Diritti

Autunno caldo, cadono le foglie, cadono i corsi e pure i ricorsi

12 Novembre 2014

Fango, sangue, diritti, lavoro, opposti estremismi, violenza.  I corsi e i ricorsi si rincorrono veloci sì, a volte talmente veloci e silenziosi da non apparire più evidenti di una luce infinitesimale che arriva da lontano, lascia una segno, una parola, un’immagine e se ne va, e “chissà dove andrà”, direbbe qualcuno: siamo attori non-protagonisti di un autunno caldo che più caldo non si può. Autunno bagnato dal fango di Genova e dal sangue dei malcapitati operai finiti sotto i manganelli, acceso dalla rabbia per Stefano Cucchi e insaporito dai nuovi scontri di piazza con tributo agli anni Settanta, dove le ideologie politiche hanno visto cedere il passo a quelle sociali e civili.

 

E così mentre “gli angeli del fango” spalavano la melma per le strade di Genova qualcuno si chiedeva come mai fosse stato rispolverato questo epiteto anche un po’ pacchiano e anacronistico, a prima vista d’occhio. Dunque inseguendo la velocità del corso e del ricorso si scopre o si ricorda che gli angeli del fango nacquero nel novembre del 1966 in seguito all’alluvione di Firenze causata dallo straripamento del fiume Arno, la regina delle alluvioni nel paese delle alluvioni, la tragedia dal sapore romantico, lo spartiacque tra il mondo antico e l’età della contestazione. Era il 1966 perbacco, stiamo parlando di quasi cinquant’anni fa, il paese era cattolico di spirito e di corpo e gli angeli godevano ancora di diffusa e canonica credibilità: l’angelo è sì un servitore di Dio ma simboleggia soprattutto consapevolezza spirituale e aspirazione ideale, è sempre il messaggero di qualche volontà celestiale, insomma, visto che dal fango -secondo i libri sacri- nasce l’uomo a immagine e somiglianza divina.

 

Strano altresì pensare che una generazione considerata amorfa, vessata, frustrata e imbonita dalla tecnologia si possa repentinamente trasformare in un esercito coraggioso che caccia il Male dalla Terra, ma i giornali si sa sono capaci di affrescare a piacimento qualsiasi significante per trasformarlo in significato. I giovani spalatori di Genova e di Parma sono figli o forse già nipoti di quei giovani spalatori simili agli angeli dalle belle fattezze eteree, e quegli altri come questi appaiono uniti nella propria emarginazione da una società sempre più avulsa e stantìa, tutto questo in un viaggio parallelo lungo mezzo secolo, una cifra tonda che sembra obbligatoriamente voler segnare il passaggio tra la prima e il bis.

 

Sia chiaro che tutto ciò non vuol essere altro che un gioco per provare a fregarcene davvero del tempo e dello spazio dato che questi sembrano concetti già fortemente distorti dalla diffusione del web, dai voli low cost, e da tutte quei fattori che normalmente e anche un po’ banalmente indichiamo nelle varie riflessioni sui nostri tempi. Un gioco immaginario e fittizio che lega le botte prese dagli operai dell’Ast di Terni a quelle prese dai padri operai, sebbene sia più facile trovare un padre studente con un figlio studente che un padre operaio col figlio operaio e sebbene sia ancora più imminente un futuro coi padri studenti e i figli operai.

 

Con l’operaio che d’improvviso torna in auge, continuando a giocare e fermando il cammino in mezzo all’autunno notiamo come la recrudescenza di natura politica continui a crescere gradualmente, passando dall’aggressione a Salvini alle porte di un campo nomadi bolognese e continuando in una serie di piccoli o grandi segnali di tensione, come assalti a circoli PD nel quartiere Corvetto a Milano, o come segnali di intolleranza tra immigrati e italiani a Tor Sapienza: “Banlieue Tor Sapienza” titola l’Huffington Post, come a voler rimarcare la volontà di evidenziare le brutture ma al contempo di allontanarle dal comune vivere civile, che di fatto sembra però venir sempre meno.

 

Forza Nuova è intenzionata a prendere le difese degli abitanti di Tor Sapienza, i centri sociali sono intenzionati a prendere le difese dei Sinti a Bologna, poi non importa se nessuno rappresenta nessuno perché l’importante è assumere una rappresentanza e soprattutto fondamentale per la riuscita del tutto è scattare la foto del blocco contrapposto, del gruppo contro gruppo, dell’uno contro uno laddove unico è solo il pensiero del “dagli addosso al nemico”, e in cui internet facilita la dinamica nonostante abbia anche poi il potere di provare a smontarla. Ora si potrebbe provare a dire che la sensazione di opposto estremismo si fa sempre più nitida e pare davvero un film già vissuto che sfocia dall’Arno e arriva ai giorni nostri con tutte le tante e inevitabili differenze ma anche con le poche ma buone affinità. Sono finite le vacche grasse, ai giovani son rimaste le briciole, dunque si staccano dal contesto e dal fango emergono determinati a combattere il sistema di cose iniziando a individuare però l’avversario principalmente dal basso, dai loro dirimpettai e dagli ultimi, dagli stranieri, dai figli unici dei figli unici.

 

Stessa storia, stessi errori? No. Nessuno qui ha intenzione di forzare alcunché né possiamo avere nostalgia di una stagione simile a quella della seconda metà degli anni sessanta e senza neanche parlare di quella che venne dopo, sebbene molti spettri siano già emersi. Si può per ora inumidirsi il dito e alzarlo al vento per provare a intuire da che parte tira, far tesoro del proprio passato, seppur indiretto, e tentare di incanalarsi nel presente al meglio senza aver la presunzione di poterlo stravolgere ma con la consapevolezza di poterlo capire in tutti i suoi microscopici passaggi che corrono. E si rincorrono.

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