Diritti
Cpr di via Corelli, a due mesi dal comissariamento non è cambiato niente
Nella notte di sabato 10 febbraio, alcuni migranti ospiti del Cpr di via Corelli a Milano si sono sdraiati per terra, sotto la pioggia e con solo gli slip indosso, per protestare contro le condizioni del Centro di permanenza per i rimpatri, commissariato lo scorso dicembre. A tali proteste, la Guardia di Finanza ha risposto – come si vede dai video pubblicati in rete dalla rete Mai più Lager – No ai CPR – a colpi di manganello. Il giorno successivo, il consigliere regionale e vice presidente della Commissione carcere Luca Paladini e l’associazione Naga hanno per diverse ore tentato di avere accesso al centro, senza però riuscire ad ottenere il permesso. “Sono un consigliere regionale. Sono un rappresentante istituzionale. Ieri, dopo 5 ore a trattare, non mi è stato permesso di visitare il blocco con le persone detenute nel CPR di Via Corelli a Milano.” ha scritto Luca Paladini su X. Più lapidaria, Naga: “Tali irregolarità e tali comportamenti già di per sé gravissimi, risultano ancor più significativi in quanto protratti nonostante il commissariamento da parte del Tribunale di Milano. […] Quanto è avvenuto è l’ennesima conferma che questi luoghi non sono emendabili, essendo strutturalmente concepiti per la negazione dei diritti fondamentali e della stessa dignità umana: i CPR vanno chiusi, a cominciare da quello di Milano, città che non può tollerare oltre la presenza di un luogo in cui i diritti sono sospesi e l’opacità dell’amministrazione è la regola.”
“Cosa è cambiato per i migranti dal commissariamento del Cpr di via Corelli, mi chiede? In realtà, poco o niente. O meglio, qualcosa è cambiato: adesso almeno non ci sono più società private che lucrano sugli abusi subiti dai trattenuti, e l’assistenza medica per gli atti di autolesionismo c’è – anche perché sarebbe un grave problema se ora, nei Cpr, ci fossero altre morti. Però, per il resto, non è cambiato molto: ci sono ancora dei migranti che sono li, e il personale del centro è rimasto lo stesso. Le condizioni? Non sono migliorate, no. Sono sempre disastrose”. Commenta così Nadia Bovino, operatrice legale dell’associazione Naga, l’attuale situazione del Cpr milanese da quasi due mesi sotto sequestro per volere della Procura, nell’indagine aperta dal Tribunale di Milano sulle presunte irregolarità e violazioni commesse dalla società incaricata di gestire il centro (indagine che, quindi, non ha come oggetto principale le condizioni dei migranti presenti nel Cpr, ma i reati di frode e turbativa d’asta che sarebbero stati commessi dalla società – è importante chiarirlo fin da subito). E’ a lei che ci siamo rivolti nel tentativo di far luce sugli ultimi sviluppi della vicenda giudiziaria legata al sequestro del centro: questo perché, negli ultimi mesi, gli operatori Naga sono stati fra i pochi che hanno avuto possibilità di farvi visita (quando hanno potuto farlo, certo: sui fatti delle scorse ore, si dovrà fare chiarezza). Come spiega Bovino, infatti, accedere ai Cpr è molto (molto) difficile dal momento che è quasi impossibile, di fatto, ottenere dalla Prefettura quel permesso che la legge garantisce, genericamente, “ai soggetti che ne fanno motivata richiesta”. Per parte nostra, abbiamo provato a contattare la Prefettura, senza però ottenere risposta, e a telefonare diverse volte al numero messo a disposizione in rete dallo stesso Cpr di via Corelli (secondo Google, “carcere a Milano”).
Così, è a Naga che ci siamo affidati per affrontare il tema, oltre che all’indomani delle più recenti proteste, anche alla luce di quanto accaduto a inizio febbraio nel centro di Ponte Galeria.
Del resto, i fatti delle ultime settimane non sono altro che una conferma, conferma di cui non avevamo bisogno: nei Cpr si muore, e si muore male. Ousmane Sylla, 22 anni, originario della Guinea: “Se morissi vorrei che il mio corpo fosse portato in Africa, mia madre ne sarebbe lieta”, la scritta in francese sul muro del Cpr romano. Poi, il cappio realizzato con un lenzuolo e il ritrovamento del corpo la mattina di lunedì scorso, impiccato ad un’inferriata. Ousmane è l’ultimo dei 14 migranti morti in 5 anni nei Cpr d’Italia. Morti tra degrado estremo, violazioni di diritti e abusi.
Condizioni queste che erano state riscontrate, lo scorso dicembre, anche dall’indagine disposta dalla Procura di Milano che aveva portato al commissariamento del Cpr di via Corelli, centro per il rimpatrio milanese nato nel 2014 dalla chiusura dell’ex CAS. Nessuna visita medica ne’ alcuna possibilità di curarsi, camerate in condizioni indegne, cibo scaduto con tanto di vermi e assenza di informativa legale ai trattenuti: questi erano solo alcuni degli elementi che erano stati riscontrati dalla Guardia di Finanza a seguito dell’ispezione, che avevano portato il Tribunale di Milano a ordinare il commissariamento d’urgenza della struttura, nominando un direttore straordinario per la gestione temporanea del centro e mettendo sotto sequestro la società che si fino a quel momento si era occupata del Cpr.
Stando all’inchiesta della Procura infatti Martinina Srl, la società privata con sede a Potenza incaricata del Cpr, avrebbe commesso alcune gravi irregolarità per aggiudicarsene la gestione in occasione della gara d’appalto dell’ottobre 2022. Precisamente, la società è accusata di aver prodotto, in occasione della gara, una serie di documenti falsi a certificare la sua collaborazione con alcuni enti assistenziali e di volontariato che sarebbero stati coinvolti nella gestione del Cpr, così da garantire ai migranti condizioni di vita decenti e servizi di assistenza di base.
Servizi che, come emergeva dall’ispezione della Guardia di Finanza (e come denunciavano da tempo le attiviste e gli attivisti di Naga e Mai più Lager – No ai CPR), non erano mai stati garantiti agli ospiti: così, i soci di Martinina Srl si sarebbero messi in tasca i 4 milioni e 400mila euro erogati dalla Prefettura per la vincita dell’appalto (40 euro al giorno a persona più 132 euro per un kit di vestiti, per un totale di 72 posti disponibili), mentre i migranti ospiti del Cpr venivano trattenuti nel centro in condizioni disumane tra abusi, violenze e violazioni indicibili, senza alcuna possibilità di denuncia ne’ di contatto con l’esterno.
“Tutto questo, ripetiamolo, senza aver commesso alcun reato” sottolinea Nadia Bovino che ricorda come, ad oggi, chiunque si trovi in Italia in uno stato di irregolarità rischi di finire in un Cpr, a causa di un permesso di soggiorno scaduto per i più vari motivi. “In Italia, se perdi il permesso di soggiorno non lo puoi recuperare. Ti serve trovare un nuovo titolo, altrimenti rimani irregolare. Come si può perdere il permesso di soggiorno? Perdendo il lavoro, ad esempio. O divorziando. Oppure, ecco, questo è un altro caso molto comune: il passaggio da minorenne a maggiorenne. I ragazzini che diventano troppo grandi per le comunità (come stabilito dalla legge 47 del 2017, infatti, i minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia non possono essere respinti, ma devono essere identificati e collocati in strutture apposite) spesso vengono lasciati in strada con in mano solo il foglio dell’appuntamento per la richiesta di permesso di soggiorno. Questi ragazzini rischiano tutti di finire nei Cpr. Perché? Perché quando compiono 18 anni la legge italiana non li tutela più, ma questo loro non lo sanno.”
Così, quasi due mesi fa, il Cpr di via Corelli veniva commissariato. La gestione del centro passava al commercialista Giovanni Falconeri, e l’accordo tra la Prefettura e la società Martinina Srl veniva sciolto. Martinina veniva sequestrata, e l’inchiesta sulle irregolarità prodotte al momento della concessione dell’appalto sono ancora in corso. Ma nel frattempo, secondo Naga, le condizioni del Cpr di via Corelli sono rimaste più o meno le stesse. Stessi operatori, stessi medici. Stessi collaboratori esterni. Stessa poca chiarezza riguardo alle competenze di chi gestisce il centro, stessa mancanza di servizi sanitari e assistenziali di base. E questo è circa lo stesso quadro che riscontravano il capogruppo del Pd in Regione Pierfrancesco Majorino insieme al collega Paolo Romano quando, alcuni giorni dopo il sequestro del centro, avevano avuto modo di farvi visita. Dalla Procura non si rilasciano dichiarazioni. Nel mentre, nel Cpr si continua a protestare. E sulle condizioni del centro, dopo il barlume di speranza e chiarezza che era stato gettato dalle indagini della Procura, è nuovamente calata una fosca coltre di ostruzionismo e opacità.
“C’era da aspettarselo. Quello che la Procura doveva fare l’ha fatto, e un provvedimento del gip c’è stato. Ora c’è da sperare che si arrivi a processo. Se ci costituiremo parte civile? Si, certo, abbiamo intenzione di farlo. Però ricordiamoci questo: l’indagine aperta dalla Procura di Milano non riguarda le condizioni del Cpr di via Corelli. Si tratta di un’indagine per frode e turbativa d’asta, a carico di una società privata. Incaricata della gestione del centro, si, ma indagata per turbativa d’asta. Le condizioni dei migranti non sono l’oggetto principale del procedimento. La possibilità di chiudere il Cpr di via Corelli non è stata presa in considerazione dall’autorità giudiziaria. Infatti, come le dicevo, ad oggi il Cpr è attivo. Due settimane fa ci è arrivata notizia di dodici nuovi richiedenti asilo: le convalide di trattenimento ci sono, e i problemi all’interno della struttura sono sempre gli stessi. E questi problemi esisteranno finché esisteranno i Cpr. Ma qui la responsabilità non è del Tribunale di Milano, ma del Governo.”
Di quel Governo che, pochi giorni fa, si è dimostrato possibilista all’apertura di nuovi Cpr in Lombardia, così come ha riferito Mauro Piazza, il sottosegretario all’autonomia in Regione membro della Lega di Salvini. “I Cpr? Sono utili, si tratta di strutture necessarie”.
[Foto: Mai più lager – NO ai CPR (@noaicpr) via Instagram]
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