Criminalità

La corruzione? È difficile combatterla perché da noi è un fattore di equilibrio

20 Aprile 2015

Insieme a un amico ho scritto un pezzo per il blog della London School of Economics sulla corruzione in Italia. Tentiamo di spiegare non tanto perché la corruzione sia molto diffusa in Italia – diversi indicatori, che illustriamo, suggeriscono che la corruzione sia cresciuta sensibilmente dopo Mani pulite, e soprattutto dopo il 2000 – quanto perché il nostro paese dimostri poca determinazione nel combatterla.

La tesi è che il sistema sia in equilibrio, ed è per questo che è difficile cambiarlo. Ad esempio, in una città dove tutti sono sistematicamente in ritardo chi è puntuale aspetta, a suo danno. Sarebbe meglio per tutti che la regola fosse quella della puntualità, perché tutti perderebbero meno tempo (a prezzo, certo, di una minor libertà di gestire il proprio tempo): ma in quella città essere puntuali è irrazionale, dal punto di vista della singola persona. Per cambiare regola occorrerebbe una decisione collettiva, esplicita o implicita, che mutasse gli incentivi di ciascuno e le aspettative su ciò che gli altri faranno.

Quella città si può forse paragonare ad alcuni settori della nostra economia. Ad esempio, nel 1992–94 emerse che pressoché tutti i contratti dell’ANAS erano oggetto di corruzione, da vent’anni. Tralasciando la questione di chi sia la colpa – dell’ANAS e dei suoi capi politici, o degli imprenditori, che avevano fatto un cartello per dividersi i contratti – è chiaro che, in presenza di quel sistema, partecipare agli appalti dell’ANAS senza pagare tangenti o partecipare al cartello delle imprese era una perdita di soldi e tempo: era individualmente razionale accettare il sistema corrotto, anche per quelle imprese particolarmente efficienti che avrebbero potuto prevalere in gare d’appalto competitive.

Le cose sono cambiate, e pare che ora non siano i partiti e gruppi di imprese a organizzare centralmente il sistema della corruzione, ma ‘gruppi di potere’ (espressione usata da Raffaele Cantone, tra gli altri) che sono in grado di controllare singoli politici o gruppetti di politici, lasciando loro rendite minori che in passato: i casi più recenti – MOSE, Expo, ministero dei trasporti, Ischia – illustrano quest’analisi.

Ma se sono molti i settori nei quali l’amministrazione pubblica e le imprese collaborano in questo modo, il potere economico e politico a disposizione di quei ‘gruppi di potere’ e dei politici che collaborano con loro sarà considerevole. La discussione sulle leggi anticorruzione, segnata da continui avanti e indietro, è forse un segno della presenza di questi interessi, che agiscono – piuttosto scopertamente – per attenuare l’efficacia delle nuove leggi.

Se il paragone con la città impuntuale è sensato, tuttavia, serve altro che qualche buona legge per ridurre la corruzione, perché queste non sono sufficienti a mutare gli incentivi, le aspettative e le norme sociali che la corruzione diffusa ha generato nel corso del tempo. Oltre alle leggi occorrerebbe un segnale forte, inequivoco e credibile che la società ha deciso di passare da un equilibrio ad alta corruzione a un equilibrio a bassa corruzione: solo questo potrebbe mutare incentivi e aspettative, e rendere non più individualmente razionale ricorrere alla corruzione.

Se la diffusione della corruzione riflette un sistema in equilibrio, infatti, è probabile che il sistema assorbirà la scossa – le nuove leggi – e tornerà, magari in forme diverse, più o meno al medesimo punto d’equilibrio. Questo è appunto ciò che è successo dopo Mani pulite: nel ventennio successivo il sistema politico non ha fatto nulla di significativo per combattere la corruzione, ma si è limitato a sostenere o avversare l’azione dei giudici. Quindi è mancato il segnale di cui dicevo sopra: un segnale che, in una società democratica, non può che venire anzitutto dal sistema politico.

È in grado ora il sistema politico italiano di dare quel segnale? Temo di no, per le ragioni illustrate nel pezzo sul blog di LSE. È in grado, al massimo, di passare qualche buona legge. Il che è bene, ma meglio non illudersi sugli effetti.

Ad esempio, si discute ora delle aste ‘al massimo ribasso’ (vince chi offre di costruire il ponte al minor prezzo): alcuni dicono che facilitano la corruzione, e propongono altre soluzioni (il sistema dell’offerta ‘economicamente più conveniente’: vince chi offre di costruire il miglior ponte al minor prezzo). Non m’intendo di appalti, ma è evidente che entrambe i meccanismi offrono spazio potenziale alla corruzione: il primo tramite le revisioni di prezzo, mediante le quali si recupera lo sconto grazie al quale si è vinto l’appalto; il secondo grazie alla necessaria soggettività della valutazione sul ‘miglior ponte’. Ossia, il problema è più la permeabilità dell’amministrazione alla corruzione che la struttura dell’asta (è anzi controintuitivo che passare da un criterio semplice e rigorosamente oggettivo (il prezzo) a uno più articolato e parzialmente discrezionale (il miglior ponte al minor prezzo) possa ridurre, e non facilitare, la corruzione; ma non me ne intendo abbastanza per andare oltre questa osservazione superficiale).

E allora? Se il sistema politico non appare in grado di dare un’energica spinta al sistema, per spostarlo su un equilibrio più giusto ed efficiente, che fare?

Resta solo l’opzione di cambiare il sistema dal basso: con l’educazione alla legalità, alla quale ora si dedica Gherardo Colombo (vedi qui), ad esempio, per cambiare le norme sociali; o con l’azione organizzata dei cittadini, per premere sul sistema politico. Ma la prima strada mira alle prossime generazioni, e la seconda si scontra con il colossale problema dell’azione collettiva.

Gli ostacoli all’azione collettiva sono imponenti, ma non necessariamente insuperabili, se se chi sceglierà di agire saprà formare una rete vasta di alleanze (anche all’estero, come spieghiamo nel blog). Un esempio potrebbe essere il referendum sulla preferenza unica del 1991: il paragone non è del tutto calzante, naturalmente, ma quella fu un’iniziativa forse ancora più difficile di quella necessaria alla lotta contro la corruzione, sia perché l’oggetto immediato era piuttosto tecnico, sia perché quell’iniziativa dovette affrontare l’esplicita ostilità di una vasta porzione del sistema politico di allora. Mentre l’ostilità dovrà essere più sottile, e quindi forse meno efficace, perché pochi vorranno rischiare di essere visti come i difensori della corruzione. Se poi, visto l’avvio di un movimento contro la corruzione, qualche consistente segmento del nostro sistema politico impugnasse quella bandiera con seria determinazione sarebbe un segno che il mutamento di equilibrio è forse possibile.

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