Criminalità
Le stragi d’estate: Italicus e Bologna, misteri italiani
Attorno all’una del mattino del 4 agosto 1974, all’uscita dalla galleria degli Appennini, nei pressi della stazione di San Benedetto Val di Sambro (BO), una bomba posizionata nella quinta vettura del treno Espresso 1486 Italicus, diretto a Monaco di Baviera, esplosa.
Dodici persone morirono, e molti altri viaggiatori furono feriti.
Un volantino venne fatto ritrovare e rivendicava il vile atto.
Nel comunicato si leggeva:
– «Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare […] seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti».
Molti i processi instauratisi a seguito della strage sono stati caratterizzati da esiti diversi. Gli imputati, appartenenti a gruppi dell’estremismo di destra aretino, furono dapprima assolti per insufficienza di prove, poi condannati in grado di appello e, infine, definitivamente assolti nel 1993.
La Corte di cassazione, pur confermando l’assoluzione degli estremisti di Arezzo per la strage sul treno Italicus, ha però stabilito che l’area alla quale poteva essere fatta risalire la matrice degli attentati era «da identificare in quella di gruppi eversivi della destra neofascista».
Anche la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica “Propaganda 2″(più nota come P2), nella relazione elaborata, dichiarò che:
– L’organizzazione terroristica «di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana», cui la strage era ascrivibile, era stata indotta al compimento di attentati dalla «opera di istigazione» svolta dalla predetta associazione segreta; questa era perciò «gravemente coinvolta» nella strage e poteva «considerarsene anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale».
Dopo circa 6 anni, un’altra bomba, ben più potente, messa nella sala di attesa della stazione di Bologna, esplodendo, uccise 85 persone e oltre 200 rimasero ferite.
Ancora non tutto è stato chiarito nonostante processi e condanne
Anche qui quella neofascista fu la pista seguita, ma l’iter giudiziario è stato lungo e costellato di depistaggi.
Ci furono da subito rivendicazioni prima da parte dei NAR, poi dalle Brigate Rosse, seguite da altrettante telefonate di smentita da parte di militanti dei due gruppi terroristici.
La sentenza finale è arrivata solo nel 1995 con la condanna di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, aderenti ai Nuclei Armati Rivoluzionari, in quanto esecutori materiali:
– «come appartenenti alla banda armata che ha organizzato e realizzato l’attentato di Bologna» e per aver «fatto parte del gruppo che sicuramente quell’atto aveva organizzato».
Mambro e Fioravanti si sono sempre dichiarati innocenti, hanno invece ammesso e rivendicato decine di altri omicidi. Nel 2007 si è aggiunta la condanna di Luigi Ciavardini, minorenne all’epoca dei fatti, trent’anni per strage.
Pure in questo caso, Licio Gelli capo della P2, fu coinvolto in vari processi.
Ma chi volle veramente la strage alla stazione di Bologna? Ancora resto il punto oscuro.
Di nuovo, Paolo Bellini, 66 anni, ex ‘Primula nera’ di Avanguardia Nazionale, sarà indagato per la Strage della stazione di Bologna.
Il Gip Francesca Zavaglia ha infatti revocato il proscioglimento del 28 aprile 1992 come chiesto dalla Procura generale che ha avocato a sè il fascicolo di indagine sui mandanti dell’attentato del 2 agosto 1980.
Il giudice ha dato sei mesi per svolgere indagini. L’avvocato di Bellini, non si è opposto.
Il fotogramma estrapolato da un filmino amatoriale Super 8, girato da un turista tedesco la mattina del 2 agosto 1980, è l’elemento principale attorno a cui ruota il nuovo filone d’indagine aperto dalla Procura generale di Bologna.
I magistrati sono convinti che in quel filmato, prima e dopo l’esplosione, appaia proprio Bellini e ora, con le nuove tecnologie, il primo passo sarà quello di svolgere una perizia antropometrica su quel volto misterioso.
Fra le ipotesi fatte, quella di una ritorsione dei gruppi di estrema destra dopo i rinvii a giudizio per la strage del treno Italicus.
Ma tra tutti i misteri delle stragi, ce n’è uno ancora più “misterioso”.
Manca un cadavere della strage di Bologna.
Dopo quasi quarant’anni dalla bomba, delle 85 vittime ufficiali dell’esplosione del 2 agosto 1980, solo di 84 si è trovato il corpo.
Mancano i resti di una donna.
Gli inquirenti che forse non hanno svolto in modo efficiente la prima fase investigativa, indagando troppo in una sola direzione., non hanno ancora svelato questo enigma.
Quando c’è un’esplosione, le parti del corpo, anche se orribilmente mutilati, si ritrovano sempre.
Basta ricordarsi che in Israele, i volontari che recuperano i resti dei deceduti, accorrono appena c’è notizia di una bomba, e cercano di raccogliere tutti i frammenti dei corpi, e addirittura il sangue versato, perché la tradizione vuole che un ebreo debba essere seppellito “intero”.
A Bologna, per la strage del 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria, una donna invece non è stata più trovata.
Scomparsa nel nulla, quand’invece i resti degli altri passeggeri uccisi nella sala d’aspetto, anche quelli posizionati più in prossimità dell’esplosione sono stati tutti ritrovati.
Nel libro «I segreti di Bologna» del giudice Rosario Priore e del giornalista Valerio Cutonilli, ricostruiscono i fatti.
Il corpo scomparso dal luogo del delitto sarebbe quello di Maria Fresu, 24 anni, origini sarde, trapiantata in Toscana per lavoro. Quella mattina del 2 agosto Maria era in stazione con la figlia Angela di 3 anni in attesa del treno che avrebbe dovuto portarle in vacanza. Madre e figlia erano nella sala d’aspetto di seconda classe insieme a due amiche
L’esplosione causa la morte immediata della bimba,
– «Di Maria, invece – scrivono gli autori – non si hanno più tracce. La donna non compare nell’elenco dei feriti, né in quello delle persone decedute».
I periti escludono in modo categorico che possa essersi «disintegrata» e per alcuni giorni viene data per dispersa.
Ma c’è una persona che può dire qualcosa, è Silvana Ancillotti, l’amica sopravvissuta.
Nel verbale d’interrogatorio del 6 agosto redatto senza riportare il nome del funzionario della Polfer e con la firma in calce irriconoscibile dello stesso poliziotto, la donna spiega che Maria sua figlia Angela, al momento del botto erano lì, attaccate, vicinissime a lei. Maria non si era mai allontanata né per andare al bagno, per un caffè o per prendere un po’ d’aria:
– “Mi ricordo tutto, tutto”, dichiara ancora. “Eravamo sedute tutte assieme, Maria no, era in piedi accanto. Mi ricordo il boato, un grande boato. Sono svenuta. Poi mi sono risvegliata sotto le macerie. Ho visto la bambina, non si muoveva, Maria non c’era più. Ho strillato, chiamato i soccorsi. “Aiutate le mie amiche”…».
Ma forse, della Fresu, fu trovato, solo alcuni mesi dopo, appena un brandello di corpo sotto un treno, si dedusse che, lei si trovava praticamente sopra la bomba, unica tra le vittime, a venire disintegrata.
I consulenti tecnici dei processi, hanno accertato che le cause di morte diretta dagli effetti dell’esplosione, riguardano solo le persone (circa il 10 per cento) che si trovavano a una distanza non superiore a 5 metri dal punto dov’era posizionata la bomba, in un’area definita “mortale.
La piccola morirà, ma verrà ritrovata intatta.
Silvana addirittura sopravviverà: erano tutte in quest’ultima area, lontana da quella “mortale”».
La teoria della disintegrazione dell’esplosione quindi non sta in piedi, come se non bastasse, va detto gli effetti personali, della Fresu, sono stati rinvenuti intatti, s’è salvata persino la carta d’identità oltre alla valigia e a una giacchetta.
E allora la Fresu che fine ha fatto?
La soluzione del mistero a un certo punto viene ricercata nell’obitorio dell’istituto di Medicina Legale dell’università di Bologna, dov’è conservato un piccolo lembo di pelle di un volto.
Nel 1980 il test del DNA era praticamente impossibile. Si conosceva però il gruppo sanguigno della donna scomparsa (“0”, zero) rinvenuto nella cartella clinica del parto della figlia.
L’esame del profilo immuno-ematologico dava risultati sorprendenti: il lembo facciale repertato apparteneva ad un altro gruppo sanguigno: era di tipo “A”.
C’era a questo punto una ottantaseiesima vittima mai identificata.
Se nelle sentenze e nelle perizie si esclude categoricamente la disintegrazione di un eventuale trasportatore dell’esplosivo, allora una spiegazione bisogna trovarla per la Fresu.
Una spiegazione potrebbe essere che il 2 agosto del 1980, qualcuno si sia precipitato a Bologna per inquinare la scena del crimine.
La sparizione del cadavere, può essere dovuta a un occultamento più ampio e che aveva necessariamente altre finalità.
Scoprire chi o cosa doveva restare nascosto quella mattina è compito di quanti hanno a cuore la verità su Maria Fresu e gli altri 84 morti ammazzati senza un perché, perché nessuno dei cadaveri delle donne sfigurate aveva un gruppo “A”. Le altre donne morte hanno il volto integro.
Devi fare login per commentare
Accedi