Diritti
Cinque coop milanesi dicono no al bando sull’accoglienza della Prefettura
Cinque cooperative sociali della Lombardia (Coop Lotta Contro l’Emarginazione Onlus, Diapason Cooperativa Sociale, Fuori Luoghi Onlus, Il Melograno Onlus, Passapartout Consorzio di Imprese Sociali), in un percorso condiviso con le Centrali Cooperative Legacoop e Confcooperative, hanno deciso di non partecipare al nuovo bando dell’accoglienza diffusa della Prefettura di Milano la cui scadenza era fissata per ieri 12 marzo.
Contestualmente le cinque cooperative lombarde hanno depositato un ricorso al Tar del Lazio per chiedere l’annullamento con sospensiva del nuovo bando perché non rispetta gli standard di qualità definiti della Carta della Buona Accoglienza, promossa da Confcooperative, Legacoop e poi sottoscritta nel 2016 a livello nazionale da ANCI e dal Ministero degli Interni, e perché non consente di sostenere e coprire i costi necessari per gestire il servizio pur con le ridotte prestazioni previste dal nuovo capitolato.
«La decisione di fare ricorso al Tar del Lazio è la nostra democratica reazione al decreto sicurezza e all’impostazione dei nuovi bandi, culturalmente e socialmente sbagliata oltre che economicamente insostenibile», sottolinea Silvia Bartellini presidente di Passepartout Consorzio di Imprese Sociali, una delle realtà coinvolte nel ricorso. «Il taglio delle rette previsto dai nuovi bandi che stanno uscendo in tutta Italia, infatti, va a discapito delle professionalità degli operatori che lavorano nelle strutture dell’accoglienza diffusa e dei servizi di integrazione forniti agli ospiti. Queste organizzazioni lavorano da molti anni nell’accoglienza di persone in situazione di fragilità e quella dell’inclusione e dell’integrazione è la vera alternativa a un sistema di puro assistenzialismo che si allontana dalla cura e dall’attenzione verso la persona e a questo diciamo uniti fermamente no».
La conseguenza immeditata della decisione presa dalle cinque realtà del terzo settore milanese di non partecipare al bando della Prefettura di Milano si traduce nel rischio concreto per le persone accolte da queste realtà dell’accoglienza diffusa di tornare nei grandi centri collettivi allo scadere del prossimo 30 aprile, perdendo così di fatto il principio reale dell’opera d’integrazione.
Diversi enti del terzo settore si stanno organizzando in altre Regioni per far fronte ai nuovi bandi, attraverso iniziative simili. Quanto le accomuna è l’idea che deve essere rispettata la dignità della persona, ancor più se fragile, nonché la dignità del lavoro prestato in questo settore, rifuggendo da valutazioni astratte sui costi di riferimento.
«La scelta delle cooperative milanesi, cui si aggiungerà presto quella di altre realtà in Provincie diverse, va intesa come la volontà di affermare e difendere un modello imprenditoriale che non può scindere gli aspetti economici da quelli valoriali; di fronte alla prospettiva di vedersi paragonare a semplici “custodi e controllori” e di veder vanificati percorsi di inclusione sociale e lavorativa intrapresi con tanta fatica e passione è legittimo, da parte delle associate, intraprendere la strada giudiziaria», evidenzia Valeria Negrini di ConfCooperative e portavoce dell’Alleanza Cooperative Italiana-Welfare Lombardia.
La Prefettura milanese è stata fra le prime, tra le grandi città, a pubblicare le gare per gli enti che vogliono gestire centri per richiedenti asilo nel 2019 e 2020: 2.900 posti complessivi, di cui 750 in appartamenti, 500 in strutture collettive fino a 50 posti, altri 1.650 per centri collettivi da 51 a 300 posti. A essere penalizzate sono soprattutto le piccole strutture dell’accoglienza diffusa, vera leva che sostiene il processo d’inclusione e integrazione.
Le cinque cooperative e onlus milanesi che hanno fatto ricorso al Tar del Lazio accolgono in totale 313 richiedenti asilo con fragilità diverse. Tutte persone con diritto a un’accoglienza inclusiva e non assistenziale e che entro il 30 aprile, se la gara non verrà nel frattempo sospesa o annullata dal Giudice amministrativo, rischieranno di essere spostate nei grandi centri collettivi, interrompendo il percorso di integrazione sin qui intrapreso.
«Insieme alla cooperative aderenti, abbiamo sempre sostenuto un modello di intervento che punta a integrare le persone migranti, accogliendole in modo capillare e diffuso, e dunque meno impattante nelle città e nei territori. Il taglio delle risorse impedisce ora di lavorare per integrare, scegliendo una modalità di intervento non sociale, ma solo securitaria. Non possiamo salire su un treno del genere e quindi appoggiamo con convinzione questo ricorso e altre iniziative simili che sappiamo già in cantiere», ribadisce Felice Romeo, coordinatore area welfare di Legacoop Lombardia.
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