Criminalità
Un circolo virtuoso (e il suo futuro)
Un numero di detenuti che eccede di circa 4000 unità la capienza regolamentare delle carceri (dati Dap dicembre 2014).Più di novemila imputati reclusi in attesa di giudizio. Una condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per trattamenti inumani e degradanti.
Anche se con la recente riforma (il decreto convertito in legge in via definitiva in agosto 2014), la depenalizzazione di alcuni reati e l’introduzione di misure alternative al carcere si è fatto un primo grande passo, la fotografia della situazione dei penitenziari italiani resta impietosa.
Eppure, all’interno di un quadro così negativo, ci sono state delle piccole lanterne di speranza: è il caso dell’esperimento iniziato nel 2004 – e rimasto per dieci anni in fase di start up – della gestione “esternalizzata” delle mense di 9 case circondariali, grazie al lavoro di dieci cooperative sociali (la Ecosol a Torino; la Divieto di sosta a Ivrea; la Campo dei Miracoli a Trani; L’Arcolaio a Siracusa; La Città Solidale a Ragusa; Men at Wotk e Syntax Error a Rebibbia; Abc a Bollate; Pid a Rieti e la Giotto a Padova).
Breve storia di un successo
Il progetto iniziale prevedeva che le cucine fossero prese in gestione per un periodo dalle cooperative, che avrebbero impiegato i detenuti non solo per svolgere i servizi interni al carcere, ma anche per lavorare per commissioni esterne, sul libero mercato, nell’ambito della ristorazione e del catering.
I progetti sono stati finanziati con il denaro della Cassa Ammende (ente che raccoglie i proventi delle sanzioni pecuniarie imposte dai giudici), che ha sostenuto le cooperative con circa 3,5 milioni l’anno.
I detenuti ottengono uno stipendio regolare, imparano un mestiere vero e proprio, ricevono un attestato legalmente riconosciuto: sono lavoratori salariati a tutti gli effetti, spesso anche altamente qualificati. Riescono a pagare con i loro guadagni tasse e spese processuali. Tutto questo è completamente diverso dai cosiddetti “lavori domestici” in carcere (servizi di pulizie e manutenzione), generalmente svolti a titolo gratuito o in cambio di compensi minimi. I lavori domestici vengono svolti alle dirette dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria, e sono retribuiti in media circa 230 euro lordi al mese – più o meno la metà al netto dei contributi previdenziali e delle spese di mantenimento in carcere (dati DAP 2012).
I vantaggi in termini economici si accompagnano a una decisa diminuzione della tensione in carcere, un calo della recidiva, da 70% di chi ha scontato la pena in cella senza essere inserito nel circuito produttivo fino a una percentuale tra l’1 e il 2% di chi invece ha usufruito di una rieducazione anche in termini professionali.
Dell’esperimento – ormai decennale – della gestione delle mense carcerarie hanno tessuto le lodi i direttori dei penitenziari, rappresentanti della polizia e persino l’ex capo del Dap Giovanni Tamburino. Che a marzo 2014 ha dichiarato che l’esperimento era riuscito e che non intendeva fare passi indietro.
Anche se la fase sperimentale è durata molto a lungo, le cooperative sembrano avere ottenuto un successo su più fronti: un circolo virtuoso che ha fatto nascere vere e proprie produzioni alimentari e servizi di catering professionali all’interno delle carceri, migliorando contemporaneamente anche l’igiene e la qualità delle mense.
Il bambino e l’acqua sporca
Il Ministro Orlando, nell’ambito di una ristrutturazione del sistema carcerario ha prospettato la fine dei finanziamenti alle cooperative a partire dal 2015, per quanto riguarda la gestione delle mense e il confezionamento dei pasti. La responsabilità di questi servizi potrebbe tornare nelle mani dell’amministrazione penitenziaria. Ovviamente questo non incide – almeno sulla carta – sugli altri laboratori e progetti portati avanti dalla cooperative (tutti i lavori e le commesse non interni al carcere), ma un calo nei finanziamenti (specialmente di una parte così importante) potrebbe frenarne decisamente l’attività e comprometterne l’efficienza.
Si rischia di gettare via i buoni risultati raggiunti, sull’onda della foga riformatrice? La situazione è a un delicatissimo punto di svolta.
Secondo Lucia Castellano, ex direttrice del carcere di Bollate e ora Consigliere Regionale in Lombardia, è impensabile che il ministro Orlando voglia chiudere un’esperienza dai risultati tanto positivi. “Sta semplicemente finendo una fase sperimentale. I servizi offerti dalle cooperative verranno inseriti in un quadro giuridico più stabile. Bisogna ripensare ai finanziamenti per quanto riguarda il confezionamento dei pasti nelle carceri: ma non mi sfiora nemmeno l’idea che il ministro possa mettere fine ad un’esperienza tanto proficua.”
Nel frattempo, il 30 dicembre, i rappresentanti delle cooperative hanno discusso con il ministro e i vertici del DAP, in un incontro durato 4 ore. La scadenza della sperimentazione, prevista per il 31 dicembre, è stata prorogata al 31 gennaio.
“Il ministro ha continuato a manifestare le proprie perplessità sulla sostenibilità economica dell’attuale gestione del confezionamento pasti da parte delle cooperative e ha ribadito chiaramente la decisione di far cessare il finanziamento da parte della Cassa delle Ammende” ha riassunto Giuseppe Pisano, dell’Arcolaio di Siracusa. “Allo stesso tempo, ha comunicato la volontà di valutare ciascuna esperienza caso per caso per verificare se e quali condizioni esistono per dare continuità ed eventualmente rafforzare le attività d’impresa collaterali che le singole cooperative svolgono all’interno degli istituti. Il presidente del DAP si è impegnato a reperire i fondi per prorogare l’attuale regime del confezionamento pasti fino al 31 gennaio. Entro quella data ciascuna cooperativa sarà convocata a Roma al DAP per discutere le singole situazioni.”
Il 2015 si apre con una riflessione sul lavoro in carcere, che dovrebbe portare anche a una considerazione seria (e operativa) sulle pene alternative alla galera. Le cooperative saranno “sotto esame” per tutto il mese di gennaio, e se da una parte c’è preoccupazione per l’esito della valutazione, dall’altra si apprezza un interesse del ministro e del capo del DAP nello studiare a fondo la situazione, caso per caso.
Quello che potrebbe sembrare un trionfo della burocrazia potrebbe risultare – concedendoci un cauto ottimismo – nella sistematizzazione di un progetto virtuoso.
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