Criminalità
Messina Denaro, le delusioni dei professionisti dell’antimafia
Appare evidente che quest’arresto dopo decenni di latitanza – mi riferisco alla cattura del criminale Matteo Messina Denaro – è caduto come una sorta di fulmine a ciel sereno sulla solita retorica delle connivenze e delle connessioni che vedono ovunque la compromissione fra pezzi importanti dello Stato e la criminalità organizzata, la mafia in primo luogo.
L’impressione che, infatti, si ricava da gran parte dei commenti, formulati anche da personaggi di rilievo e in autorevoli sedi, è che forse lo stesso arresto del criminale non sia, in linea di massima, piaciuto agli antimafiosi per professione, come li definiva l’indimenticabile Leonardo Sciascia, e allo stuolo di utili idioti che ad essi si accodano facendone perfino dei miti.
A tutti costoro sembrerebbe non interessare tutto questo – che non ho alcuna remora a definire un successo della giustizia, peraltro pagato a prezzo altissimo visto che negli anni più di un membro delle forze ci ha perso la vita – interessa piuttosto garantirsi la possibilità di potere continuare a puntare il dito accusatorio contro lo Stato e contro chi lo rappresenta per sottolinearne la inadeguatezza, le connivenze e tutto il peggio che si possa pensare, disegnando teoremi allucinanti e possibilmente scambiando le vittime per i carnefici e viceversa.
Accettare il dato di fatto, che cioè il personaggio in questione sia riuscito da solo a farla in barba agli investigatori senza avere bisogno di coperture alte, è roba troppo indigesta da digerire, per costoro è necessario che sia coinvolto il politico importante, l’autorevole magistrato, il poliziotto gerarchicamente elevato, il potente finanziere o, magari, l’influente prelato.
E siccome in questo caso non c’è nessuna di queste figure – e invece c’è gente che ha avuto paura, personaggi comuni, piccoli borghesi delle professioni conniventi, e mediocri speculatori – e allora il tanto sospirato manovratore lo si deve inventare, seminando la cronaca di insinuazioni, di mezze parole, di richiami indiretti, di accuse tutte da verificare.
E questo, anche, alimentando la tanto vecchia che falsa idea che dietro ci sia sempre qualcuno per magari nutrire di ulteriori particolari la fantasiosa e, politicamente, devastante interpretazione, fatta propria soprattutto da qualche magistrato che si picca di cultura storica, su una storia d’Italia del dopoguerra a oggi, con data di partenza dalla strage di Portella della Ginestra, il cui fil rouge, mai spezzato e sempre riannodato, è dato dalla corruzione, dalle malversazioni e dal terrorismo mafioso.
Teorie e interpretazioni, queste ultime, senza alcun fondamento scientifico, che sono state abbondantemente smentite dalla ricerca storica e giuridica, parlo di quella ricerca seria che non essendo disponibile a piegarsi ai teoremi la si insidia con i soliti vergognosi tentativi di screditamento o, mi sia consentita la volgarità, pubblico sputtanamento, come è recentemente accaduto nel corso di un talk show a tema televisivo, nel corso del quale studiosi insospettabili del livello dello storico Salvatore Lupo o del giurista Giovanni Fiandaca in loro assenza sono stati messi alla berlina senza avere la possibilità di difendersi.
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