Criminalità

Il filo criminale che avvolge Sud e Nord

30 Gennaio 2015

Prendete il filo e tiratelo. Questo vi accompagnerà alla matassa, il nocciolo della questione. Il filo parte da lontano, parte dal Sud d’Italia. Terra aspra, terra di geni e di fantasie. Un pezzo d’Italia da sempre bagnato di sangue, innocente e non. Sangue versato per regolamenti di conti, traffici, piccole e grandi manovre sotterranee.

Ma il filo si allunga e con l’avvento del nuovo millennio si snoda lungo la dorsale appenninica. E voi seguitelo questo dannato filo, percorrete con lui le traiettorie, i cunicoli, gli abissi. Vi accompagnerà al Nord, la mecca della produttività e della meccanica. Del rigore e della nebbia.

E qui vi perderete. Non riconoscerete più casa vostra. È un mondo altro, una specie di ologramma di ciò che esiste ma non si vede. In trasparenza emerge la corruzione, l’illegalità, lo sporco. E voi non ci credete. Eppure il filo vi ha portati fino a qui e dunque siete obbligati a starci, e a raccontarlo.

Raccontare che oggi, per esempio, a Padova i Carabinieri del Nucleo investigativo hanno fermato un campano legato alla camorra, Francesco Manzo, sospettato di riciclaggio di enormi somme di denari. I beni sequestrati hanno un valore di oltre 130 milioni di euro, un Pil. E che ci faceva un quasi nullatenente (all’erario infatti risultava un 730 di 10.000 euro annui) con un tesoro simile? Riciclaggio, e cosa se no? 350 unità immobiliari, 15 terreni, 1 fabbricato rurale, 52 società, 224 rapporti bancari e 52 autovetture.

Prendete il filo e vi condurrà anche a Milano: città di ’ndrangheta, senza SE e senza MA.  Punto. E qui, ad attendervi, vi sarà il giudice del pool di Milano Giuseppe Gennari, da anni in prima linea contro la mafia calabrese.

E lui vi dirà queste esatte parole (intervista tratta dal libro “Nel Nordest la mafia non esiste” Alba Edizioni, 2014):

«…dottor Gennari, possiamo dire che oggi la ‘ndrangheta vive e vegeta qui, al Bord?»
«Sono almeno vent’anni che la ‘ndrangheta fa affari al nord. Le altre organizzazioni mafiose come cosa nostra o la camorra sono altrettanto presenti, ma non in maniera così organizzata e ramificata com’è oggi la ‘ndrangheta. Nel Friuli Venezia Giulia, per esempio, le mafie cosiddette balcaniche hanno il monopolio del traffico degli stupefacenti ma il perno su cui gira tutta la ruota dell’economia mafiosa al nord rimane quello della mafia calabrese».

«Secondo lei, dottor Gennari, la crisi economica attuale ha favorito la mafia al Nord?»
«Guardi, la mafia fa sempre affari, con o senza crisi. Certo, dal 2008 ad oggi molti imprenditori si sono trovati con l’acqua alla gola a causa dei debiti con le banche o per la mancanza di liquidità e ciò ha senza dubbi favorito l’avvicinamento di questi al mondo mafioso degli strozzini e dell’usura. Va detto, tuttavia, che al Nord la mafia non mette soldi nelle imprese per poi farle fallire, questo è un falso mito che deve essere sfatato una volta per tutte. Qui la mafia entra nelle aziende private, le fa lavorare e ci guadagna nei ricavi, chiaro?».

«e nel pubblico?»
«La mafia al Nord difficilmente fa accordi diretti con il pubblico. Preferisce vincere gli appalti con aziende private in suo possesso, dove c’è una commistione di interessi tra l’imprenditore, il mafioso e il rappresentante pubblico».

«Dottor Gennari, io ho la sensazione che qui, da noi, la mafia non faccia così paura perché non uccide ma ancor più perché non vi è nei cittadini la consapevolezza di cos’è la mafia, veramente. Sbaglio?».
«No, ha ragione. La tangente da 50 o 100 euro è mafia. L’appalto che si destina all’amico è mafia. Certo, sono meno eclatanti delle stragi di Scampia o di Vibo Valentia, eppure anche questi sono atti mafiosi. E la cosa drammatica è che accadono qui, al Nord, ogni giorno. E avvengono sotto ai nostri occhi senza che ce ne accorgiamo o, ancora peggio, con il nostro benestare. Al Nord non c’è assolutamente consapevolezza tra la gente della gravità di questi fenomeni e il rischio è che l’illegalità diventi sempre più una merce da vendersi alla luce del sole».

«Qual è la via, a suo parere, da tracciare per porre rimedio a tutto questo?»
«Prima di tutto dobbiamo far capire alle persone del Nord Italia che per un’azienda che opera in modo sleale sul mercato grazie all’appoggio della mafia ce ne sono almeno dieci di pulite obbligate a chiudere per la non competitività dei loro prodotti. Dopo di che io personalmente non credo che la strada della repressione sia la più l’unica via da perseguire. Al contrario, ritengo che sia necessario far entrare nella testa dei nostri cittadini un concetto semplice ma determinante per la lotta alle mafie al Nord: va fatto capire infatti che il rispetto delle regole non deve essere visto come uno sforzo culturale fine a se stesso; il rispetto per le regole è fondamentale per dare a tutti noi gli stessi diritti e le medesime opportunità di crescita e di felicità, come singoli e come comunità».

@giulio_serra

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