Criminalità
Stasi come Franzoni, “poca prova, poca pena”
E’ una sentenza che ricorda da vicino quella inflitta in via definitiva ad Anna Maria Franzoni, la mamma di Cogne, per l’omicidio del figlio Samuele. Anche Alberto Stasi viene condannato a 16 anni di carcere dopo un’aspra battaglia processuale con un verdetto che sembra riflettere tutti i dubbi ermersi in questa indagine. Non quindi ai 30 anni chiesti dal procuratore generale Laura Barbaini vittoriosa, comunque, insieme alla parte civile Gian Luigi Tizzoni, al termine di una ‘partita’ che ribalta i precedenti esiti processuali di uno dei più controversi casi di cronaca nera degli ultimi anni.
Difficile per la Corte d’Assise d’Appello, presieduta da Barbara Bellerio, ignorare la sentenza della Cassazione che nell’aprile 2013 aveva annullato con rinvio le assoluzioni pronunciate dal gup di Vigevano Stefano Vitelli, prima, e dalla stessa Corte d’Assise di Milano (ovviamente in composizione diversa) poi. Gli ‘ermellini’ avevano chiesto di “rivisitare gli indizi” e sottolineato le “incongruenze” nel racconto di Stasi, identico dal primo giorno, su quanto accadde quella mattina d’estate.
Ma la pena per l’ex studente bocconiano dagli occhi celesti scende sensibilmente rispetto alle previsioni in caso di condanna perché i giudici hanno tolto alla contestazione della Procura Generale l’aggravante della crudeltà. Ai 24 anni tetto massimo previsto per l’omicidio è stato quindi applicato lo sconto di un terzo della pena previsto dal rito abbreviato. Dopo la lettura della sentenza, in un clima surreale, è stata allestita una conferenza stampa. Da un ‘banchetto’ improvvisato, si sono affacciati mamma Rita e papà Giuseppe, molto emozionati, che hanno ringraziato con calore i loro legali, “per i quali Chiara è diventata una figlia”. Per loro e per il fratello della vittima, Marco, anch’egli presente, i giudici hanno stabilito un risarcimento di un milione di euro. “Ora guarderò Chiara e le dirò ‘ce l’hai fatta’”, ha detto la mamma. Dall’altra parte, Stasi viene descritto come “sconvolto”, dopo aver provato a convincere i giudici della sua innocenza rendendo dichiarazioni spontanee: “Non cercate a tutti i costi un colpevole, condannando un innocente. In questi sette anni ci si è dimenticati che la morte di Chiara è stata un dramma anche per me”. Dopo sette anni non si può dire che i dubbi siano stati dissipati, a maggior ragione di fronte a una decisione che appare ispirata al principio “poca prova, poca pena”, come ha detto un legale di Alberto. In attesa delle motivazioni tra 90 giorni, è difficile immaginare perché, qualora Stasi sia davvero colpevole, il suo non sia stato un omicidio aggravato dalla crudeltà. Un ragazzo che uccide la fidanzata sfondandole il cranio ha commesso un omicidio ‘semplice’? E in ogni caso resta lo sconcerto per una giustizia che ha detto tutto e il contrario di tutto in sette anni dopo un’indagine costellata di errori clamorosi. (manuela d’alessandro)
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