Criminalità
Una delle tante espressioni del dolore: l’odio
Silvio Ciappi (Siena 1965) è uno dei più noti e stimati criminologi e psicoanalisti italiani. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni, che spaziano dai manuali giuridici al romanzo noir, dal saggio spirituale all’inchiesta sociologica fino alla cronaca giudiziaria. Il suo ultimo volume, Odio (tra qualche mese uscirà sempre da Giunti un reportage sulla delinquenza giovanile metropolitana) indaga le matrici psicologiche dell’odio mediante l’esposizione, in chiave narrativa, di casi clinici e forensi attinti dall’esperienza umana e professionale vissuta per decenni a stretto contatto con chi delinque. “L’etimologia della parola ‘odio’ si può ricondurre a una radice indoeuropea che significa ‘colpire, ferire, espellere, spingere, respingere’, in cui ricorre il senso del rifiuto, della repulsione e della ferita. Un’altra ipotesi plausibile, invece, sembra ricondurre la parola ‘odio’ al verbo ‘mangiare’, per cui l’odio sarebbe da intendersi come un rodimento intimo. Entrambe le interpretazioni etimologiche mettono in luce l’estrema negatività di questo sentimento, nel primo caso evidenziandone la forza distruttiva verso l’esterno mentre, nel secondo caso, quella autodistruttiva”.
Si odiano gli altri come si odia sé stessi, afferma Ciappi, che nel libro parla della crudeltà associata al piacere di fare del male, e di come la violenza sia il frutto di un condizionamento originario, oltreché di circostanze esistenziali che si sommano e si accumulano sulla ferita primigenia. I sentimenti più feroci (rabbia, rancore, sete di vendetta, disprezzo) sono per lo più “un disperato tentativo di non contattare il proprio dolore, sono il volto dimenticato del dolore” nato da diverse motivazioni (l’abbandono, il tradimento, la colpa, lo svilimento, l’umiliazione), che spetta allo psicologo sviscerare, con uno scavo quasi archeologico nel passato, e al criminologo analizzare scientificamente.
Consapevole che nessuna persona può considerarsi immune dal gesto violento, e che non tutti gli assassini sono malvagi di animo (così come non tutti i malvagi diventano assassini), Silvio Ciappi è altrettanto convinto che ciascuno si possa sempre salvare, uscendo da situazioni che appaiono senza scampo. Questo ha appreso dai suoi approfonditi studi di giurisprudenza, psicologia e letteratura, ma anche della propria vicenda personale, a partire dalle inquietudini e ribellioni adolescenziali fino al lavoro quotidiano nei penitenziari del nostro paese, e nelle consulenze internazionali sul narcotraffico, il terrorismo, la mafia. Compito dello psicanalista è quello di “mettere insieme compassione e morale, condanna e comprensione, autore e vittima” per cercare di capire cosa, nella vita di chi si rende colpevole di gravi reati, non ha funzionato, inducendolo a compiere gesti gravidi di conseguenze umane e legali. Chiamato a supervisioni cliniche presso carceri minorili o comunità di recupero, Ciappi per prima cosa cerca di sintonizzarsi sul piano emozionale con le ferite dei minori, spesso aggressivi nei confronti di compagni ed educatori. Il disagio giovanile, che si può esprimere in molti modi (disturbi dell’alimentazione, ansia da prestazione, azioni pantoclastiche o antisociali) indica un profondo senso di smarrimento originato da storie di vita inenarrabili, da perdita degli affetti, da trascuratezza familiare, sociale e ambientale in contesti degradati e di marginalità, e acuito dal confronto con modelli disfunzionali, dal mito del successo facile e del guadagno repentino. Silvio Ciappi racconta con empatia e commozione – sempre indignandosi, sempre interrogandosi (“Cosa avrei fatto io al loro posto?”) – vicende terribili di giovani immigrate costrette a prostituirsi, ladri, violentatori, psicopatici sessuali, talvolta circuiti da carabinieri corrotti e preti truffatori: un caleidoscopio di esistenze a colori truci, che sputano collera e risentimento, terrore e voglia di vendetta, e solo raramente ansia di redenzione o desiderio di tenerezza.
Nel volume si sofferma a lungo sull’esperienza vissuta accanto al serial killer Donato Bilancia, che nel 1997 in pochi mesi aveva ucciso in maniera efferata diciassette persone. La vita dell’assassino viene minuziosamente ripercorsa dalle origini, durante lunghe conversazioni nella prigione di Padova, nel tentativo di spiegare le motivazioni dei suoi gesti omicidi. Cosa l’aveva portato ad agire in maniera tanto crudele, e a quello che lui stesso definiva “il salto nel vuoto” del crimine? Il puro godimento sadico e afinalistico di uccidere, per cui sceglieva a caso le sue vittime, vendicando così la sua infanzia lacerata da genitori dispotici e maneschi, o forse il dolore per un fratello suicidatosi con il nipotino sotto un treno? Secondo Melanie Klein il disamore patito nei primissimi mesi di vita nel rapporto con la madre o altre figure di accudimento, insegue e segna alcuni individui per tutta la vita, inducendoli a reazioni esasperate nei confronti di coloro da cui si sentono rifiutati. Le sensazioni pericolose, angoscianti e cattive vissute da bambini ritornano nella genesi dell’odio, ed esplodono innescate a volte da futili e imprevedibili motivi. “In psicoanalisi l’atto di uccidere può essere considerato l’atto finale di un livello di aggressività che l’uomo si porta dentro. L’essere umano difficilmente tollera l’idea di non essere stato sufficientemente amato, per cui la mente mette in azione due meccanismi per allontanare il dolore, la scissione e la proiezione, attraverso i quali, ci dice Freud, sputare fuori (Ausstoßung) nel mondo esterno il male, sentendolo come estraneo e nemico”. Oggi il delitto di sangue ha perso le connotazioni leggendarie del passato, e sembra piuttosto evidenziare le debolezze, le vorticose incapacità di relazionarsi con gli altri di chi lo compie: “Si uccide per un bacio non dato, per un cane che abbaia, per vigliaccheria”, esibendo reazioni smodate e incontrollate a situazioni di quotidiana normalità. Freud scriveva che “discendiamo da una serie lunghissima di generazioni di assassini i quali avevano nel sangue, come forse ancora abbiamo noi stessi, il piacere di uccidere”.
Tra i sentimenti analizzati dall’autore come scatenanti odio, un ruolo di primo piano riveste l’invidia – nella coppia, parentale, comunitaria, sociale –, che ha come obiettivo di sminuire l’altro, cancellandone la malintesa superiorità con voracità distruttiva, al fine di riconquistare un primato messo in discussione dalla presenza dell’avversario (ad-versum, che sta di fronte). Altro impulso che spinge ad annullare le differenze è il conformismo, sfruttato politicamente da ogni potere antidemocratico quando invita all’obbedienza cieca in nome di imperativi categorici superiori, o quello espresso attraverso il branco, inteso come estensione dell’io, che raggiunge picchi di feroce frenesia.
Le fantasie ossessive e i comportamenti devianti analizzati da Ciappi nel suo lavoro di psicanalista riguardano persone di età, cultura e provenienza sociale differente: si tratta di feticisti, seduttori, traditori, pedofili, masochisti, necrofili, sadici, pornografi, autolesionisti, ricattatori, narcisisti, isterici, che presentano sintomi di assenza o eccesso di emotività, e chiedono di essere in primo luogo ascoltati e poi aiutati a superare i loro traumi, per venire accettati da se stessi e dalla società che li ospita, dove tutto (lavoro, casa, famiglia, emozioni) viene regolato e tenuto sotto controllo secondo parametri funzionali al mantenimento dello status quo. Silvio Ciappi racconta con sincerità e modestia anche le proprie ferite, gli inciampi professionali, le difficoltà familiari, i problemi di salute, ma afferma di sentirsi comunque soddisfatto e realizzato quando nel suo delicato e difficile lavoro quotidiano riesce a “evitare il male con piccole dosi di bene praticabile”. Cosa che dovremmo fare tutti, mettendo in discussione noi stessi, le nostre fragilità, sapendo che la tentazione di odiare è presente in chiunque abbia sofferto. Tuttavia dalla sofferenza non nascono solamente sentimenti negativi, poiché attraversando il dolore possono manifestarsi occasioni e doti socialmente fruttuose e individualmente gratificanti: creatività, amore per la bellezza, voglia di riscatto, altruismo.
SILVIO CIAPPI, ODIO. L’ALTRA FACCIA DEL DOLORE
L’esperienza di un criminologo sul male e la violenza. Prefazione di Philip Zimbardo
GIUNTI, FIRENZE 2023, p.192
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