Criminalità
Il paese dei giustizieri della notte
Un rapido sopralluogo sui social e scopri che in Italia c’è una gran voglia di sparare. No, per fortuna non si tratta di un ritorno di fiamma per le Brigate Rosse, né c’entra nulla la «critica delle armi» di marxiana memoria. Banalmente si tratta di un effetto della cronaca nera, cioè della riduzione dibattito da bancone del bar di indagini magari complicate ed estese tanto quanto il codice di procedura penale. Per farla breve: malgrado i dati parlino di una costante diminuzione della criminalità in Italia da almeno vent’anni a questa parte, sembrerebbe che in giro ci sia un terrore piuttosto diffuso verso il ‘dilagante’ fenomeno dei topi d’appartamento e in molti si dichiarano favorevoli all’uso delle armi per arginarlo. Quanto è facile imbattersi in persone che «vista l’assenza dello Stato» si dichiarano pronte a farsi giustizia da sole a colpi di pistola? Aspiranti ispettori Callaghan che, meno male, spesso si rivelano essere poco più di mister Bean.
La questione si potrebbe catalogare come ennesima bolla mediatica, uno di quei temi che esistono da sempre e che, a cadenza periodica, vengono sparati (è il caso di dirlo) a reti e prime pagine unificate, aprendo dibattiti spesso basati sul nulla. Basta scavare un po’ nell’ozio della propria memoria per rendersi conto di quanti casi del genere abbiamo dovuto affrontare negli ultimi anni: ricordate quando ogni giorno c’era un pitbull che sbranava un bambino? E quando sopra ogni cavalcavia c’era qualcuno pronto a tirare un sasso su un’automobile? Oppure ancora: l’emergenza delle rapine in villa, la leggenda degli zingari che rubano i bambini, l’ecstasy in discoteca con annesso corollario sulla fantomatica «cultura dello sballo». Gli studiosi delle cose mediatiche definiscono questi dibattiti in vari modi: c’è chi parla di ‘fattoidi’ (affermazioni dal sapore apodittico, ma fondamentalmente né vere né false, qualcosa che viene spacciato per un dato di fatto ma che, a guardarlo bene, non è un fatto), c’è chi parla di «narrazione emergenziale» utile ad aumentare la stretta repressiva da parte delle autorità e dà al tutto una lettura politica e c’è pure chi vede in queste campagne una forma di propaganda, là dove c’è la volontà politica di cavalcare la questione nella speranza di raccogliere consensi alle elezioni, con un occhio ai sondaggi d’opinione.
Così, dopo i casi del benzinaio Stacchio, del pensionato di Trezzo sull’Adda e del signor Ermes Mattielli stroncato da un infarto, soprattutto a destra è tutto un alzare la voce sul diritto all’uso delle armi, sull’abolizione dell’eccesso di legittima difesa e sulla necessità di proteggere se stessi, i propri cari e le proprie cose anche con l’uso della violenza preventiva. Dal caso di cronaca alla sparata di un Salvini o di una Meloni qualsiasi il passo è brevissimo, ma spesso la ricostruzione del fatto fa acqua da tutte le parti.
Andiamo con ordine. In Italia la legittima difesa non è punita, mentre è punito l’eccesso di legittima difesa, ovvero quella circostanza in cui la difesa viene considerata eccessiva e manca una proporzionalità tra minaccia e reazione. In questi casi la decisione viene lasciata per lo più al libero convincimento del giudice, che dovrà comunque tenere conto di un «ragionevole complesso di circostanze oggettive». A tal proposito c’è una vasta letteratura di sentenze della Cassazione, tuttavia si può affermare con certezza che in Italia raramente si assiste a punizioni troppo dure verso chi spara (e magari uccide pure) il ladro sorpreso dentro casa.
La vicenda di Graziano Stacchio è esemplare in questo senso: il 3 febbraio scorso, il 75enne benzinaio di Ponte di Nanto (Vicenza) dopo aver assistito alla rapina di una gioielleria, decise di intervenire e sparò ai ladri con il suo fucile: uno di questi rimase ferito a una gamba e morì dissanguato nella fuga. Lo scorso mese di luglio, il suo avvocato ha chiesto l’archiviazione del caso e ora si attende il parere della procura e, a seguire, la decisione definitiva sull’accaduto. Da sottolineare: durante tutto il periodo dell’indagine, Stacchio è sempre rimasto a piede libero e nessuno ha mai nemmeno pensato di mettergli le manette intorno ai polsi. L’accusa che pendeva su di lui era di eccesso colposo di legittima difesa: insomma, anche per gli investigatori, l’omicidio non sarebbe stato commesso di proposito. Basterebbe questo per dire che, in fondo, l’Italia non è un paese così ostile al concetto di legittima difesa, nemmeno quando, come in questo caso, viene tirato fino ai suoi estremi: insomma, Stacchio con la rapina in gioielleria non c’entrava niente, non era direttamente minacciato, era solo lì nei pressi come spettatore casuale.
Diverso è invece il caso di Francesco Sicignano, il pensionato di Vaprio D’Adda che, lo scorso mese di ottobre, freddò un ladro a colpi di pistola. Dopo essersi trovato dalla sua parte un avvocato dal nome altisonante (Giulia Bongiorno), aver assistito a pubbliche manifestazioni in suo sostegno, e aver fatto una sostanziale apologia dell’omicidio in televisione a colpi di «se entri a casa mia, sappi che puoi anche uscirne sdraiato», le indagini hanno portato alla luce un quadro un po’ diverso rispetto a quello ipotizzato in un primo momento: il signor Sicignano non si sarebbe trovato il ladro davanti agli occhi, ma più probabilmente l’avrebbe colpito che già stava fuggendo via (mancanza di pericolo immediato), in più l’analisi balistica avrebbe mostrato come il colpo sia stato sparato dall’alto verso il basso, tanto che il pm, interrogandolo, arrivò a chiedergli se per caso si fosse messo sopra a una sedia per sparare. L’indagine è ancora in corso e la verità giudiziaria è ancora incerta, ma anche qui il Sicignano non è stato arrestato. Cosa dicevamo sulla tolleranza della legittima difesa in Italia? La soglia è bella alta, altroché.
Ultima storia, quella del robivecchi di Arsiero (Vicenza) Ermes Mattielli, condannato a cinque anni e quattro mesi per aver sparato a due 20enni che stavano rubando nel suo deposito di ferraglie. Recentemente, il signor Mattielli è morto d’infarto ed è venuto fuori che la sua eredità potrebbe essere utilizzata per il risarcimento ai due ladri (a loro volta condannati a una pena mite per tentato furto). La notizia è stata appresa con un certo scandalo, tanto che su Facebook e Twitter girano dei lugubri santini del giudice che estese la sentenza di condanna, bollata come causa della morte dell’anziano e dimostrazione che «lo Stato sta dalla parte dei malfattori contro le persone perbene». Messa così – anziano derubato, spara e ferisce i ladri, condannato, morto d’infarto e con un risarcimento che ricadrà sulle spalle dei suoi eredi – fa un po’ impressione. Il problema è che Mattielli non si limitò a sparare per legittima difesa, anzi, la sua pistola di colpi ne esplose ben quattordici, e andarono tutti a segno. La ricostruzione del fatto è piuttosto eloquente: i primi due colpi presero uno alla schiena e l’altro a un femore. Mentre i ragazzi erano a terra feriti, Mattielli si avvicinò e sparò alle gambe, alle braccia e alla testa del primo, rompendogli otto denti e forandogli la lingua, ma, per miracolo, senza ucciderlo. Poi il robivecchi andò verso il secondo, anche lui disteso e inoffensivo, e gli scaricò il resto del caricatore addosso. Uno dei due, alla fine, è rimasto invalido. Ecco, in questo caso è davvero opportuno parlare di legittima difesa? Oppure siamo di fronte a una sparatoria unilaterale, in cui uno aveva una pistola e gli altri no?
Nel 2005 la Florida governata da Jeb Bush varò una legge denominata «Stand your ground», in pratica è legittimo sparare se si ritiene di essere di fronte a un pericolo imminente per sé o per gli altri. Attenzione alle parole: pericolo «imminente», cioè anche se non è ancora successo niente e forse niente accadrà. Il caso di Travyon Martin, il 17enne afroamericano morto nel 2012 per un colpo partito dalla pistola di George Zimmerman, vigilante volontario per le strade di Sanford, è indicativo: la sentenza finale fu di assoluzione per chi sparò. L’unica colpa di Martin fu di andare in giro con il cappuccio della felpa in testa in una serata di pioggia, con una bibita e un pacchetto di caramelle in mano. Non aveva precedenti penali, né intenzioni minacciose, ma Zimmerman lo ritenne comunque ‘sospetto’ e per questo chiamò la polizia. Il vigilante però non ebbe la pazienza di aspettare l’arrivo di una pattuglia, aprì il fuoco e uccise il ragazzo. L’assoluzione arrivò malgrado l’ammissione di aver sparato proprio in virtù del principio dello «Stand your ground»: cosa poteva saperne Zimmerman che non ci fosse davvero un pericolo imminente?
Può sembrare una follia, ma le cose sono andate davvero così. L’idea di armare una popolazione intera per implementare il proprio diritto all’autodifesa può avere esiti tragici. Spesso si chiede, con un bel po’ di retorica, se non ci si sentirebbe più sicuri con una pistola in tasca. Bisognerebbe provare a domandarsi se però ci si sentirebbe più sicuri con la consapevolezza che tutti quanti ne hanno una. E magari sono pure pronti a usarla.
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