Diritti
8 marzo. Il bello della lotta
Disuguaglianze abissali, principio esteso dell’indebitamento, degradazione irreversibile dell’ambiente, incognite dell’accelerazione tecnica: se si guarda alle condizioni del mondo dovrebbe sorprenderci l’obbedienza (Donatella Di Cesare)
Federica Tourn è giornalista professionista, si occupa soprattutto di migranti, religioni, diritti umani, mafie e femminismo. Ha scritto numerosi reportage da molti paesi del mondo per testate nazionali ed estere. Abbiamo fatto insieme questa chiacchierata in occasione dell’uscita del suo libro ROVESCIARE IL MONDO. I movimenti delle donne e la politica, aut aut edizioni.
Nel tuo libro racconti delle esperienze di ribellione di donne nell’ultimo decennio conducendo il lettore in svariati paesi del mondo. Documenti il rinnovato “alzare la voce” da parte di numerosi movimenti femministi. Io trovo che un valore aggiunto di questa narrazione sia il fatto che tu hai incontrato di persona molte di questi donne. Ci sono interviste che tu hai fatto, resoconti di tuoi viaggi. Insomma è un libro frutto di una tua passione. Come ti ha coinvolto questo libro? Quanto conta in questo libro la tua vita?
Conta moltissimo. E’ frutto di incontri perché questo è il senso del lavoro del giornalista. Dagli incontri che faccio nascono dei rapporti e delle interpretazioni del mondo. Per come intendo io il lavoro di giornalista è di essere portavoce di storie di altre persone e di altri luoghi.
Le storie delle altre necessariamente si intrecciano con la mia. Una giornalista non può essere obiettiva, dev’essere onesta. Restituisci sempre qualcosa attraverso i tuoi occhi, la tua esperienza di vita personale. Riconsegni anche quello che ti ha colpito e lo vedi molto dal tipo di resoconto. E’ bello raccontare storie che sono anche il risultato di rapporti, di una relazione, di un ragionare comune sul mondo. Purchè sia tutto dichiarato: questa non è la verità, è un pezzo, un racconto che io giornalista ti riferisco come so fare. Poi tu lettore o lettrice puoi prenderlo e farne quello che vuoi.
Alla base del libro c’è un’idea: i movimenti delle donne, in questi ultimi dieci anni trascorsi, sono quelli che hanno portato un cambiamento dal punto di vista politico e sono ancora all’opera per una trasformazione che non riguarda solo le donne, ma tutti quanti, con un’attenzione a quelli che noi chiamiamo gli ultimi (come li nomina la Bibbia), le persone in difficoltà, le minoranze, le persone razzializzate, le persone LGBT. Tutti gruppi che cercano un posto dove vivere nel mondo. Le rivendicazioni dei movimenti delle donne tengono insieme tutte queste istanze. Questa secondo me è la novità di oggi, una novità bellissima ed estremamente fertile. E’ una novità che mi coinvolge molto come donna e come membro di una minoranza religiosa nel mio caso….
Ecco siamo già entrati nella seconda domanda per capire te e il tuo libro. Nell’ultima di copertina hai tenuto a sottolineare che sei stata coordinatrice del settimanale dei protestanti italiani RIFORMA, anche se ora non lo sei più. Se l’hai precisato, io mi immagino, che la cosa c’entri con il libro. Quanto conta il tuo essere valdese nel raccontare storie di minoranze e di avanguardie?
E’ una domanda interessante. Non so se so dare una risposta corretta fino in fondo. Quando parli di te stesso capisci sempre solo un pezzo, poi sta agli altri dire meglio. Io sicuramente so che essere valdese è molto importante nel mio lavoro, come essere donna. Le radici, la formazione culturale in cui sei cresciuta sono fondamentali.
Io sono cresciuta in una famiglia tutta valdese a partire dai miei nonni. I miei nonni erano tutte persone molto credenti, per loro la passione per la fede era la prima cosa nella vita. Per me ha avuto un’influenza fondamentale. Prima dei dieci anni mi sono letta i vangeli da sola.
Quando sono andata a scuola negli anni ’70 a Torino c’ero solo io non cattolica. Oggi nelle classi dei miei figli più della metà non fa religione. Allora ero io che ero vissuta come una strana.
Può far sorridere ma la maestra un giorno, rivolgendosi alla classe, disse: “C’è qualcuno di voi che non è cristiano?”. Un mio compagno mi indicò dicendo: “Federica”. Io però avevo già una chiara consapevolezza di cos’ero e quindi risposi: “Io sono cristiana” e lei rispose: “Ah bene, perché non mi sarebbe piaciuto”.
Non ho subito discriminazioni. Però fu una cosa che mi ha segnato. Io so molto bene cosa vuol dire essere parte di una minoranza, per fortuna in questo momento non perseguitata. Ho un imprinting nel mio essere minoranza.
In più penso di essere anche molto nomade. Ho avuto la fortuna di viaggiare molto, di conoscere, di studiare.
In tre generazioni rispetto ai miei nonni il mondo è cambiato tantissimo. 50 anni che sono dilatati al massimo e questo ti dà una spinta, se ne hai la possibilità, a ragionare sulla complessità.
Io lo dico sempre: sono protestante e ne sono fiera. Certo a me non è costato tanto, ci sono minoranze che oggi patiscono un destino molto diverso sulla loro pelle.
Nel libro proteste, rivendicazioni e situazioni vengono raccontate capitolo per capitolo. Ma c’è invece un racconto a cui tu dedichi due capitoli. Lì non viene narrato l’auspicio della parità di genere, ma la sua realizzazione. Mi riferisco al Rojava, al Kurdistan siriano. Ora c’è la guerra non vi si può andare, ma se fosse possibile si potrebbe dire: ecco qui, quel “rovescio del mondo” annunciato dal titolo del libro è una realtà…Anche secondo te si può attingere come ispirazione a questa realtà?
E’ vero sì ho dedicato due capitoli a questo racconto e per altro è un posto dove non sono stata e quindi ho un po’ di rammarico. Non sono potuta andare per motivi evidenti.
E’ tutto molto doloroso. Questo esperimento di democrazia paritaria che si basa su una concezione femminista della società. I curdi sostengono, non che la rivoluzione ha portato a dare spazio alle donne. Ma il puntare sulle donne ha portato la rivoluzione. E’ un ribaltamento del concetto che si basa sul pensiero di Ocalan [fondatore del PKK curdo ora in prigione in Turchia]. Lui sostiene: questo sarà il secolo delle donne, la donna è stata sfruttata e per questa sua esperienza storica di sfruttamento, lei sola può ribaltare e portare un mondo nuovo.
La base concettuale è interessantissima è molto nuova, molto più avanti di molte nostre posizioni politiche realizzate. Se pensiamo che nei nostri governi si parla di quote rosa siamo molto indietro.
E’ un’esperienza molto dolorosa perché questa rivoluzione è stata combattuta da tutte le parti e adesso sono in una situazione difficilissima. Adesso non sono neanche già più di come io li racconto nel libro e purtroppo molto peggio. La guerra, l’abbandono degli Stati Uniti dopo che le forze militari del Rojava hanno dato un contributo fondamentale alla vittoria contro Daesh, ha lasciato campo libero alla Turchia che avanza e fa incursioni con una guerra a bassa intensità, per quello che possiamo sapere. Tutto questo ha minato e distrutto in parte quanto era stato costruito di questo esperimento straordinario e che ha bisogno di tempo.
La guerra contro il Califfato ha accelerato molte cose, le donne che hanno combattuto hanno fatto un balzo nella consapevolezza di sé nel loro discutere e agire insieme. Con un azzardo, si può paragonare alla nostra storia della Resistenza, quando le donne lottando insieme hanno fatto un balzo nella comprensione di sé.
Da una società patriarcale le donne del Rojava si sono trovate catapultate in un’altra condizione, ma c’è bisogno di tempo perché una trasformazione di questa portata possa radicarsi.
E’ molto triste che la comunità internazionale non abbia supportato questa democrazia e invece l’abbia abbandonata. Gli stessi media non ci raccontano nulla, certo perché è difficile arrivarci, ma comunque questo silenzio è frutto di una scelta di notizie. Se cerchi un po’ le notizie sul Rojava comunque le trovi.
E’ un fallimento dell’Europa che non ha fatto niente. In Italia addirittura processiamo le persone che sono andate lì a combattere.
D’altra parte se tu le storie non le racconti, le persone non le conoscono.
Ultima domanda. Come possiamo coinvolgere i giovani, come possiamo raccontare loro queste storie per comunicare loro quanta forza contengono queste esperienze a volte di dolore, ma anche a volte di festa, di gioia…Come comunicare alle ragazze la voglia di prendersi le cose, di non aspettare che altri gliele diano…?
E’ la grande domanda. Mia figlia ha 12 anni, io ci provo, magari mi fa delle domande e come tutti i ragazzi di oggi, provo a rispondere ma lei sta già facendo qualcos’altro…Non è facile intercettarli, ma bisogna provarci in tanti modi. Sarebbe bello che lo facessero le scuole con dei progetti.
L’unico modo per potercela fare è comunque avere a cuore questa domanda che mi hai posto, parlarne in tutti i modi possibili e anche testimoniare. Io mia figlia l’ho sempre portata all’8 marzo, viene e sa cos’è. Provare ad esserci, a parlare…sono i famosi semi. Cerchiamo di moltiplicare i semi. Quello che tu dici è molto bello, sono contenta che lo dica un uomo. Prenderti le cose è importante anche oggi. Proprio oggi. Ricordando la testimonianza di chi ci ha preceduto. Le suffragette [un movimento nato nel 1869 nel Regno Unito per rivendicare il diritto di voto], hanno conquistato le cose buttandosi in mezzo alla strada. Erano gentili signore dell’800, vestite bene, borghesi. Non si trovavano per bere del tè. Le cose le hanno conquistate con la vita.
Continuiamo a combattere. Da madre è molto dura. Cresci tua figlia e vuoi dargli tutto il meglio. Arrivare poi a dirgli: le cose devi conquistartele, può suscitare una ribellione. Ma resta quello che volevo dire con questo libro: la lotta è bella. Lottare per le cose giuste è sensato, è significativo. Le donne di questo libro e tante altre dicono a tutti: si sta bene insieme, non si può vivere solo per se stessi. Questo è un momento difficilissimo.
Io avevo alle spalle i ricordi dei miei nonni, i partigiani, le lotte politiche, il 68. Non si pensava alla vita in modo autoreferenziale. La società adesso ti risucchia nel “qui e ora” e a vivere per sé.
La lotta è bella: questo potrebbe essere un altro titolo per il mio libro. Fa vivere bene.
Mi ha raggiunto la notizia che una famiglia di afghani che ho conosciuto potrà venire in Italia, salvarsi dall’inferno di Lesbo. Mi sono commossa con il mio compagno e poi mi sono chiesta: ma gli odiatori questa felicità quando l’avranno mai?
Ad essere dalla parte giusta si fa poco, pochissimo però si sta bene, si è felici.
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