Diritti

Calais, crocevia per Londra e per l’Eliseo: dopo lo sgombero problema risolto?

5 Novembre 2016

Il tratto di costa dove sorge Calais è il più vicino tra Francia e Inghilterra: il porto è da sempre il punto di partenza per le navi dirette in Gran Bretagna. Per la sua importanza strategica la zona è stata controllata dagli inglesi sino al 1558, è stato poi il litorale più sorvegliato dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, tanto da indurre gli alleati a sbarcare infine in Normandia. Nel dopoguerra il Pas-de-Calais è diventato il crocevia per arrivare in Gran Bretagna dal continente, ed é il punto da cui parte il tunnel che attraversa la Manica. Insomma Calais rappresenta in qualche modo la frontiera di terra del Regno Unito, soprattutto dopo l’entrata in vigore del trattato istitutivo dell’area Schengen, a cui i britannici non hanno aderito.

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Le varie “giungle” dagli anni ‘90 ad oggi

Alla fine degli anni ’90, con l’aggravarsi della crisi nell’ex Jugoslavia, centinaia di persone lasciano i territori devastati dalla guerra per raggiungere il Regno Unito. Sono dunque costrette a passare da Calais, dove spesso dormono nelle strade aspettando di trovare il modo per attraversare la Manica.  In quel momento il passaggio da un paese all’altro è regolato dal Protocollo di Sangatte: l’accordo prevede, a partire dal 1994, che i controlli vengano svolti sul territorio del paese di partenza dagli agenti di frontiera del territorio di arrivo. Così, chi viaggia dall’Inghilterra alla Francia, deve sottoporsi ai controlli della polizia francese nella città britannica di Cheriton; chi compie il percorso inverso viene controllato dagli agenti inglesi nella città francese di Coquelles.

Nel 1999, visto il continuo aumento del flusso dei migranti, le autorità francesi decidono di utilizzare un hangar in disuso dell’Eurotunnel, nella città di Sangatte, come rifugio temporaneo per il trattamento delle domande di autorizzazione, gestito dalla croce rossa. Il centro vede transitare quasi 70mila persone in tre anni, dal 1999 al 2002, e la situazione peggiora sempre di più: inizialmente pensato per ospitare non più di 800 migranti, Sangatte si trova a doverne ospitare contemporaneamente poco meno di 2000 per tutto il 2002. La situazione è dunque insostenibile: il ministro dell’interno dell’epoca, Nicolas Sarkozy, decide di chiudere il centro e  ricollocare  immediatamente i migranti installati al Pas-de-Calais. A seguito di un accordo tra Francia e Regno Unito due terzi dei migranti sono accolti in Inghilterra, il restante terzo resta in Francia.

Per regolare definitivamente la situazione, un anno dopo i due paesi siglano il trattato di Touquet. L’accordo, che si inserisce all’interno del protocollo di Sangatte citato prima, consente i controlli di frontiera nel porto di Calais per gli agenti inglesi, e di Dover per gli agenti francesi, sul modello di quanto fatto per l’Eurotunnel. Perché si sente il bisogno di rendere operativi altri uffici transfrontalieri oltre a quelli già esistenti e definiti dal trattato del ’94? Il motivo è chiarito nell’esposizione dei motivi che aprono il trattato: “L’afflusso [dei migranti ndr] non è che relativamente esaurito e rischia di spostarsi nei porti marittimi che assicurano il collegamento con la Gran Bretagna a seguito della chiusura del centro; di conseguenza, la messa in opera degli uffici dei controlli nazionali giustapposti nei porti della Manica e del Mare del Nord dei due Stati  appare necessario”

L’afflusso di migranti, seppur non nelle dimensioni causate dalla guerra dei Balcani, non cessa: si creano nuovi piccoli agglomerati spontanei, periodicamente smantellati dal governo francese. Nel 2009 viene rasa al suolo una piccola “giungla”  abitata da quasi mille persone, l’operazione si svolge sotto il controllo di Éric Besson, ministro dell’immigrazione durante la presidenza di Nicolas Sarkozy; i giornali titolano “presto la Giungla non esisterà più“. Negli anni successivi la popolazione in transito si stabilizza tra 300 e 500 migranti ma, a seguito dell’instabilità crescente in Medio Oriente, i numeri tornano a crescere: nel maggio 2014 municipalità e prefettura del Pas-de-Calais decidono di smantellare tre campi informali per  ragioni di igiene e sicurezza; a luglio viene evacuato il campo principale della città. Ancora una volta però, i campi si ricreano così come si moltiplicano i tentativi di saltare sui TIR diretti all’Eurotunnel e al porto di Calais, unico modo per evitare i controlli e arrivare clandestinamente in Regno Unito.

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A settembre 2014 la popolazione raggiunge più o meno i 1500 occupanti, che si riparano in dei containers. Viene quindi istituito un centro di accoglienza per gestire le domande. Intorno al centro, che è stato poi funzionante per tutta la vita della “giungla”, c’è un grande terreno vuoto nel quale i profughi cominciano a montare tende e ad organizzarsi, con l’aiuto di una serie di associazioni umanitarie. Persino l’UNHCR, l’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, decide di aprire un centro permanente. Nel marzo 2015 tutti i migranti sparpagliati per la città vengono invitati a installarsi su questo terreno vuoto, e a giugno diventano 3000. Allo stesso tempo aumenta il numero dei tentativi di passaggio, e conseguentemente delle forze di polizia, che passano da 600 a 2000 effettivi.

Infine, dopo aver raggunto ormai i 10mila abitanti, il governo decide di smantellare progressivamente il campo. A seguito della creazione dei CAO (centri di accoglienza e orientamento) su tutto il territorio nazionale, le forze dell’ordine iniziano a sgomberare piccole parti del campo, col risultato di rendere “la giungla” sempre più densamente popolata e pericolosa. A settembre 2016 viene finalmente annunciato lo sgombero definitivo che è poi stato completato questa settimana quando anche gli ultimi minori non accompagnati hanno abbandonato Calais. I rifugiati sono stati collocati in vari centri di accoglienza sparsi in tutto il paese, e gli è stata data la possibilità di scegliere in quale regione stabilirsi.

 

Quali sono i problemi adesso?

Il timore è che, come insegnano i vari tentativi falliti di gestire il flusso di migranti, alla fine del prossimo inverno il problema possa ripresentarsi. François Guennoc, dell’associazione l’Auberge de Migrants, ha detto al Nouvel Observateur  che “a breve termine, il governo può raggiungere i suoi fini, ma nelle settimane che vengono, cosa ci dice che riuscirà laddove tutti gli altri hanno fallito?”. Per evitare di tornare al punto di partenza, il ministro dell’interno Bernard Cazeneuve ha deciso di chiudere tutte le strutture di appoggio. Sono quindi stati smantellati il centro di accoglienza provvisorio, i containers, i servizi igienici, oltre alle tende. L’esperienza è che sinora i campi informali si sono sempre formati intorno a delle strutture esistenti, eliminandole dovrebbe essere più difficile per i gruppi di migranti installarsi. Secondo Guennoc, è comunque impossibile risolvere la crisi in questo modo: “Calais è la roccia di Sisifo. È illusorio credere che liquidare il campo sia la soluzione per tutto. In realtà siamo di nuovo nelle condizioni che hanno condotto all’apertura di questo campo. Con un maggior numero di persone tra l’altro, perché gli arrivi sono aumentati”.

Come ha raccontato gran parte della stampa francese, prima che cominciasse lo sgombero, hanno lasciato il campo quasi 3000 persone, per evitare di partecipare al ricollocamento. Dove sono andate? Alcune sono rimaste nella regione del Pas-de-Calais, nascondendosi nei boschi e nei villaggi più piccoli; ma la maggior parte è andata verso Parigi. Ogni giorno, nella capitale, arrivano tra gli 80 e i 100 migranti; si installano sotto i ponti della metropolitana vicino alla stazione di Stalingrad, a due passi da Canal Saint Martin una delle zone più turistiche e frequentate dai parigini. Queste persone aspettano che le acque si calmino per ritornare a nord, e raggiungere il Regno Unito. Parigi, come Calais, è solo una tappa.

Migranti giocano a calcio aspettando l'evacuazione a Stalingrad, Parigi. La foto è della giornalista Maryline Baumard
Migranti giocano a calcio aspettando l’evacuazione intorno al Métro di Stalingrad, Parigi. La foto è della giornalista Maryline Baumard

A Stalingrad quindi si è creato un vero e proprio campo causando enormi disagi agli abitanti, per il traffico e la sporcizia, e al comune, che ha tutti i centri di accoglienza saturi. Per capire bene qual è lo spirito dei migranti, la rivista online Mediapart ha raccolto moltissime testimonianze, sia tra i migranti di Calais che tra quelli ormai stabiliti a Parigi. Salomon, ingegnere arrivato da Asmara, spiega alla rivista:“Se ci chiederanno di partire, partiremo. Se ci obbligheranno a salire su un bus, saliremo sul bus. Poi ritorneremo. Anche dalla frontiera spagnola, ritorneremo. Abbiamo già fatto la parte più difficile, come circolare in Eritrea, di nascondiglio in nascondiglio sino alla frontiera. Abbiamo attraversato il deserto tra la Libia e il Sudan.”

Veder crescere una “giungla” al centro di Parigi non era accettabile per le autorità francesi che ieri mattina hanno lanciato una vasta operazione per smantellare l’agglomerato spontaneo, requisendo 80 bus per procedere al trasferimento delle persone. In totale sono state evacuate 3852 persone, destinate a  centri di accoglienza temporanei istituiti nella regione parigina, come palestre o caserme. Si tratta in ogni caso del trentesimo intervento nella zona, tanto che il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, ha chiesto al governo di velocizzare i lavori per il centro di trattamento delle domande d’asilo previsto nel XVIII arrondissement. Il nuovo hotspot dovrebbe servire a gestire gli arrivi giorno per giorno, evitando di aspettare che la situazione degeneri periodicamente, con 2000 persone per strada in condizioni igieniche disastrose.

Calais non è un problema solo francese

La chiusura del campo di Calais ha tra l’altro spinto le autorità dei paesi confinanti a prendere provvedimenti, segno di quanto il problema sia più generale.

Il Belgio ha deciso di rafforzare i controlli alla frontiera con la Francia, dopo che aveva già sospeso temporaneamente Schengen all’indomani di un primo sgombero della giungla avvenuto a febbraio 2016. La decisione è stata ritenuta necessaria per far fronte al previsto afflusso dei migranti che non hanno partecipato al ricollocamento, e dei nuovi arrivi che, non trovando possibile stabilirsi a Calais, potrebbero decidere di passare la frontiera, a soli 50 km dai campi smantellati. Durante una conferenza stampa il ministro dell’interno belga ha spiegato che saranno aumentati i controlli alle frontiere(più di 300), e la misura durerà il necessario. È chiaro che i belgi non vogliono un campo come quello di Calais intorno ai loro porti più importanti, come quello di Zeebrugge, che assicura un collegamento quotidiano con le coste britanniche. Controllare in modo efficace la frontiera è comunque impresa ardua: il confine è lungo circa 600 km, non ha grandi impedimenti di tipo naturale, e secondo FranceInfo sono più di 300 i possibili punti di passaggio.

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Il problema inverso deve affrontarlo l’Italia che si trova nella stessa situazione della Francia rispetto all’Inghilterra: a Ventimiglia si rischia la nascita di un grande campo profughi informale, da gennaio ad oggi sono stati intercettati dalle autorità francesi 24mila migranti e la maggior parte è stata rimandata indietro. La Francia ha aumentato i controlli alle frontiere, anche perché, come spiega un agente di frontiera francese all’ANSA: ”quando i migranti arrivano a Ventimiglia sanno perfettamente dove andare. Esiste una rete in Italia che indirizza i migranti verso le persone giuste”. La rete è composta dai cosiddetti “passeur”, in genere immigrati di seconda generazione che conoscono perfettamente la zona e permettono di passare la frontiera per 200, 250 euro. L’alternativa è provare ad attraversare il confine da soli, a piedi, per le strade di montagna o di notte in autostrada, come ha provato a fare una giovane ragazza eritrea rimasta uccisa un mese fa, investita da un mezzo pesante.

Quali sono le reazioni della politica?

Il piano di ricollocamento è stato molto criticato dai sindaci, alcuni hanno rifiutato di accogliere i migranti senza prima tenere un referendum. Le delibere già impugnate sono però state giudicate illegali dal Consiglio di Stato, visto che la gestione degli arrivi  non è una materia di competenza comunale.

Il segretario generale del Front National, partecipando ad una manifestazione contro il ricollocamento a Saint-Denis-de-Cabanne,  altra piccola città che ospiterà un centro di accoglienza e identificazione, ha criticato questi accordi perché “forzati e a carico del contribuente”. In alcune città le proteste sono state anche violente: a Louvenciennes, il sito destinato ad accogliere i migranti è stato dato alle fiamme, mentre a Saint-Bauzille-de-Putois il sindaco si è dimesso per contestare l’arrivo di quasi 90 migranti nelle strutture del suo comune.

Dal canto suo il governo si gioca l’ultima parte della credibilità sulla gestione dell’evacuazione e del ricollocamento. Hollande proverà a far passare il messaggio che esiste una maniera di sinistra di gestire il problema immigrazione, coadiuvando l’autorità dello Stato con la fratellanza dell’intervento umanitario. È quindi una mossa politica del governo? In parte sì, nel senso che finora i socialisti hanno fatto di tutto per rinviare scelte rischiose in merito alla gestione dell’immigrazione: smantellare un campo con diecimila persone non è una cosa facile, il 2014 e il 2015 sono stati anni elettorali molto difficili per il governo (i socialisti sono crollati alle europee e hanno perso quasi tutte le regioni, mentre il FN ha avuto dei risultati ottimi), e nell’esecutivo si è consumato un grande scontro in materia di sicurezza tra il ministro della Giustizia Christiane Taubira e il Primo Ministro Manuel Valls, risolto con le dimissioni del guardasigilli.

L’operazione ha dunque l’ambizione di limitare la retorica anti-immigrati del Front National: se il ricollocamento dei migranti dovesse riuscire senza incidenti, come sembra, il governo dimostrerebbe che con una reale volontà politica è possibile gestire gli arrivi senza traumi. D’altro canto una parte consistente del voto per il Front National è radicato nelle zone rurali, zone in cui per ovvi motivi sinora di migranti non se n’erano visti. Il messaggio di Marine Le Pen è perciò sempre stato incentrato sulla possibilità dell’arrivo dello straniero “vedrete che arriveranno anche qui”. La redistribuzione potrebbe quindi essere la realizzazione delle paure di una parte dell’elettorato, e una sorta di profezia avverata della leader frontista.

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L’immagine in copertina è della giornalista Maryline Baumard

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