Criminalità
Malapuglia: la mafia sconosciuta
“Malapuglia”, edito da Castelvecchi, è il nuovo libro di Andrea Leccese, saggista foggiano, sulla genesi e sullo sviluppo delle organizzazioni mafiose in Puglia. Io l’ho contattato per una chiacchierata su questo tema, a dire il vero poco battuto.
Andrea, in Malapuglia racconti del fenomeno mafioso in Puglia, come nasce e com’è strutturato?
Il fenomeno mafioso attecchisce in Puglia con molto ritardo rispetto alle altre regioni meridionali. E questo accade negli anni Ottanta, periodo in cui l’euforia per lo sviluppo economico, trainato dall’imperante religione del profitto, crea una nebbia fitta che impedisce a tanti di scorgere quello che stava accadendo sotto il naso.
Per comprendere la nascita di un fenomeno sociale, come la criminalità organizzata, bisogna analizzare il contesto economico entro il quale nasce e si sviluppa.
Siamo negli anni 80 e la Puglia vantava il più alto tasso annuo di crescita economica d’Italia dopo quello del Trentino Alto Adige. E nel contempo si diffondevano gravissime forme di illegalità nella pubblica amministrazione e nel mondo delle imprese: insomma ci fu un mix criminale esplosivo. I nuovi mafiosi, politici corrotti, imprenditori spregiudicati. In quel periodo Pino Rogoli e compagni decisero di reagire alle mire espansionistiche della camorra cutoliana, fondando una nuova mafia, con un processo di rapida imitazione delle organizzazioni criminali tradizionali.
La malavita pugliese è una mafia dotata di una spiccata vocazione imprenditoriale, giovane ma pericolosa tanto quanto le organizzazioni criminali storiche.
Esatto, un po’ per il carattere dei pugliesi spesso definiti i lombardi del Sud. ma anche perché la malapuglia è nata con la benedizione della ’ndrangheta, che già negli anni Settanta era mafia imprenditrice. Come quel Don Ferrante che nei Promessi Sposi non credeva alla favola della peste, così per troppo tempo politici e uomini delle istituzioni hanno tenacemente negato l’esistenza della malapianta, fino dopo le prime sentenze di condanna. Poi, all’improvviso, abbiamo dovuto tutti fare i conti con una potente “quarta mafia”, che si era affiancata silenziosamente a Cosa nostra siciliana, ‘ndrangheta calabrese e camorra napoletana.
Con quali conseguenze?
La sottovalutazione si traduce naturalmente in impunità per i boss, e l’impunità è proprio uno degli elementi essenziali del fenomeno mafioso. Gaetano Mosca scrisse già nel 1900 che il mafioso esercita l’ arte difficile di delinquere impunemente.
Qualche anno fa hai scritto di familismo amorale nel tuo saggio Maffia & Co. Riflessioni sul capitalismo criminale (Armando editore) definendolo il maggior difetto degli italiani. Quanto familismo amorale muove la mafia pugliese?
Che un certo familismo amorale abbia favorito la nascita della mafia pugliese è sicuro. Sì, ma senza avventurarci sul fronte della sociologia, il familsmo amorale abita ovunque, in Puglia come nel Veneto. Va piuttosto rilevato che i sodalizi pugliesi più forti sono quelli che hanno oggi una base familiare, proprio come accade in Calabria.
Un dato allarmante è il forte potere attrattivo esercitato dai clan sui giovani pugliesi.
Un problema di cui Luciano Violante parlava già nei primi anni Novanta e da allora la situazione non è migliorata. I ragazzi dei quartieri popolari spesso non hanno molte alternative, ma pare che si avvicinino a queste organizzazioni criminali anche ragazzi della classe media, probabilmente attratti dai guadagni facili.
Dunque oggi siamo chiamati a curare i danni di quell’ irresponsabile negazionismo. Dalla nostra Puglia, sai che sono foggiana, si riuscirà a estirpare la malapianta della criminalità organizzata?
Non sarà semplice, ma la Puglia può farcela. Anzi dalla nostra regione potrà partire una radicale istanza di crescita qualitativa che all’attuale sistema delle disuguaglianze, della disoccupazione, dello spreco, della distruzione ambientale e della criminalità mafiosa sostituisca un modo di produzione ecosostenibile, che metta al centro la qualità della vita e non più il dio denaro. Utopia? Be’, solo le utopie possono salvare il mondo.
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