Criminalità
Manuel Foffo e Marco Prato: Noi no, noi non siamo come loro
C’è una ‘spiegazione’ privilegiata che la destra statunitense – pro-armi, e quindi finanziata dalla National Rifle Association – è solita dare delle stragi a mano armata di cui troppo stesso abbiamo notizia. È una spiegazione che tende a liquidare la questione, etichettando gli assassini a “psicopatici” e e accompagnandovi la bizzarra idea che se tutti avessero un’arma a portata di mano, per un’improbabile gioco di deterrenza reciproca, queste stragi non accadrebbero, sarebbero molto limitate, o al limite troverebbero lo stragista crivellato dei proiettili di altri. E’ una spiegazione che circoscrive il tutto alla fenomenologia del ‘matto’, isolando e minimizzando gli accadimenti tragici, interpretandoli come semplici ‘errori’ individuali, magari finanche genetici, che a volte – ma solo a volte, eh – intaccano il persistere di un sistema che tutto sommato funziona: “Che ci vuoi fare, se ci sono i matti che poi prendono e sparano a tutti?”. E’ una spiegazione piuttosto fuorviante, che tende a scansare i dilemmi etici e sistemici che invece devono necessariamente essere posti. E la diffusione poco controllata delle armi da fuoco negli Stati Uniti d’America è solo uno dei tanti esempi.
L’altra notte è andato in scena un delitto terribile, a Roma: due ragazzi quasi-trentenni, habitué della scena festaiola capitolina, a conclusione di un festino casalingo durante il quale pare avessero assunto di tutto e di più, contattano per sms un altro ragazzo – più giovane, solo ventitreenne – con la promessa di un compenso di 120 euro. Per cosa? Serve davvero saperlo? Luca Varani arriva, e i due gli fanno bere inavvertitamente un bicchiere con dentro un medicinale che lo atterrisce, lo aggrediscono dichiarandogli apertamente la volontà di ucciderlo, “per vedere l’effetto che fa”, lo colpiscono con coltelli e martello. Soffre tantissimo prima di morire dissanguato, i due rimangono col cadavere in casa – storditi? – per ore prima di andarsi a costituire.
Ora, sui media è cominciata la rincorsa alla spiegazione sociologica, all’estrazione di verità assolute, di tendenze accertate, dalla miniera rappresentata da un fatto di cronaca come questo. Si incominciano a leggere assunzioni come “I giovani non riescono più a distinguere tra realtà vera e realtà virtuale”, “Questa è la degenerazione finale della nostra società”, “Colpa del narcisismo impostogli da ciò che vedono tutti i giorni”. Poi l’elemento droga, ovviamente, che ci sta sempre bene, e infine il tag che più di tutti stuzzica il dibattito pubblico negli ultimi mesi, cioè la componente ‘gay’ del festino, e quindi dell’atroce delitto. Inutile raccontare che qualcuno si sia già servito del fatto come fatale e finale dimostrazione della perversione folle ed assassina insita nell’omosessualità. E infine, l’immancabile morbosità con cui gli account social dei protagonisti sono stati scarnificati in cerca di dettagli (in copertina un grande esempio).
Ma, mettiamola così, e spero mi perdoniate una certa nettezza nella presa di distanza: Manuel Foffo e Marco Prato non erano esattamente due ‘giovani’ (giovani, a quasi trent’anni?) come tutti gli altri. In due giorni avevano speso 1500 euro in cocaina. Il loro ‘afterino’ di eccessi non è la tendenza riconosciuta e popolare nelle persone tra i venti e i trent’anni di oggi, ma un’abitudine penetrata in una fascia abbastanza privilegiata del rampollame romano. Chiamare un ragazzo di sei-sette anni più giovani, in promessa di denaro, non è esattamente il tipo di divertimento favorito dai milennials. E no, non tutti abbiamo un padre pronto a difenderci in seconda serata, il giorno stesso in cui confessiamo una marachella del genere. Starò mica cadendo in una contraddizione classista? Sarà.
Solo che ecco, sì, per una volta scelgo di discriminare, di isolare, di mettere da parte. Per una volta scelgo di rifugiarmi nella spiegazione della destra statunitense, esatto, la stessa che difende la circolazione indiscriminata delle armi da fuoco. Per una volta mi sento di dire che Manuel Foffo e Marco Prato non rappresentano nulla né di una società né di una generazione. Per una volta – e chiedo scusa, non so a chi, per questo – alzo le mani, punto il dito, da solo mi rassicuro – magari sbaglio – e dico: Manuel Foffo e Marco Prato, quei due, sono degli squilibrati, nel senso peggiore del termine. E noi no, noi non siamo come loro. Non c’entriamo proprio nulla, con loro.
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