Criminalità
Libero Grassi credeva nel ruolo sociale dell’informazione
“E se fosse maschio come chiameresti tuo figlio?” La risposta era “Libero”. Ultimo anno di scuola superiore, io ed una compagna di classe, nel pieno del nostro attivismo sognante un mondo migliore, ci recammo a Cinisi, per l’anniversario della morte di Peppino Impastato, assieme ad una amica, più grande d’età, il cui figlio si chiama Libero. Questo nome mi piaceva, chiacchierando mi chiese “conosci Libero Grassi?” avevo sentito parlare di lui, tornai ad approfondire e quando aggiunsi qualche elemento, più di prima, in un nome tutto.
Ho guardato la scorsa sera il docufilm a lui dedicato, trasmesso dalla Rai. Oltre la storia dell’imprenditore siciliano netto, incorruttibile, pulito, ha catturato sempre la mia attenzione il valore che attribuiva all’informazione, al giornalismo che fu decisivo nella vita della sua battaglia e nella sua morte. Ci credeva. Credeva nel suo potere dirompente, nel ruolo di questo mestiere nella società, di sedersi a tavola a cena assieme agli italiani, di prendere il caffè seduto al bar e di insinuare discussioni, anche silenziose con se stessi. Si era affidato ai microfoni, ai taccuini. Il giornalismo come sponda nella sua battaglia di denuncia, mentre certe sentenze facevano spallucce e ammantavano col cellophane protettivo la pratica del pizzo, archiviandola a casus necessitatis dell’economia.
Molti hanno fatto in queste ore importate memoria di Libero Grassi, il primo imprenditore che a viso aperto, nella solitudine dei coraggiosi, disse no alle estorsioni. Il mantenimento integro della dignità e l’orgoglio di essere incorruttibile pulsava più della paura che i mafiosi tentavano vanamente di incutergli. Oggi ogni città siciliana, italiana dovrebbe avere una via o una piazza dedicata a Libero Grassi, ed ai giornalisti tanti, vittime dei sistemi mafiosi germinati e radicati nei nostri territori, siciliani morti ammazzati come Francese, Fava erano stati giustizieri con la penna dell’etica per la verità. Pensavo a questo, il connubio tra necessità di supporto, aiuto, bisogno di fiati a parlare assieme a te di ribellione e il megafono ed eco dell’informazione e la sua capacità, di apprendere storie e farsene veicolo per il lettore e lo spettatore. Come questa sappia ottemperare al proprio dovere e purtroppo altrettanto scadere in becera propaganda.
Arguto, Libero Grassi, comprendeva il potere ed il ruolo dei mezzi di comunicazione, “Io credo nei mass-media“, quello della diffusione di fatti e accadimenti sociali, la cui interpretazione dei mass media ed il messaggio finale veicolato contribuiscono a smussare poco a poco, ma con una sufficiente rapidità se ci guardiamo indietro, i contorni valoriali delle società. Si fidava dei giornalisti e in fondo la sua vita oltre che nelle sue azioni irreprensibili di ogni giorno l’aveva riposta in quell’eco, fiducioso si sarebbe propagato anche nella coscienza di quelli che come lui erano minacciati nella quotidianità ma differentemente da lui pagavano il prezzo della paura, “Con le mie denunce, ho fatto arrestare otto persone. Se duecento imprenditori parlassero, milleseicento mafiosi finirebbero in galera. Non le sembra che avremmo vinto noi?“. L’informazione. Quella che dispone, nel bene e purtroppo anche nel male, della capacità non esclusiva ma sicuramente persuasiva di far credere qualcosa piuttosto che un’altra, di direzionare opinioni, atteggiamenti.
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