Diritti
Belfast, la Domenica di Sangue, 50 anni dopo
Era stato un anno intriso di sangue, aperto da tafferugli a Coleraine, Belfast, Derry, ovunque, e represso con fumogeni, proiettili di gomma, fucilate e botte da orbi da parte dell’esercito regolare nordirlandese, al soldo degli inglesi, ma anche eccitato con attentati dinamitardi da parte dell’IRA. L’Ulster, una delle regioni più povere d’Europa, piccola area funestata da una pioggia quasi perenne e da una miseria millenaria, è il palcoscenico di una guerra sordida tra l’Impero Britannico, ancora offeso per il fatto che l’Irlanda abbia raggiunto la propria indipendenza, e l’IRA, che giura morte e distruzione finché l’Ulster non sarà anch’esso Irlanda libera.
Era iniziato la mattina del 9 agosto, quando la polizia di Ballymurphy crede di aver identificato un gruppo di militanti dell’IRA che si preparano ad un attentato. Londra, invece di mandare le forze locali, invia il 1° Reggimento dei Paracadutisti, un’unità che ha guadagnato medaglie ed onore nella Seconda Guerra Mondiale, e nota per essere spietata, efficiente, sanguinaria. I Paracadutisti sbarcano per le strade del quartiere di Belfast sparando all’impazzata. Non ci sono terroristi, ma solo povera gente che va in giro per i fatti propri. Ufficialmente muoiono “solo” undici (o forse trenta) passanti, ma la cifra vera non al si saprà mai. E stavolta persino la stampa londinese ammette che, a Belfast, sarebbe forse meglio usare sistemi più umani.
Sono le settimane in cui nasce, sospinto da diverse chiese cattoliche, il NICRA (l’Associazione Nordirlandese per i Diritti Civili), che si proclama aperto a tutti, e raccoglie sia cattolici che protestanti, irlandesi o meno, uniti da un solo punto programmatico: basta sangue, basta arresti ingiustificati, basta torture, basta attentati, basta omicidi. Un programma che dispiace agli inglesi esattamente quanto dispiace all’IRA. Londra proibisce qualsiasi manifestazione e decide di mantenere i Paracadutisti a Belfast per garantire l’ordine.
La mattina del 30 gennaio, partendo da diverse chiese, alcune cattoliche, altre protestanti, oltre diecimila cittadini dell’Ulster scendono in strada a Londonderry, le braccia conserte piene di fiori, in una marcia silente che dovrebbe portare fino alle carceri in cui giacciono centinaia di cittadini innocenti, torturati dalla polizia britannica. Lo scopo è chiaro: dimostrare che la forza ed il consenso dei pacifisti siano maggiori della sete di sangue dei due gruppi che si fronteggiano nel nord dell’isola.
Niente da fare. Quelli dell’IRA minacciano un attentato ed il governo inglese scatena i mastini per le strade del capoluogo nordirlandese. Gli ordini: fateli smettere, a qualunque costo. Quello che è successo dopo è chiamato “Bloody Sunday”, la domenica di sangue. Povera gente inseguita, pestata, stuprata, uccisa come cani in mezzo alla strada. Per ore. Restano a terra 26 cittadini di Derry, la maggior parte dei quali liceali di 17 anni, disarmati, alcuni resi irriconoscibili dalla furia sanguinaria degli inglesi che, nonostante la reazione sconvolta dell’opinione pubblica mondiale, la passeranno liscia, verranno “coperti” dalla complicità del governo britannico.
Dieci anni dopo, seguendo le commemorazioni della Domenica di Sangue, il chitarrista degli U2, The Edge, improvvisa alcune righe di rabbia ed un riff fatto con un ritmo di batteria che assomiglia a quello di una marcia militare. Bono, il cantante, rientra pochi giorni dopo dal viaggio di nozze, e riscrive il testo, che riporta i due ragazzi nordirlandesi, tra i pochi musicisti dell’Ulster ad avere avuto successo a livello internazionale, ai giorni della loro infanzia ed ai loro ricordi di bambini e di adolescenti. Ne scaturisce un testo pieno di rabbia, che chiede una cosa sola: fino a quando dovremo subire tutto questo? Non è né dalla parte degli inglesi, né da quella dell’IRA. Come dirà il batterista Larry Mullen durante la presentazione del brano, “a noi non interessa la politica dei politici e degli Stati. A noi interessa la politica della povera gente. La vera battaglia da vincere non è quella tra due eserciti, ma quella di ottenere che la gente smetta di morire per opera di banditi travestiti da politici”.
Gli U2 la suonano ancora oggi. Larry inizia il rullo della batteria, la gente saluta gridando ed applaudendo, e Bono sale di corsa sul palco, trascinando una bandiera bianca, mentre alle spalle della band scorrono le immagini del film-documentario che racconta quella terribile mattina di mezzo secolo fa. Una domenica di barbarie e di sangue inutile, visto che l’Ulster è tuttora poverissimo ed è tuttora parte delle terre d’occupazione inglesi. Una delle ultime colonie di un popolo già vinto dalla storia e che non vuole rinunciare nemmeno alla più piccola briciola di potere sui popoli sottomessi.
La canzone è una pietra miliare della storia della musica e cultura dell’Ulster, ed è uno dei brani più famosi degli U2. Una canzone che ancora oggi, che siamo vicini alla cinquantesima commemorazione della Domenica di Sangue, mi fa tremare di commozione e di rabbia. Perché gli assassini sono ancora lì, e diventano sempre più potenti e temibili: in Turchia, in Siria, in Egitto, in Russia, nell’America Centrale, in Africa, nel Myanmar. La bestia non muore mai. Siamo noi, ancora adesso, a morire.
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