Diritti

Ancora oggi chi dice donna dice danno

11 Maggio 2020

Cos’è un’aula, parlamentare intendo. Dovrebbe essere un luogo sacro perché garante e rappresentante delle massime espressioni democratiche. Quando le offese e il turpiloquio sono pronunciati dall’uomo della strada si chiama in causa la mancanza di cultura, la rabbia, la ricerca del capro espiatorio.
Sgarbi, invece, è un uomo, si presume, con un elevato grado di istruzione, personaggio pubblico, deputato, critico d’arte. Eppure, ciò non gli impedisce di offendere colleghe deputate nell’ambito di un dibattito parlamentare. In Parlamento siedono deputati rappresentanti del popolo che dovrebbero sottrarsi alle performance da circo, dare prova di capacità dialettiche, sottraendola alla sciatta volgarità, spurgando il lessico dalla trivialità.
L’aggressività, sempre e comunque da bandire, quando si tratta di una donna, si esprime ancora esponendola al pubblico ludibrio, facendo riferimento alla sua inclinazione a prostituirsi.
Prostituzione – in realtà termine dotto significante l’atto di mettersi in mostra – è passato attraverso le sue innumerevoli varianti, a seconda delle epoche storiche, da “signorina” a ragazza squillo, uno dei tanti coniato in seguito alla chiusura delle case di tolleranza, ma non è passato mai di moda. Quanto accaduto in Parlamento, – col “siparietto” di Sgarbi trascinato di peso e il suo successivo accostamento mimetico alla “Deposizione Borghese” di Raffaello – rappresenta una realtà dura da digerire: l’offesa al femminile si declina sempre e comunque attraverso l’ insulto sessista.

Oggi parlare di comunicazione equivale a parlare di immagini, al loro flusso martellante ed interrotto. Spesso la loro invadenza è andata di pari passo con la perdita del pudore al punto che è la sobrietà a essere diventata rivoluzionaria.

Ci preoccupiamo dell’inquinamento ambientale dimenticando spesso quello culturale, in un tempo in cui i prodotti dell’industria culturale creano perfetti involucri di carne, ma confondono il corpo con la sua icona.

Pensiamo alla pubblicità, quella che in una manciata di secondi o con un’immagine significativa deve cercare di far cambiare idea sul prodotto o invogliare l’acquisto di uno nuovo, la cui riuscita dipende dal racconto di una storia convincente. Quante di queste pubblicità giocano sull’esibizione de corpo della donna in pose decisamente ammiccanti e il cui nesso col prodotto pubblicizzato si riduce ad una ridicola pantomima di disinibita ostentazione?

La sessualità senza veli è meno ipocrita del puritanesimo dei nostri nonni, ma come speso accade la reazione a un’imposizione, si trasfigura in forme disumane. Da oggetto da occultare e preservare, il corpo, depauperato della sua dimensione erotica, è divenuto principale forma di espressione del soggetto, capitale esposto.

Se consideriamo i programmi televisivi, la nostra è ormai diventata la tv più scosciata del mondo.

Fu la versione berlusconiana del Drive In a dare il via alla tv dei corpi femminili disponibili allo sguardo e all’immaginario. Il Drive In parodia dell’Italia anni 80, della Milano da bere dove le ragazze fast food sono modelli iperbolici, figure retoriche viventi, caricature che rivoluzionarono il modo di fare tv all’insegna della provocazione e della trasgressione.

Da allora il corpo femminile è stato ridotto a oggetto, reificato, muto ma loquace nella sua funzione di segno che solletica pruriti mentre fa crescere il fatturato.

Il trionfo della tv spazzatura è stato poi sancito dall’avvento del reality che dal 2000 imperversa su diversi canali e asseconda i vari format. Salutato come realismo postmoderno, deve la sua popolarità al fatto che solletica la curiosità morbosa dello spettatore sulla publicizzazione dell’intimità.

Se si getta lo sguardo, infine, al panorama politico nel triste ventennio che si suole definire berlusconiano, la mercificazione del corpo è stata rappresentativa di un certo modo di fare politica, gli scandali sessuali hanno portato alla luce il fenomeno della donna tangente, bustarella vivente.

Intanto, in controtendenza con questa presunta libertà di costumi, episodi di femminicidio dilagano quotidianamente e cosa ancora peggiore c’è chi pensa che l’atteggiamento libertino di alcune donne giustifichi la sollecitazione degli istinti peggiori di un uomo.

Dietro ogni frase c‘è un pezzo di società che la produce. Se alla lingua è riconosciuto un ruolo fondamentale nella costruzione sociale della realtà, lo stesso ruolo è riconosciuto alla costruzione dell’identità di genere. É necessario quindi che la lingua, le immagini, le abitudini sociali, la società nel suo insieme si impegnino a eliminare lo stigma che le donne hanno da sempre impresso sulla propria pelle.

La prima operazione da compiere rispetto a ogni stereotipo e quindi anche agli stereotipi di genere che tendono a diventare automatismi, è quella di farli emergere, di acquisirne consapevolezza, di riconoscerli ed evitare condizionamenti.

Il lessico che definiva i ruoli uomo donna in termini di preda cacciatore rilevavano in realtà una relazione che si giocava nel confine dei rapporti di forza, caccia, lotta, vittoria, possesso. Una metafora antica quella della preda e del cacciatore ma ancora moderna la sua conseguenza: il cacciatore se può uccide la preda. La differenza di genere è stata spesso declinata come inferiorità, deficienza, inadeguatezza. Persino a livello simbolico la psicanalisi ha descritto, per decenni, la donna in termini di mancanza; nei verbali si leggeva spesso: é fatua, leggera, superficiale, emotiva, passionale, impulsiva, testarda.

Spesso le donne hanno dovuto dimostrare di essere più brave dell’uomo per guadagnare credibilità pari a quella di un uomo, ancora oggi la rappresentanza di giovani donne nel Parlamento italiano è spesso etichettata con soprannomi felliniani che identificano le donne come quarti di carne.

É pur vero che il termine escort si è andato sviluppando negli ultimi anni per designare modelli di astute imprenditrici di sé che hanno imparato a mettere a frutto il loro capitale, adottando la legge del mercato che ha invaso la politica. In questo specchio deformante, le escort sono considerate l’avanguardia del femminismo salvo a rimpadronirsi del più vecchio e tradizionale epiteto quando cadono in disgrazia, come accaduto alla D’Addario, la prostituta barese che ha registrato e consegnato agli inquirenti le registrazioni degli incontri dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nella villa di Arcore.

Sono certa che il movimento femminista non aveva previsto che predicare la necessità di riprendersi il proprio corpo avrebbe voluto dire venderlo all’industria dello spettacolo e al mercato pubblicitario.

Si pone ovviamente l’antica questione su cosa si intende per scelta e libertà di poterla esercitare. Credo che estremamente pertinente siano, a tale proposito, le parole che Lea Melandri scriveva qualche tempo fa sul Corriere della sera:

“ Poter scegliere non è automaticamente essere libere di scostarsi da modelli profondamente interiorizzati e fatti propri; usare il corpo, con cui sono state identificate, è stata per secoli una via obbligata di sopravvivenza per le donne, per cui non c’è da meravigliarsi se oggi pensano invece di ricavarne un beneficio. Caso mai possiamo chiederci se ricalcare ruoli noti, pur capovolti e rivalutati, aiuta a riconoscere gli ostacoli che le donne ancora incontrano quando tentano di esistere come persone e non solo come incarnazione dell’immaginario maschile”.

La tanto invocata e martirizzata scuola, sceglie di essere roccaforte di valori, di scendere in campo ogni giorno per resistere a un mondo che propina messaggi fuorvianti, che va sempre più alla deriva, sordo alle esigenze dello spirito umano e che vorrebbe traghettarla nell’ottica della logica di mercato che punta alla competitività, all’arrivismo. Lontana dalle mode di un arte imbrigliata nella diffusione spropositata di meme, la scuola ostinatamente propone visioni in cui la bellezza non è puro ornamento, ma forma di salvezza e categoria morale in cui l’arte parla alle coscienze risvegliandone l’etica.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.