Criminalità

Tra i primi ad arrivare a ogni tragedia: ritratto dello sciacallo

4 Ottobre 2016

“Chi è lo sciacallo? È una persona che sente che è avvenuta una disgrazia, arriva sul posto e vuole rubare quel poco che resta, in una situazione in cui già non c’è più nulla se non il dolore, la sofferenza, la povertà”, così Stefania Della Corte, psicologa, descrive questa categoria di persone che non mancano mai in ogni tragedia.

Sono tra i primi ad arrivare, assieme ai soccorsi. E nella confusione, tra i morti, i sopravvissuti sotto choc e chi cerca di dare una mano, rovistano in mezzo a rovine, lamiere, stracci, magari sporchi di sangue, per rubare qualcosa che può essere venduto, incuranti che quella catenina d’oro può essere tutto ciò che resta di una persona per i suoi cari.

Per citare solo i più recenti fatti di cronaca, non si contano gli episodi di sciacallaggio registrati nei territori colpiti dal terremoto dello scorso 24 agosto, quello che ha raso al suolo Amatrice e il suo circondario. Ma ce ne saranno molti altri perché gli sciacalli esistono da sempre.

Dottoressa Della Corte, perché le persone diventano sciacalli?

Non vorrei sembrare cattiva, ma forse non si diventa, si è sciacalli, forse fa parte dell’essere umano. Questo non vuol dire che siamo tutti così, però magari è un qualcosa che è lì silente, che sedimenta e che appena c’è l’occasione esce fuori.

Non è da tutti pensare che sotto alle macerie possono esserci dei soldi. Lo sciacallo indossa un’altra lente per non vedere l’orrore, la sofferenza degli altri. Dimostra un’aridità e una durezza sconvolgenti.

Quindi lo sciacallo è come il cosiddetto turista dell’orrore, la persona che arriva sul luogo della disgrazia per scattarsi un selfie e postarlo sui social.

Penso che siano persone simili: in entrambi i casi c’è l’attrazione verso la tragedia, portata da un utile personale, e c’è un piacere sia nel farsi il selfie sia nel rubare. Però lo sciacallo, a differenza del “turista”, non vuole farsi vedere.

Come mai sono insensibili al dolore che provocano nei superstiti delle tragedie, che già stanno soffrendo molto?

Mi viene in mente De Andrè: il dolore degli altri è sempre un dolore a metà. Non li tocca. Forse non pensano a quello che fanno agli altri, a come si sentono ad essere depredati degli ultimi oggetti rimasti, che sono un legame con la loro storia.

Lo sciacallaggio è una scelta forte, che viola uno dei tabù più grandi, quello della morte.

Esatto. Loro si avvicinano e giocano con la morte. Giocano a trovare ancora quello che c’è. Vanno nei luoghi di morte per rubare, sono dei ladri di resti, che per loro non significano nulla.

È anche vero che la spoliazione delle case dei defunti da parte dei parenti è sempre esistita ed esisterà sempre.

Si ritiene di avere diritto di prendere il possesso immediato degli oggetti nella casa del morto, senza nessun passaggio.

Ho conosciuto un ragazzo che faceva il traslocatore con lo spirito di ricerca, di trovare qualcosa prima degli altri. Scovò dei soldi sotto una mattonella e non ebbe dubbi: non li diede agli eredi e se li prese. Quando qualcuno non c’è più, ci si sente di acquisire questo diritto perché la morte cancella la presenza, quindi la domanda: “A chi il proprietario avrebbe voluto dare questa catenina?” Non si pone. Il primo che arriva prende: una cosa selvaggia.

Nelle disgrazie ci sono tre attori: il morto, il sopravvissuto e lo sciacallo.

Sì è vero. Qualunque cosa abbiamo è vanità e non ci serve quando ce ne andiamo, forse non ci serviva anche prima. Di cosa ci appropriamo? Del nulla. La percezione di quello che uno ruba è calibrata dal valore che noi gli diamo. In realtà noi ci stiamo passando cose, oggetti. Chi può, prende.

Forse secondo lo sciacallo quelle cose hanno valore. Forse siamo ancora lontani dal capire cosa ci serve. Cosa cerca lo sciacallo? Soldi? E per comprarsi cosa?

Gli sciacalli sembrano in grado di mettere in atto anche trucchi raffinati. Ad esempio alcuni giornali hanno parlato di un boom di richieste di residenza ad Amatrice in modo da poter intascare i risarcimenti che spetterebbero ai soli abitanti.

Perché forse nel nostro tempo è passato questo messaggio, che chi truffa, chi riesce a fare il furbo riceve anche un plauso agli occhi degli altri. Questa cosa purtroppo viene vista da molti come un plus, la prova che uno è stato in gamba. Ciò mi lascia senza parole

E poi la risposta della burocrazia è la pazzia: chiede ai sopravvissuti di dimostrare di essere le vere vittime, quindi disumanizza l’accaduto chiedendo una documentazione fuori luogo.

La vera vittima è vittima tre volte, della disgrazia, dello sciacallo e della burocrazia.

Immagino quanto siano arrabbiati oppure depressi per dover urlare e difendersi davanti a fatti così palesi. Spero che queste persone siano supportate anche psicologicamente perché si portano addosso tanti pesi.

 

Questo primo post e tutto il blog sono dedicati alla dottoressa Antonella Morlini (3/12/1966 – 19/9/2016)

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