Criminalità

Luciedda, dopo 66 anni anche la Chiesa rende omaggio all’angelo montedorese

28 Luglio 2021

Solo oggi, 28 luglio 2021, quella comunità può finalmente riscattare la figura di “Luciedda”. Nel pomeriggio, difatti, con la presenza della salma, nella parrocchia di Santa Maria del Rosario sarà celebrato il suo funerale religioso.

Correva l’anno 1955. L’Italia aveva cominciato a rincorrere il suo grande sogno, quello che sarà ricordato come il “boom economico”. La seconda guerra mondiale era terminata da poco più di dieci anni ma le ferite, sia fisiche sia morali, erano ancora palpabili e, pur sembrando stigmate dure da rimarginare, il popolo italiano aveva cominciato a rimboccarsi le maniche per uscire dalla grande crisi e depressione dovuta ad una nazione ancora sommersa dalle rovine fisiche dei bombardamenti e da una ricostruzione che era apparecchiata sul tavolo dei potenti in attesa della spartizione degli appalti e dei nuovi flussi economici che di lì a poco avrebbero cominciato a scorrere lungo la penisola.

Correva l’anno 1955. Il 9 gennaio di quell’anno fu fondata la Autobianchi, fabbrica italiana di automobili, quel nuovo brand automobilistico che vedrà negli anni successivi concretizzare la sua fortuna con la A112, le cui pronipoti ancora oggi macinano chilometri lungo le strade italiane. E sempre in quel 1955, il 9 febbraio, dopo tredici anni di lavori veniva inaugurata la prima linea della metropolitana di Roma, quella tratta Termini – Laurentina che oggi è la Linea B. Il presidente del Consiglio era Mario Scelba, il cui nome diventerà simbolo di un potere politico che userà la repressione come arma quotidiana.

Il divario tra il nord e il sud dell’Italia era altissimo. Mentre il nord poneva le basi per diventare il volano dell’economia nazionale, il sud continuava ad arrancare e i flussi migratori interni portavano decine di migliaia di persone ad abbandonare terra e famiglia per spostarsi in quel nord Italia dove sarebbe nate nuove industrie in grado di assorbire tantissimi lavoratori di cui molti provenienti proprio dal sud della penisola.

In Sicilia erano ancora attive le zolfatare, una delle più importanti risorse minerarie dell’isola. L’area interessata da questi grandi giacimenti era quella centrale dell’isola, un’area compresa tra le province di Caltanissetta, Enna ed Agrigento. E fu proprio in questa area che, in quel 1955, un fatto di cronaca scosse l’intera comunità. Successe in quel di Montedoro, un piccola porzione del territorio comunale di Caltanissetta a poco più di 80 km da Palermo e poco meno di 20 km da Caltanissetta che contava, al tempo, poco più di 3.700 abitanti.

Era il 6 gennaio di quel 1955, il giorno dell’Epifania e pioveva. Lucia Mantione aveva 13 anni e la sua era una famiglia di zolfatari. Quella sera Lucia era uscita per andare a comprare una scatola di fiammiferi. Quella sera Lucia non tornò più a casa. La famiglia, i fratelli e i vicini di casa di quella piccola comunità dopo poche ore cominciarono a preoccuparsi e si misero subito alla sua ricerca ma Lucia non fu trovata. Non fu trovato quella notte tra il 6 e il 7 gennaio così come non fu trovata il giorno dopo la scomparsa e il giorno dopo ancora. Solo il 9 gennaio il suo corpo fu trovato in un casolare abbandonato a circa un chilometro dal centro abitato di Montedoro. Era stata strangolata, sicuramente per essersi difesa da un tentativo di violenza. Nonostante Lucia scomparve in una serata di pioggia, il suo corpo e i suoi indumenti erano completamente asciutti.

Ma la violenza perpetrata verso la famiglia non terminò perché a “Luciedda”, così era chiamata in paese, vennero negati i funerali perché il parroco del tempo applicò rigidamente il principio che vietava il rito funebre nei casi di morte violenta. E dopo la barbarie che l’aveva uccisa la barbarie del perbenismo aveva dato il colpo di grazia a quella che, ancora ora oggi, può essere definita una vittima di femminicidio.

Lucia Montione era nata il 22 marzo 1942 a Montedoro. Suo padre, Rosario, e la madre, Mara Serpe, la fecero battezzare il 1 aprile nella chiesa madre di Montedoro, quella stessa chiesa che, poi, gli negò il rito religioso per il suo funerale. Dopo la terribile vicenda la famiglia di Lucia emigrò ma a Montedoro mai cessò il ricordo di “Luciedda”.

Per fare luce sulla vicenda, che non viene annoverata tra gli eventi salienti di quel 1955 e che altrimenti sarebbe finita nell’oblio perenne, c’è voluta Rita Pedditzi che, nel 2019, si occupò di questa storia per “Inviato Speciale”, la rubrica di approfondimento del Gr1 di Rai Radio 1. L’ha fatto andando in quei luoghi, l’ha fatto, come nel suo stile, intervistando i testimoni di quel tempo, quegli stessi testimoni che attoniti e addolorati vissero l’omicidio di Lucia e la negazione della cerimonia religiosa.

“Era alta, era bella, era stupenda, aveva due trecce… e forse questo ha fatto innamorare tante persone – ricorda Rosanna, amica di giochi di Lucia, che ha parlato da mamma col cuore spezzato, una mamma che ha perso un figlio, il carabiniere Giovanni Domenico Salvo, al microfono di Rita Pedditzi – Eravamo quella sera al battesimo di un mio cugino, quando all’improvviso è scoppiato il terrore nel paese: Tutti i bambini a casa… tutti i bambini a casa… è scomparsa una bambina… Quella sera Lucia non è più tornata a casa… ed è stato un dolore immenso di tutti i paesani… I miei ricordi sono quelli di una madre attaccata alla ringhiera della villetta vicino la chiesa, che piangeva disperatamente perché non avevano voluto, per le leggi ecclesiastiche, fare entrare il corpo di sua figlia. Questo fattaccio è rimasto nei cuori di ogni montedorese… ci ha feriti… Nel suo piccolo loculo, nel suo angolino dove Lucia è sepolta, è sempre un pellegrinaggio di tutte le persone. Ricordo il pianto di quella mamma, molto amaro. Una madre che piange i figli l’ho scoperto anch’io, perché anche a me è morto un figlio a trentuno anni… Che dire di Lucia? Lucia è la nostra Maria Goretti!”

Federico Messana, originario di Montedoro ma emigrato a Milano, scrisse al vescovo di Caltanissetta per ottenere una funzione religiosa ma la risposta che è arrivata, dopo mezzo secolo, ancora una volta è stata parziale e nel, mese gennaio dello scorso anno in occasione dell’anniversario dell’atroce delitto, per Lucia è stata celebrata una messa, una messa riparatoria che, di fatto, pone ancora più in evidenza l’oscurantismo che vincolò la Chiesa in quel momento storico.

“L’unica cosa che siamo riusciti ad ottenere dal comune quando lo scorso anno avevamo proposto di rifare la sua tomba al cimitero, fare un piccolo monumento  – racconta ancora Messana – ci hanno rifiutato il luogo, però il comune, di propria iniziativa, ha fatto la panchina rossa dedicata a Lucia Mantione, simbolo delle donne vittime di femminicidio.” Tutti i ragazzi del paese, per anni, hanno sempre portato un fiore sulla tomba di “Luciedda”.  Come una sorta di tradizione, perché il paese non l’ha mai dimenticata.

Solo oggi, 28 luglio 2021, dopo 66 anni, quella comunità può finalmente riscattare la figura di “Luciedda”. Nel pomeriggio, difatti, con la presenza della salma, nella parrocchia di Santa Maria del Rosario verrà celebrato il suo funerale religioso.

Ma la storia dell’omicidio di Lucia Montione non è ancora né terminata tantomeno chiusa perché, a  suo tempo, il caso fu archiviato senza colpevoli. Il “mostro di Montedoro” non fu mai trovato e la sua lunga ombra ha animato gli incubi di una generazione di bambini montedoresi. Ora la salma della piccola Lucia è stata riesumata, alla presenza dei vertici del comando provinciale dei carabinieri, del sindaco Renzo Bufalino e dell’arciprete di Montedoro Salvatore Lo Vetere, per esser sottoposta a esame autoptico. Il caso, di fatto, è stato riaperto a distanza di tantissimi anni perché proprio oggi le nuove tecnologie potrebbero offrire nuovi elementi che in passato non erano rilevabili. Oggi l’esame necroscopico potrebbe rilevare tracce di DNA che a quel tempo non erano ancora riscontrabili. E la riapertura del caso, adesso, offrirebbe diversi spunti investigativi per un giallo mai risolto, e questa nuova indagine dei carabinieri, coordinata dal colonello Baldassare Daidone a capo del comando provinciale, dal maggiore Fabio Pasquariello e coordinata dal Procuratore Gabriele Paci della Procura di Caltanissetta, potrebbe portare a una possibile soluzione.

Buon viaggio, “Luciedda” e che finalmente, dopo 66 anni, la morte ti sia lieve.

 

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