Diritti
Casapound, la destra romana e quei “profughi con lo smartphone”
Da Settecamini a Casale San Nicola. Cambia lo scenario, non il copione, perché dietro le proteste e gli scontri la regia politica è sempre la stessa, quella dei neofascisti di CasaPound, che da più di un anno si “divertono” a soffiare fuoco sulle periferie romane. L’obiettivo è sempre lo stesso, i centri che accolgono “i profughi con lo smartphone”(come li definiscono in un comunicato), così come gli slogan: “l’Italia agli italiani” o “rivogliamo la nostra Roma”. Sarà un caso, ma durante i 5 anni della giunta Alemanno, mentre la periferia romana silenziosamente si riempiva di questi centri dedicati all’accoglienza per stranieri, finiti anche nel mirino dell’inchiesta giudiziaria “Mafia Capitale”, di loro le cronache non davano traccia. E’ con con l’avvento del sindaco Marino che inizia nelle periferie questa campagna di patriottismo spesso dai toni razzisti.
Nell’aprile 2014, nel quartiere Settecamini, un supermercato sta per trasformarsi in un centro per richiedenti asilo. Il quartiere protesta e accanto ai comitati cittadini, in prima fila ci sono loro. “Non siamo di destra, ma sono gli unici che ci aiutano” dicono i residenti. La scena si ripete pochi mesi dopo, a luglio, a Torre Angela, dove il comitato di quartiere è guidato dell’ex caposcorta di Gianni Alemanno. Un centro commerciale abbandonato, il Dima shopping, pare stia per essere occupato da “clandestini”. Nonostante le smentite del prefetto Pecoraro, per quasi un mese ogni notte la strada principale si riempie. Il centro non si farà più e tutto torna nella normalità.
E’ a Corcolle, sul finire di settembre, che accade il punto di non ritorno. Una sassaiola, probabilmente mai avvenuta, contro un autobus in ritardo, diventa il pretesto per occupare la via Prenestina e dare vita alla “caccia al negro” contro gli ospiti del centro di accoglienza che ha appena aperto, ritenuti responsabili del gesto. La follia razzista prende di mira anche gli stranieri residenti da diversi anni, ma alla fine darà i suoi frutti: dopo pochi mesi il centro viene chiuso. La stessa cosa accade a Tor Sapienza, dove ad essere preso d’assalto è un centro di accoglienza per minori. Anche lì, dopo le proteste, il comune opta per il trasferimento degli stranieri. Senza risultati le proteste vengono replicate all’Infernetto, mentre all’Hotel Cinecittà, invece, il tam tam preventivo riesce ad impedire l’apertura del centro, a differenza di Casale San Nicola, dove nonostante le proteste, il centro – come ha ribadito il prefetto Gabrielli – si farà.
Le modalità si ripetono in ogni quartiere: in prima fila, davanti alle telecamere, i comitati cittadini a parlare di degrado e di presunte “guerre fra poveri”. Dietro ci sono loro, i duri di Casa Pound, a fare il lavoro “sporco”. E se non si forma il comitato, come nel caso del palazzo di via Assisi, uno stabile di Fintecna occupato da senza fissa dimora, lo creano loro. La matrice grafica degli striscioni, così come gli slogan non lasciano adito a dubbi. Quando manifestano, spesso la piazza è condivisa con i militanti di Fratelli d’Italia, con cui vige una piena subalternità politica: non è un caso che ieri fra gli arrestati ci fosse anche l’avvocato Giorgio Mori, ex consigliere municipale del XX municipio, coinvolto negli scontri “per difendere donne e bambini” (questa mattina l’arresto non è stato convalidato). D’altronde i militanti di CasaPound erano in piazza nel novembre 2014, a pochi giorni dall’esplosione del primo scandalo di Mafia Capitale, nella marcia della destra cittadina contro il degrado, così come il 28 febbraio a Piazza del Popolo, insieme a Giorgia Meloni, quando venne Matteo Salvini, osannato poche settimane dopo anche nell’incontro “privato” al teatro Brancaccio dell’11 maggio. “C’è solo un capitano”, dicevano in quell’occasione. Ma dietro ci sono tanti gladiatori, pronti a sacrificarsi per la causa comune della destra. Che dopo aver ferito la città, anche lei, con il suo “mondo di mezzo”, ora prova a riprendersela.
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