Diritti

AIDS la battaglia che tutti rischiamo di perdere

27 Novembre 2017

 


Sono una persona “casualmente” fortunata. Negli anni ottanta ero un bambino, nei primi anni novanta un adolescente. Quando la sessualità ha fatto irruzione nella mia vita erano tempi in cui di AIDS si parlava ogni giorno. Non c’erano i social network e forse è stato un bene: il generatore di fake news allora era la paura è fortunatamente era meno veloce della funzione “condividi” di Facebook.

Così quelli della mia generazione, mentre si contavano i morti, hanno avuto la possibilità di sapere e di difendersi, anche l’un l’altro.

Gli anni novanta sono stati anni velati da questa patina scura, che hanno tolto il sorriso gaio  alla comunità gay alle prese con una grossolana e cattiva (l’ennesima) stagione di discriminazione, hanno gettato una altra croce sui tossicodipendenti per poi regalare l’amara certezza che l’alone rosa di una primitiva pubblicità di una altrettanto primitiva campagna informativa, poteva avvolgerci tutti indipendentemente dal nostro orientamento sessuale. Fortunatamente come tutti sanno, la ricerca ha fatto molti passi avanti: farmaci continuano a sostituire farmaci che garantiscono una vita lunga e normale alle persone sieropositive, e la morte è diventata una eventualità rara (nei paesi ricchi si intende, negli altri sappiamo tutti cosa continua ad accadere).

Ciò ha però determinato un pericoloso abbassamento di tensione, che porta molti soprattutto fra i giovani a vedere l’AIDS come una malattia come tante. Le campagne informative e di prevenzione sono lasciate alla buona volontà dell’associazionismo, la scuola fa poco o nulla, e lo stato almeno fino a oggi ha dormito. Speriamo che la campagna annunciata dal Ministro Lorenzin il 27 novembre non sia un episodio estemporaneo ma l’inizio di una vera e propria strategia, a più livelli, di contrasto alla malattia. Perché l’AIDS se non ammazza più può ancora uccidere in altri modi. Conosco diverse persone che convivono con questa malattia. Lo hanno appreso tutti da poco. Fascia d’età dai 25 ai 50 anni. Alcune di loro l’hanno appreso facendo spontaneamente il test.

Altre, invece, si sono trovate in un letto di ospedale a un passo dal baratro a causa di una infezione opportunistica. Non sapevano? Non hanno voluto sapere? Ma è umanamente comprensibile è giustificabile il “non voler sapere” quando il tuo male può far male anche ad altri?

Alcune, rialzandosi  da quel letto, hanno dovuto fare i conti con una drastica selezione di amici e conoscenti attorno a loro. Erano scomparsi.

Nel 2017 ancora condividiamo il nostro spazio vitale  con chi pensa che il virus si trasmetta con il respiro, con un bacio, con una stretta di mano.

Altre, rimessisi in piedi,  hanno ripreso la strada del nascondersi, della vergogna, della paura del giudizio degli altri. Questi sono i tristi risultati di una colossale operazione di rimozione collettiva, che se perpetuata ancora a lungo,  comporterà  rischi altissimi per la collettività oltre che un costo sociale enorme.

I farmaci hanno prezzi altissimi  (l’equivalente di uno stipendio di un impiegato per il dosaggio giornaliero di un mese) e sono interamente coperti dal Sistema Sanitario Nazionale.

Se continueremo ad infettarci  e ad infettare “allegramente” potrebbero esserci problemi di sostenibilità a medio e lungo termine.

Il nemico contro cui davvero rischiamo di perdere la partita decisiva  altri non è che l’ignoranza.

L’ignoranza di chi non si pone il problema dei rischi a cui va incontro, e non si sente responsabile della propria vita e di quella degli altri (“tanto si cura”).

L’ignoranza di chi ritiene che un sieropositivo sia equiparabile ad un diverso da evitare perché potenzialmente pericoloso attuando un crudele quanto ingiustificato stigma, e spinge la vittima al silenzio, alla marginalità e alla menzogna.

Dedichiamo il 1 dicembre, almeno dalle nostre parti, ad una laica crociata contro l’ignoranza. Questa battaglia che rischiamo di perdere è quella che invece dovremmo a tutti i costi vincere prima ancora di riuscire a debellare il virus.

 

 

 

 

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