Diritti
Almeno non tacere. Una storia non da prima pagina
C’è un luogo nel deserto tra Gerusalemme e Gerico dove vive una comunità di beduini palestinesi Jahalin. Vengono dal deserto del Neghev e da lì sono stati espulsi dall’esercito israeliano tra il 1948 e il 1950.
Racconta Massimo Rossi, operatore umanitario di Vento di Terra che li conosce nel 2008: « Nel 1967 sono arrivati gli israeliani con la guerra del 1967 e sono ricominciati i guai. Dopo alcuni anni, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, è iniziata la costruzione prima di un sito industriale e poi di un grande colonia che oggi si chiama Ma’ale Adumim ed è una colonia da 40mila persona che continua ad ingrandirsi. Questa colonia ha un ruolo geopolitico estremamente importante: si estende verso est da Gerusalemme in direzione di Gerico e su questo corridoio – che è in area C, cioè l’area della Palestina sotto controllo amministrativo e militare israeliano – divide quello che rimane della West Bank in due tronconi. Se l’appropriazione da parte di Israele di questo corridoio venisse ultimata, l’area della West Bank che fa capo ai governatorati di Betlemme ed Hebron verrebbe separata dall’altra area che fa capo a Ramallah e Nablus. Questo corridoio è un corridoio di estrema importanza strategica nel quale vivono queste comunità beduine. Si tratta di 40mila persone che sono rimaste in questi anni nonostante le vessazioni. I beduini che noi seguiamo sono un po’ caduti in una piega della storia, nel senso che sono sopravvissuti in questi decenni a margine della costruzione di queste grandi colonie e grandi infrastrutture. Lì è stata costruita una grande autostrada, però non è stata costruita una via di uscita per il loro campo e quindi c’è questo tratto pazzesco tra le condizioni di questi disperati che non hanno acqua corrente, non hanno corrente elettrica e non hanno servizi e queste meravigliose strutture e colonie che li circondano e che sono state costruite nei luoghi in cui loro avevano i loro pascoli. C’è un processo di impossessamento progressivo e ad oggi inarrestabile. La Scuola di Gomme è stata costruita nel 2009 a seguito di un’istanza fortissima che veniva dalle comunità, dicevano che senza scuole non c’è futuro. La costruzione dell’autostrada che passa accanto ai campi aveva infatti impedito allo scuolabus di potersi fermare – perchè non ci si può fermare senza un’area adatta. Lo scuolabus è stato più volte multato e poi sequestrato. Alla fine anche questo, cioè la mancanza della scuola, risultava un’arma di pressione perchè se andassero da lì. C’è stato un appello molto determinato da parte dei beduini rispetto al fatto che anziché pensare a dei progetti di maquillage sociale, si pensasse proprio a questa costruzione».
Il contesto entro cui viene costruita la Scuola di gomme imponeva vincoli molto complessi: il clima desertico; la rigida normativa vigente per la quale di fatto ai Palestinesi è precluso il diritto di costruire; la necessità di costruire in modo semplice e veloce, così da poter operare anche in mancanza di manovalanza specializzata; l’uso di materiali locali; le minime risorse finanziarie. La tecnica costruttiva scelta prevede l’uso di pneumatici usati riempiti di terra, che presentano insieme i vantaggi della semplicità e rapidità di realizzazione e di un’elevata prestazione termica e statica.
In tutti questi anni si è trascinata una disputa giuridica che ha trovato il suo esito in questi giorni.
La Corte israeliana ha deciso. La Scuola di Gomme sarà demolita. Gli abitanti del villaggio di Khan Al Ahmar trasferiti forzatamente. Dal primo di giugno, senza preavviso, in ogni momento, che sia giorno o notte, potranno arrivare i militari dell’esercito per distruggere tutto e prendersi questo ultimo pezzo di terra necessario per completare la divisione della West Bank.
A nulla sono serviti gli appelli delle famiglie del villaggio, delle istituzioni nazionali e internazionali, delle organizzazioni. Secondo i giudici israeliani la scuola non sarebbe in regola con i permessi, e così la Corte Suprema israeliana ne ha ordinato la demolizione. Insieme alla scuola sarà distrutto anche l’intero villaggio.
In tutti questi anni è stato l’avvocato israeliano Shlomo Lecker a difendere la comunità beduina. Così ha dichiarato: “Il verdetto sul caso di Al Khan al Ahmar è stato pubblicato oggi. Scritto dal giudice Noam Sohlberg e approvato dai giudici Anat Baron e Yael Willner, i nomi sono importanti perché il verdetto è un’approvazione da parte dell’Alta corte israeliana di un crimine contro l’umanità.
Il giudice Sohlberg è astuto; afferma che intende correggere un precedente “che ora consentirà allo Stato di demolire le residenze beduine senza offrire alternative. Dopo aver descritto tutti gli argomenti presentati dalla difesa contro la demolizione del villaggio e la scuola, ha affermato che l’udienza non riguarda la questione se l’alternativa che lo Stato sta offrendo è adeguata o meno, la domanda a cui la Corte deve rispondere è se le strutture sono state costruite con permessi di costruzione o no, e se è così, lo Stato può demolirli in qualsiasi momento a partire dal 1 ° Giugno 2018.
Per riassumere, lo Stato non consente ai beduini di ricevere permessi di costruzione, l’Alta Corte di Giustizia israeliana approva la demolizione di ogni baracca, recinto o scuola costruita senza un permesso di costruzione, e questo verdetto toglie la protezione anche minima che le comunità beduine hanno ricevuto fino ad ora dalla corte”.
In quell’esperienza c’è tanto d’Italia. C’è il pionierismo dell’Ong Vento di Terra e di un gruppo di geniali architetti che fanno capo ad Arcò-architettura per la cooperazione e il contributo della Cooperazione italiana, con l’aiuto della rete dei comuni del sud Milano, della Conferenza Episcopale italiana e di numerose altre associazioni.
«A ben vedere, c’è qualcosa di profondo, e tragico, che unisce le sanguinose vicende di Gaza alla storia di Alhan al Akmar: Ciò che colpisce di più, a Betlemme come a Hebron, è la sofferenza dei più deboli e indifesi: i bambini. Privati di tutto. Anche della loro scuola. La “Scuola di gomme” non era un luogo di formazione di futuri jihadisti, ma luogo di crescita, non solo culturale, per tanti bambini. Era un simbolo di speranza, la “Scuola di gomme”, ed è proprio questa speranza che si è voluta abbattere assieme a quelle aule, a quel villaggio. Non avrà le prime pagine, questa storia, perché le prime pagine si riservano ai massacri, come se per dimostrare di esistere si debba morire, a centinaia. Ma per ciò che ha simboleggiato, la “Scuola di gomme”, con i suoi bambini, i suoi insegnati, meriterebbe molto di più di un titolo di prima. Meriterebbe un sussulto di indignazione, un’azione di protesta, un intervento della Farnesina visto il coinvolgimento, benemerito, dell’Italia. Ma di questi tempi, davvero brutti, è forse chiedere troppo» (Umberto De Giovannangeli).
Devi fare login per commentare
Accedi