche lui già recluso in un campo di concentramento. Una fuga che vorrebbe essere liberazione ma, prima di varcare il confine, l’oltraggio. Schiaffeggiato per avere ricordato qualcosa di Buchenwald, “quando si è tedeschi non si raccontano certe cose !”. Quello schiaffo “come un bavaglio…era uno schiaffo che l’avrebbe colpito per mille anni.” La Francia, una famiglia normale che l’accoglie, lo sostiene, lo aiuta. La sua insofferenza, la ricerca di qualcosa che lo faccia sfuggire all’ossessione della morte dell’amato Klaus. Le difficoltà e alla fine l’affermarsi come artigiano. Il suo vagare per la grande città alla ricerca di amori estemporanei. La sofferenza di una condizione che lo tormenta. E poi, forse la svolta. L’incontro con Julien, un nuovo appassionato amore in grado di farli curare la ferita inferta dalla morte di Heinz. Una grande passione, un amore vissuto fino in fondo, solo in parte accettato da chi lo frequentava. Ed ancora una violenza, il massacro di Jiulien. La brutale aggressione per odio contro il diverso che “in pochi secondi ridusse Jiulien Duresnard ad un ammasso che gemeva”. Ed allora, proprio allora, scatta la rivolta. Non più un atteggiamento sottotraccia ma la denuncia, la denuncia elle persecuzioni, delle violenze, delle emarginazioni a partire da Buchenwald, “dove castravano i finocchi senza anestesia” nei confronti di chi viene contrassegnato con il triangolo rosa. “Scriverò tutto. Scriverò di una vita. La mia vita. Che sia d’esempio”. Jiulien, muore, e a Klaus resta la solitudine e una missione da assolvere. “Sappiate – grida al mondo – che non staremo zitti mai più”. Ma è una battaglia lunga, il tempo non era maturo nemmeno nella Francia delle libertà democratiche, tanto che nel 1989 anno in cui viene celebrata la Giornata delle deportazioni, per i diversi, per gli omosessuali non ci sarà spazio. Romanzo bellissimo, carico di passione, esempio di grande letteratura e di letteratura civile, che “da voce a chi non è mai stato ascoltato.”
immagine di copertina di Andrea Jarach
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