Diritti
Dalla diceria alla violenza: attacchi razzisti ai Rom nella periferia di Parigi
Traduzione dell’articolo per The Conversation, Lynchages de Roms : les mécanismes du stereotype, 29 mars 2019.
Attacchi, colpi di arma da fuoco, incendi, minacce, aggressioni, pestaggi. Giorni di violenza smisurata, incontrollata: di giorno e di notte, da parte di singoli come di gruppi. Nella banlieu di Parigi. A marzo, 2019. Attacchi razzisti. Sempre contro dei Rom. Di qualsiasi età e genere.
Fra il 25 e il 28 marzo, ben 22 attacchi contro Rom (o persone considerate Rom) sono stati registrati dalla rete di associazioni per i diritti umani RomEurope. Altri 3 sono avvenuti in questa ultima settimana. Gli attacchi sono stati compiuti in seguito a messaggi sui social networks relativi a presunti rapimenti di bambini da parte di Rom che guidavano un furgoncino bianco. Gli argomenti invocati nel corso dei primi processi in direttissima contro alcuni degli aggressori rimandano tutti al presunto rapimento di bambini e al presunto traffico d’organi.
Queste dicerie sui social media sono tutt’altro che recenti o anodini in Francia: diverse aggressioni e attacchi razzisti erano già stati commessi nel 2019, soprattutto nel dipartimento dell’Essonne, a Sud di Parigi. Ma in queste ultime settimane si sono intensificati in maniera drammatica.
Censimento delle minacce, degli attacchi e delle intimidazioni contro i Rom o percepiti come Rom a seguito di false voci di rapimento di bambini (25-28 marzo 2019).
Fonte: CNDH RomEurope, mia presentazione sintetica.
La maggior parte dei commentatori, anche autorevoli, tra cui Edgard Morin e Michel Wieviorka si sono giustamente dedicati a denunciare la violenza razzista, a chiedere un intervento più consistente delle forze dell’ordine e delle istituzioni politiche per proteggere l’incolumità dei Rom, e a mostrare come lo stereotipo dello “zingaro” che ruba i bambini sia infondato. In questo breve articolo invece, io vorrei provare a comprendere i meccanismi sociali che strutturano e potenziano una diceria, fino al punto di scatenare più e più assalti organizzati contro una minoranza etnica?
Lo “zingaro” che ruba i bambini
Bobigny, Clichy-sous-Bois, Montreuil, Bondy, Colombes, Montfermeil, St Ouen, Champs-sur-Marne, Aulnay et Sevran… Gli attacchi contro i Rom sono stati provati da una diceria razzista “riportata da oltre 16 milioni di messaggi contenenti incitazioni all’odio e all’omicidio nei social network”, come sottolinea l’associazione La voix des Rroms. Giovani e giovani adulti, furiosi, si sono organizzati e sono andati in gruppi a tentare di dare fuoco alle baraccopoli e agli edifici occupati da Rom, cercando quel famoso furgoncino bianco che circolerebbe fra Nanterre e Colombes per rapire i bambini. I messaggi su Snapchat, WhatsApp e altri media dicono senza eufemismi che i Rom trafficano bambini, non ne hanno abbastanza e devono rapirne per fare ancora più soldi.
(La piccola zingara (F. Coullaut-Valera, 1960). Particolare del monumento a Cervantes nella Plaza de España di Madrid. Foto di Carlos Delgado/Wikimedia, CC BY-ND).
Il presunto rapimento di bambini ad opera degli zingari è uno stereotipo ben presente nell’immaginario generale: “fai il buono, altrimenti viene lo zingaro e ti porta via”, è una tipica minaccia simbolica usata in molti paesi europei per rimproverare i bambini. Già all’inizio del XVII secolo Miguel Cervantes raccontò la storia di una eroina che rubava i bambini nella sua novella “La piccola zingara”.
Come non richiamare poi le polemiche suscitate in tutta Europa nell’estate del 2013 dalla storia del cosiddetto “angelo biondo”, una bimba che si disse essere stata rapita e portata in un campo Rom in Grecia, e che si rivelò essere una bambina romni di origini bulgare, della stessa famiglia di uno degli abitanti dell’insediamento in questione.
Stereotipi che fluttuano nel corso della storia
Se alcuni stereotipi si esauriscono con l’andare degli anni, altri che pur pensavamo essere ormai superati, riappaiono e si diffondono nuovamente a seconda dei contesti e delle relazioni specifiche fra i Rom e le società locali in cui sono presenti. Una volta mobilitati, questi stereotipi esercitano una influenza profonda sugli immaginari e sulle rappresentazioni, sebbene l’intensità dei pregiudizi dipenda comunque dal livello di istruzione delle persone.
Scala di romafobia. Livelli (%)
Fonti: Barometri CNCDH. Mie elaborazioni.
In Francia, il livello generale di ostilità contro i Rom, i Manouches e quanti sono generalmente chiamati “Tziganes” è certamente diminuito nel corso degli ultimi cinque anni, sebbene più della metà della società francese continui a pensare che i Rom non vogliano integrarsi in Francia. E quasi il 67% della popolazione ritiene sia un gruppo separato dal resto della società.
Tendenze a giudicare diversi gruppi come “separati dal resto della società”
Fonti: Barometri CNCDH. Mie elaborazioni.
Le risposte istituzionali alle dicerie
Intorno alla città di Parigi, nella sua area metropolitana, le Prefetture di polizia (equivalenti alle questure italiane) hanno risposto con precisione agli stereotipi e alle dicerie, smentendoli e producendo comunicati per richiamare l’attenzione sull’inesistenza di alcun rapimento di bambini nei loro territori di competenza: “Avendo compiuto dettagliata verifica con le forze dell’ordine, nessun fatto di quelli citati nei social network risulta verificato”.
Neanche la stampa è rimasta silente, cercando di smontare i cliché, dando enfasi ai comunicati ufficiali che confermavano in ogni cittadina l’assenza di atti di rapimento, esplicitando la genesi e la progressione delle dicerie, la loro “stupidità”, e le modalità di diffusione sui social network. Sindaci e direttori scolastici hanno ugualmente cercato di esercitare un ruolo per disinnescare la spirale d’odio.
Anche le associazioni ovviamente hanno usato i mezzi a loro disposizione per lottare contro gli stereotipi e di dare voce ai Rom stessi. La voce in prima persona dei Rom è certamente uno strumento potente che permette di creare legami con alcuni degli abitanti delle città e smontare per loro le fake news che circolano nelle reti. Non è però stato in grado di raggiungere le cerchie di persone più esposte alle dicerie e più convinte della loro veridicità.
Delle donne Romni si incontrano per organizzare una iniziativa a favour del progetto Dream di lotta all’Aids in Africa della comunità di S. Egidio. Foto di Stefano Pasta, su gentile concessione dell’autore.
I sospetti pesano, e pesano assai
Nonostante tutti questi tentativi e il riconoscimento pubblico dell’infondatezza dei fatti, il sospetto rimane all’interno di una larga maggioranza di cittadini dell’area metropolitana parigina. In effetti, i fenomeni di diffusione degli attacchi ai Rom finiscono per rinforzare ancor più gli stereotipi negativi sui Rom stessi.
Alcuni anni fa, ad esempio, l’antropologa Sabrina Tosi Cambini condusse una ricerca per la Fondazione Migrantes analizzando 29 processi presso il tribunale per penale per presunto tentativo di rapimento di minori da parte di donne “zingare”. In tutti i casi, si era trattato di presunti casi di rapimento e di tentativi non riusciti. 23 testimoni avrebbero visto i rapitori fuggire, senza certezza assoluta che si trattasse di “zingari”. In sei casi, analizzati più in dettaglio dall’autrice, si è giunti all’arresto e all’apertura di un procedimento e dell’azione penale. L’autrice mostra con esattezza che fra il 1985 e il 2007 non vi è alcun caso accertato di rapimento di minori imputabile a persone appartenenti a un gruppo rom o sinto, e mostra come non vi sia stato alcun tentativo di rapimento riconducibile a questi.
Foto di Alina Serban, per presentare il suo spettacolo autobiografico « Je soussignée Alina Serban, déclare ».
L’autrice descrive poi undici casi di sparizione di bambini, molti dei quali assai noti all’opinione pubblica, ricostruendo in che modo i rom e sinti sono stati sospettati e descrivendo i relativi accertamenti investigativi. In nessun caso gli zingari sono risultati colpevoli, laddove si è semmai accertata la responsabilità brutale di pedofili, conoscenti, parenti, o di grandi reti occulte di criminalità organizzata. I Rom sono invece stati i primi sospetti, e quelli contro cui si è accanita l’opinione pubblica.
Psicosi e isteria collettiva?
Lo stereotipo in questione assume la forma di una configurazione molto precisa. Gli attori coinvolti sono donne, e il loro rapporto è di carattere conflittuale: la madre, o una parente stretta del minore, accusa un donna romnì di aver cercato di rubarle il bimbo; è la madre che impedisce il furto, spesso anche attraverso una colluttazione con la zingara. Il luogo del litigio è tendenzialmente affollato (mercati, strade piene di negozi e di persone), ma non vi sono testimoni di fatto, se non le persone coinvolte, e nessuno interviene mai in soccorso della madre. Il fatto che nelle vicinanze vi siano altre persone ritenute appartenere a un gruppo zigano viene interpretato sempre come presenza di complici della zingara, per garantire l’occultamento del minore da rapire (nonostante i controlli lo smentiscano sempre). La dovizia con cui sono descritti i casi permette di identificare una sorta di struttura narrativa (un canovaccio concettuale, nelle parole dell’autrice) i cui topoi si ripetono invariati in un lungo arco temporale (più di vent’anni) e in contesti territoriali assai differenti.
In altri termini, non possiamo riferirci ai 25 attacchi avvenuti contro i Rom nell’area metropolitana parigina come a una “psicosi” di massa, a una forma di “isteria” collettiva. La forza degli stereotipi, la dinamica sociale che porta alla loro diffusione, al passaggio all’azione violenta e infine a comportamenti di emulazione va spiegata nel dettaglio. Un primo passaggio consiste nel comprendere l’importanza dei processi di categorizzazione che attivano un schema cognitivo di tipo stereotipico.
Uno stereotipo non agisce solo quando i soggetti esercitano giudizi attributivi e attribuzioni di colpevolezza, ma permea l’intero processo cognitivo, sia nelle premesse che nelle inferenze, fino al modo in cui l’informazione viene estratta dalla memoria. La condotta viene interpretata dal punto di vista del (presunto) rapimento, a partire dal fatto che il racconto del denunciante è inteso come intrinsecamente logico e coerente, senza elementi contraddittori; non è considerato falso perché l’accusato è sconosciuto all’accusatore. Secondo la logica di quest’ultimo, non ci sono motivi razzisti per sospettare un Rom, poiché quest’ultimo non ha alcun vantaggio nell’accusare un Rom.
Un altro problema degli stereotipi è che rafforzano altri luoghi comuni: i Rom sarebbero sotto attacco da parte di gruppi locali di immigrati che sono a loro volta dei criminali. Molti in Francia sono giunti a queste conclusioni, non solo negli ambienti di estrema destra che sostengono che il contatto e la la frizione tra questi due gruppi – Rom e gruppi fragili di origine immigrata – non possano che portare a disordine e violenza.
Una spiegazione più complessa mostra invece almeno quattro diversi tipi di meccanismi sociali che mettono in atto ed esaltano gli stereotipi, creando le condizioni per azioni violente seriali.
Quadro di Ceija Stojka, rappresenta la persecuzione nazista contro i Rom. Foto di Tommaso Vitale.
Tautologia
Il primo non è altro che un meccanismo di “tautologia”, per usare le parole di Luc Boltanski. Il semplice fatto che qualcuno dedichi tempo ed energie ad attaccare una persona rom appare di per sé come la conferma che la vittima deve aver comunque compiuto qualcosa di sbagliato, e di grosso, altrimenti perché mai avrebbe provocato una reazione così intensa?
I giornalisti di LCI hanno raccolto diverse testimonianze sull’argomento: “Perché volete che i giovani attacchino gratuitamente delle persone in auto?”. Come a dire che se un gesto violento vien fatto contro i Rom, non può che esservi una buona ragione.
La colpa delle vittime
La diffusione spaziale degli atti di linciaggio invece di essere interpretati dall’opinione pubblica come una forma di mimetismo di un repertorio di violenza razzista, viene invece interpretata come conferma che i rom hanno commesso atti gravi ovunque e che pertanto devono essere ritenuti responsabili. Il secondo meccanismo è quello assai tipico di “incolpare le vittime”. Se i rom hanno una cattiva immagine agli occhi della popolazione, sarebbe a causa del loro comportamento.
Questa immagine non sarebbe un’indebita generalizzazione, né una rappresentazione simbolica che circolerebbe in assenza di prove della realtà. Al contrario, sarebbero gli stessi rom a creare questa immagine attraverso le loro azioni: piccoli furti, accattonaggio. I Rom in Francia sono assai attenti a questo meccanismo e giustamente esprimono spesso una posizione assai chiara in proposito.
Il terzo meccanismo potrebbe essere definito come “presunto realismo”. Poiché i genitori si preoccupano così tanto dei loro figli, del loro benessere e della loro sicurezza, non possono commettere errori, sbagliarsi o dire il falso.
Quindi, se dei genitori dicono che un rom ha cercato di rubare il proprio figlio, bisognerebbe fidarsi di loro. In quanto genitori, il loro discorso e le loro osservazione sarebbero affidabili, imparziali e realistici.
Infine, un meccanismo finale è tipico delle dinamiche performative delle voci che circolano nei social network. Il fatto che un messaggio non ci venga trasmesso una sola volta da un solo mittente, ma continui ad esserci inviato più volte, “amplificato” da “camere d’eco”, cioè da un gran numero di persone che conosciamo, apprezziamo e amiamo, ha un potente effetto legittimante, come ben studiato dalla politologa Caterina Froio.
Questo è quello che si potrebbe definire un meccanismo di “rafforzamento sociale delle credenze”, tipico del regime neomediatico in cui viviamo, che i sociologi generalmente chiamano “regime post-verità”.
Alcuni giovani Rom partecipano a una festa in una casa di riposo. Foto di Stefano Pasta, su gentile concessione dell’autore.
Il primato delle convinzioni personali e delle emozioni
Ci troviamo in un clima di sfiducia tale che è diventato complicato stabilire la realtà poiché le autorità tradizionali (media, stato) sono esse stesse in discussione. Questa crisi di legittimità delle fonti di autorità ha lasciato il posto ad una realtà basata non su fatti accertati ma su convinzioni ed emozioni personali.
Ovviamente, gli individui restano cauti e riflessivi. Ma questa riflessività individuale non basta, soprattutto in considerazione del potere che esercita la circolazione di messaggi provenienti da contatti multipli di “amici”, fonti la cui autorevolezza risiede in una base emotiva.
Una delle indagini più approfondite sull’argomento, condotta da Stefano Pasta, mostra come l’ambiente digitale e i social network – segnati dall’aumento della velocità di pensiero, dal ruolo delle immagini e dei memi, dalla banalizzazione dei contenuti e da nuovi canoni di autorità (il numero di like e share) – favoriscono un atteggiamento “cyber-stupido”, o superficiale, nei confronti delle conseguenze delle azioni online.
L’effetto margine
Il produttore che ognuno di noi è diventato, smartphone alla mano, gioca un ruolo molto efficace nel rafforzamento sociale degli stereotipi. E ognuno di noi è particolarmente esposto a quello che il sociologo Christopher Bail chiama “effetto margine”, ovverosia come l’opinione più estrema e radicale acquisisce visibilità nella sfera pubblica, acquisendo un senso di legittimità, e ridefinendo i contorni del campo discorsivo, spostandolo sempre più verso l’esterno, verso il margine. Laddove si incita all’azione violenta. Dove si giustifica l’odio e l’azione violenta. Dove si celebra il comportamento violento e si spinge ad imitarlo.
Comprendere, e poi?
In questo contesto, il pensiero critico non è sufficiente. Come hanno affermato studiosi come Anna Pitoun, Henriette Asséo e Grégoire Cousin, innanzitutto “la risposta deve essere politica e di polizia”. Nella sfera politica, in effetti, i sindaci e la Prefettura di polizia sono stati molto reattivi, ma i partiti politici e i consiglieri comunali, per non parlare dei parlamentari e altri rappresentanti istituzionali, non sono stati particolarmente sensibili o reattivi. Il governo nazionale ha subito denunciato le violenze non ha mobilitato una campagna specifica per contrastare le notizie false, né ha adottato contromisure specifiche per contrastare questi atti di violenza razzista. I Rom non possono essere lasciati soli a proteggere la loro sicurezza e i loro diritti umani. Una situazione in cui tutti sentono di avere la il diritto di attaccare il loro prossimo non può essere accettata in uno Stato di diritto.
Ma questo è solo il primo passo, e non basta. Per attenuare gli attacchi contro i rom o contro altri gruppi minoritari, occorre dare loro ascolto. Le associazioni rom cercano attualmente di rafforzare i legami con la popolazione locale e di offrire una contro-narrazione sui loro gruppi e le loro esperienze molteplici e differenziate. Per sostenerli, anche i media dovrebbero mettersi all’ascolto, e stessa cosa dovrebbe fare lo Stato con le sue diverse agenzie e livelli di governo. La lotta alla segregazione spaziale non è questione minore in questo quadro. Un forte impegno a contrastare l’antiziganismo deve coinvolgere lo Stato nelle sue diverse articolazioni, i gruppi Rom e le loro associazioni oltre che, non ultima, la società civile.
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