Criminalità

Riflessioni in ordine sparso sulla pistola Taser alla polizia italiana

5 Luglio 2018

Perché preoccuparsi che una pistola elettrica, per quanto pericolosa, finisca nelle mani di agenti che sono normalmente dotati anche di armi da fuoco? Sono partito da questa domanda, meno banale di quanto possa in apparenza sembrare. La risposta, se si potesse ragionare in astratto, sarebbe semplice: “Non c’è da preoccuparsi”.

Non ci sarebbe da preoccuparsi nella scolastica ipotesi – peraltro è il motivo ufficiale per cui tale dispositivo viene introdotto – che il suo uso sia “a scendere”, si configuri cioè come sostitutivo della pistola vera e propria. Se così fosse, il provvedimento sarebbe in effetti molto difficilmente contestabile. In ogni caso, se la regola generale è la salvaguardia della salute delle persone, è certamente meglio una scarica elettrica controllata di un colpo di arma da fuoco. Il dubbio, però, per così dire “empirico”, è che tale introduzione non avvenga “a scendere” ma “a salire”; vale a dire, come sembrano confermare tutte le notizie giornalistiche che ci arrivano in particolare dagli Usa, che la sensazione da parte degli agenti di non utilizzare un’arma potenzialmente letale possa portare alla fine ad una estensione dell’uso dell’arma anche a tutte quelle situazioni – magari anche potenzialmente pericolose – in cui in prima istanza nessun agente si sognerebbe di utilizzare l’arma da fuoco.

È probabilmente questo il punto dolente. Al di là delle polemiche delle ultime ore circa il business che vi sta dietro (ma quando mai non succede che sia anche un affare, in materia di tecnologia?) e delle preoccupazioni su eventuali abusi in stile Genova 2001, è forse proprio nella semplicità di una riflessione di questo tipo che possiamo trovare la risposta più sensata: sarà possibile contenere quello che abbiamo chiamato “effetto a salire” dell’introduzione del Taser? È possibile immaginare una sua introduzione virtuosa “a scendere”? Naturalmente, è lecito dubitarne.
Proprio a questo dovrebbe servire la sperimentazione: verificare la capacità di questo strumento di ridurre, anziché aumentare, gli incidenti. Come per ogni altra cosa, più che il mezzo è importante l’uso che se ne fa. Sappiamo poco sulle modalità di introduzione effettive: certo è che un passaggio così delicato richiederebbe invece la massima trasparenza e chiarezza.

Come ha ricordato Carola Frediani [qui https://www.agi.it/cronaca/taser_polizia_italia-4108926/news/2018-07-04/] lo stesso Siulp ha espresso preoccupazioni per la salute dei soggetti colpiti (effetti su cui denunciano vaghezza di informazioni) e di conseguenza per le eventuali conseguenze penali per gli agenti coinvolti. Sappiamo invece che Amnesty ha definito il Taser uno strumento di tortura. Sappiamo anche, e questo è il punto centrale, che in Italia permangono troppe ombre sull’operato, anche recente, delle forze dell’ordine in materia di ordine pubblico. Sarebbe certo proficua e opportuna, perché si possa finalmente affrontare certi argomenti con la serenità che ci si aspetta da una democrazia ampiamente matura, una riforma complessiva capace di aumentare la trasparenza delle pratiche di polizia almeno in materia di ordine pubblico appunto, e di conseguenza la sicurezza di tutti gli attori coinvolti, agenti compresi. Se così fosse – in un quadro rinnovato e capace di segnare una discontinuità netta anche con il recente passato – sarebbe più facilmente ipotizzabile una introduzione con effetto “a scendere” di queste nuove tecnologie. Se così fosse, vedremmo disarmate – è proprio il caso di dirlo – le molte, infinite e legittime polemiche vecchie ormai di decenni.

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