Criminalità
Si fa presto a dire pentito, ossia non ci sono più i pentiti di una volta
“Il nuovo Buscetta”. Questa affermazione rimbalza, ogni tanto, come commento alle dichiarazioni di un nuovo collaboratore di giustizia. Il riferimento, evidente, è a Tommaso Buscetta, che fu definito “Il boss dei due mondi” e più confidenzialmente “don Masino” ritenuto, a torto, il primo “pentito”. A torto perché se da un lato Buscetta inaugura la grande stagione dei collaboratori di giustizia degli anni ’80 c’è stato chi, prima di lui, ha raccontato agli investigatori e agli inquirenti l’organizzazione e della struttura mafiosa siciliana, i nomi e i ruoli dei mafiosi che la dirigevano e gestivano ma le loro dichiarazioni rimasero inascoltate.
Bisogna tornare al 1937 quando, al termine di una brillante operazione antimafia condotta dai Carabinieri fra Castelvetrano, Gibellina e Santa Ninfa venne arrestato anche il medico Melchiorre Allegra. Si trattava di uno specialista in malattie infettive che esercitava presso una casa di cura di Castelvetrano. Il medico, per ragioni che non sono state del tutto chiarite dalle carte giudiziarie, comincia a collaborare con gli inquirenti. La data della sua confessione risale al 23 luglio 1937. Allegra racconta e spiega diversi dettagli sulle famiglie mafiose e sui legami con la massoneria, con gli ambienti politici e imprenditoriali ma anche con il clero locale. Melchiorre Allegra sa molte cose e parla di consorterie mafiose legate a uomini dello Stato. Nei verbali dei suoi interrogatori spiega anche il rapporto con i grandi proprietari terrieri e del ruolo dei campieri e dei boss nel controllo dei fondi rurali e nelle mediazioni commerciali dell’epoca. Gli atti furono secretati o meglio furono sepolti nella polvere della Procura poi scoppiò la seconda guerra mondiale.
Di quei verbali se ne seppe dell’esistenza solo il 22 gennaio 1962, tre giorni prima della morte di Charles “Lucky” Luciano negli Stati Uniti. Le pagine dell’intera deposizione di Allegra furono pubblicate da “L’Ora”, il quotidiano di Palermo. L’articolo sulla vicenda di Allegra è firmato da Mauro De Mauro che descrive Allegra come l’unico uomo d’onore che avesse rotto il muro dell’omertà. Lo definì il primo pentito di mafia, in un periodo storico in cui parlare di pentiti era semplicemente una follia perché i mafiosi potevano essere, tuttalpiù, dei confidenti. Allegra, invece, con le sue dichiarazioni svelò molti segreti sulla mafia e spiega che i suoi rapporti con Cosa Nostra cominciano al tempo della Prima guerra mondiale. Il medico castelvetranese raccontò della sua complicità con i mafiosi per evitare la trincea nella prima guerra mondiale agli “amici” e agli “amici degli amici” attraverso la compilazione di compiacenti certificati medici. La ricompensa ai tanti favori fu l’entrata nel 1917 nella famiglia mafiosa di Pagliarelli, una delle più potenti cosche di Cosa Nostra palermitana il cui capo era Ciccio Motisi. Nonostante le sue relazioni dirette con mafiosi di rango, nel 1926 non riesce a vincere il concorso di medico condotto a Palermo perché i boss gli preferirono un altro suo degno compare, il medico Filippo Marcianò. Decise quindi di aprire una casa di cura a Castelvetrano dove fu aiutato dai borghesi e dai mafiosi della zona. Per molti anni, Allegra fu uno degli esponenti più potenti della mafia locale castelvetranese, sino all’arresto.
Dopo Allegra fu la volta di Leonardo Vitale. Era il 30 marzo 1973 quando Vitale si presentò, spontaneamente alla porta della Squadra Mobile palermitana. Su di lui non pendevano mandati di arresto e non era oggetto d’indagini. Nel suo caso, forse l’unico nella storia del pentitismo italiano, si può veramente parlare di un “pentito”. Vitale era nel bel mezzo di una crisi mistico-religiosa e dichiarò di voler cominciare una nuova vita. Le sue dichiarazioni furono raccolte da Bruno Contrada. Leonardo Vitale, pur non avendo mai occupato posizioni di potere all’interno dell’organizzazione mafiosa, fornì agli inquirenti informazioni preziosissime, fecendo i nomi di Salvatore Riina, Pippo Calò, Raffaele Spina e moltissimi altri. Denunciò i legami dell’organizzazione con la politica, in particolare con Vito Ciancimino e descrisse quanto appreso dallo zio Giovanbattista Vitale, boss della cosca di Altarello di Baida che lo socializzò alla mentalità mafiosa e ne fece un uomo d’onore, sui meccanismi che muovevano “la Commissione”, l’organo di coordinamento supremo di Cosa Nostra. Descrisse inoltre il rito di affiliazione della cosca, ponendo l’accento su come fosse usanza di Altarello usare una spina di arancio amaro al posto dell’usuale spilla per la “punciuta”. Leonardo Vitale svelò l’intero organigramma delle famiglie palermitane di Cosa Nostra, di cui ammise di far parte, autoaccusandosi inoltre di gravi fatti delittuosi confessando due omicidi, un tentato omicidio, un sequestro e innumerevoli reati minori. Un evento particolarmente rilevante riferito da Vitale fu la riunione presieduta da Salvatore Riina il cui obiettivo era risolvere una controversia tra la cosca Altarello-Porta Nuova e quella della Noce. Si trattava del diritto di imporre tangenti all’impresa Pilo, che stava iniziando lavori edilizi nel fondo Campofranco. Organizzata da Raffaele Spina, rappresentante della famiglia della Noce, Vitale raccontò che, oltre a lui che sostituiva lo zio che si trovava a Linosa costretto al soggiorno obbligato, parteciparono alla riunione Salvatore Riina, Giuseppe Calò, Ciro Cuccia, Vincenzo Anselmo, Salvatore D’Alessandro. Il giudice Falcone, una decina di anni dopo, nel verbale del Maxiprocesso, evidenziò come la presenza ed il ruolo di Riina Salvatore, riferiti da Leonardo Vitale nella controversia fra le due famiglie, all’epoca del triumvirato, confermarono in pieno le dichiarazioni di Buscetta. Le sue dichiarazioni furono trasferite alla Procura ma, a causa dei disturbi psichici gravi che lo affliggevano e dei suoi deliri di pentimento, i magistrati decisero di sottoporlo a una perizia psichiatrica che lo dichiarò semi-infermo di mente. La relazione del perito incaricato dal tribunale dichiarava Vitale affetto da una malattia mentale, ma che in nessun modo questa avrebbe potuto portare ad allucinazioni, deliri di persecuzione o gravi alterazioni psichiche e non escludeva affatto la capacità di ricordare e di riferire fatti ed esperienze senza deformazioni. Etichettato però come pazzo, Vitale fu condannato a scontare gran parte della pena detentiva nel manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto, dove fu sottoposto ad atroci sofferenze fisiche e morali. Lì rimase per undici anni. Poco dopo essere tornato a casa in libertà e continuando a professare la sua profonda fede religiosa, il 2 dicembre 1984 fu assassinato con due colpi di lupara alla testa da un uomo mai identificato, mentre usciva dalla chiesa, dopo la messa, con la madre e la sorella. Intanto era salito agli onori della cronaca Tommaso Buscetta che, da quell’anno, aveva inaugurato la stagione dei pentiti, quelli che sarebbero poi diventati i collaboratori di giustizia. Poi fu la volta di Salvatore “Totuccio” Contorno. Durante la prima fase istruttoria del maxiprocesso di Palermo, nell’ottobre del 1984, seguendo l’esempio di Tommaso Buscetta, Contorno decise di intraprendere un percorso di collaborazione con la giustizia. Grazie alle loro dettagliate confessioni, i giudici siciliani, riuscirono a ricostruire preziosi riscontri sugli affari interni all’associazione mafiosa che rinforzarono le accuse contro i boss e gli uomini d’onore rinviati a giudizio nell’aula bunker palermitana che vide 468 imputati alla sbarra. Nel dibattimento fu palesata la fitta trama d’interessi tra mafia, finanza e politica e le connessioni con le famiglie italo-americane. Totuccio Contorno era conosciuto come “Prima Luce”, ossia il primo che canta, il primo che rivela i segreti di Cosa Nostra. Perché questo soprannome non fu rifilato a Buscetta? Perché dopo la pubblicazione dell’articolo di Mauro De Mauro relativo alle dichiarazioni di Melchiorre Allegra non ci fu nessuna azione investigativa che desse seguito a quanto aveva dichiarato? E ancora, perché le dichiarazioni di Leonardo Vitale finirono nella polvere della Squadra Mobile palermitana e in quella della procura di Palermo. Certo, oggi non ci sono più i pentiti di una volta ma forse c’è ancora tanta polvere sotto la quale seppellire la Storia. Di sicuro che c’è solo che bisogna diffidare dei “nuovi Buscetta” perché non è tutto oro quello che luccica, oggi come allora.
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