Criminalità
I misteri dell’abbazia di Chiaravalle Milanese, tra sesso e ricatti
Dio lascia nuovi messaggi amorosi mal taciuti e noi prontamente, con le antenne ritte, proviamo a raccoglierli. L’abbazia cistercense di Chiaravalle Milanese (o Santa Maria di Roveniano) pare sia –nuovamente- sotto l’occhio della profanità, e i battenti del celebre luogo della cristianità meneghina appaiono ancora una volta come delle colonne che Ulisse di tanto in tanto prova invano a valicare. Un’inchiesta –poi archiviata- della Procura di Milano pare abbia segnalato episodi non del tutto chiariti all’interno dell’abbazia, episodi che parlano di sesso, silenzio e ricatti. Scrive Sandro de Riccardis, il 15 dicembre, su Repubblica Milano:
Sono almeno quattro le persone che, in modalità diverse, hanno raccontato di approcci di questo tipo all’interno del monastero. Nulla di penalmente rilevante, va specificato, dato che la Procura ha iscritto nel registro degli indagati per violenza sessuale due monaci, poi — dopo aver indagato per quasi sei mesi — ha chiesto l’archiviazione perché «non è stato comunicato alcun elemento idoneo a riscontrare l’originario ipotesi investigativa» perché «non sono emersi elementi idonei a sostenere l’accusa agli indagati di violenza sessuale».
Insomma ‘nulla di penalmente rilevante’ per la Squadra Mobile, che con un’informativa si è affrettata a specificare che i fatti «sebbene contrari all’austerità richiesta a un monaco, non sembrano avere i connotati di violenza, minaccia o abuso di autorità, perché il monaco non ha trattenuto il giovane contro la sua volontà e, respinto, si è allontanato».
Quindi nessun abuso, ma solo approcci ordinari. Come essere respinti da una ragazza in discoteca. La parola “abuso” qui stona, come stona l’identità delle presunte vittime. Quando si parla di irrefrenabili pulsioni siamo infatti abituati – seguendo il topos primitivo – ad associare l’universo monastico e prelato al mondo dell’adolescenza e dell’infanzia: in questo caso però gli oggetti del desiderio arrivano anche a sfiorare i cinquant’anni.
La prima denuncia arrivò nel 2013 da un italiano di 45 anni, in stato di indigenza e con velleità –passate, presenti, future- di noviziato, che riferì in Procura di presunti abusi e palpeggiamenti . A fargli da eco un 44enne di origine albanese, entrato in Italia con un permesso di soggiorno per fini religiosi, che aveva inizialmente acconsentito alle ‘avances’ lasciando alludere di essere stato ricattato fino al suo rifiuto di andare oltre le semplici effusioni. L’uomo avrebbe anche documentato i fatti con un supporto video tutt’ora a disposizione degli (ex) inquirenti che però, come già anticipato, hanno archiviato perché il fatto ‘non è perseguibile’, quindi conforme alle leggi, quindi ‘normale’, nonostante un monaco avrebbe anche ammesso -sempre secondo Repubblica- che ci sarebbero stati diversi episodi di “carezze intime”, e nonostante siano accertabili almeno altri tre casi simili in cui nessuno ha sporto denuncia.
Il legale di una delle vittime o presunte tali Katia Kolakowska però non ci sta, e chiede agli inquirenti di sentire gli altri ragazzi ospitati nell’abbazia, non ascoltati nonostante le loro registrazioni siano finite negli atti dell’inchiesta. La Kolakowska chiede inoltre di verbalizzare anche il racconto di una terza persona non sentita, e di convocare quel monaco che avrebbe dichiarato di sapere «dell’allontanamento dalla comunità religiosa di un suo confratello per i suoi comportamenti sessuali».
Da Chiaravalle per ora tutto tace, dal Vaticano anche. L’unica voce è stata quella dell’abate Luigi dal convento di San Severino Marche che, in rappresentanza dell’ordine cistercense di San Bernardo, ha detto di non essere a conoscenza dell’indagine milanese definendo “fatti terribili” ma anche confidando che “la giustizia faccia il suo corso” e sperando che “si chiarisca tutto in fretta”.
Certo è che per genesi l’abbazia cistercense di Chiaravalle con la ‘chiarezza’ ha sempre condiviso ben poco. Se volessimo riscontrare una logica ortodossa –cristiana e laica- in tutto quello che circonda il complesso monastico fondato da 12 monaci seguaci di San Bernardo nel 1135, scopriremmo che parole come ‘amore’, ‘sesso’ e ‘eresia’ risuonano spesso nella storia di questo edificio gotico, uno dei primi costruiti in Italia.
Potremmo partire dal culto di Guglielmina di Boemia, un’oblata –ossia una laica che appartiene a un ordine religioso senza professarne i voti- che fu introdotta nell’abbazia come accadde per San Tommaso d’Aquino –altro oblato celebre- a Montecassino e poi venerata come santa guaritrice, incarnazione dello Spirito Santo e futura papessa salvatrice, inneggiata dal teologo Andrea Saramita – che la mascherò alla Chiesa sotto l’identità di Santa Caterina – per la sua vita monastica dedita a «l’amore cristiano, i precetti apostolici e la moralità evangelica» e fondatrice dei guglielmiti, poi perseguitati dall’inquisizione domenicana con l’esecuzione sul rogo dell’erede di Guglielma, Maifreda da Pirovano, arsa viva con Saramita nel 1300 in piazza Vetra, a Milano.
Nel cimitero dei monaci adiacente all’abbazia, a pochi passi dalla tomba di Guglielma invece è sepolto l’abruzzese Raffaele Mattioli, giornalista, dirigente bancario e economista italiano, grande amico di Enrico Mattei, segretario della Camera di commercio di Milano e della Banca Commerciale Italiana, discepolo di Benedetto Croce da cui raccolse l’eredità della presidenza all’Istituto Italiano per Studi Storici di Napoli, mecenate nell’editoria e padre ‘spirituale’ per i giovani Ugo La Malfa, Enrico Cuccia, Guido Carli, inventore del termine catoblepismo. Scrive Pierluigi Battista sul Corriere, nell’aprile 2013 parlando di questo termine rispolverato dall’allora ministro Barca:
«Catoblepismo – da catoblepa, secondo la Treccani leggendario quadrupede africano, con il capo pesante sempre abbassato verso terra – dovrebbe significare la perversa alleanza tra banche e affari denunciata da Raffaele Mattioli».
Dunque Mattioli giace accanto a Guglielma a Chiaravalle, ove tutto –inchieste comprese- giace e dove «mai essiccano i fiori», come scriveva Defendente Sacchi riferendosi alla tomba di Guglielma nel suo “Novelle e racconti – Milano, Manini, 1836”.
Occorre capire ora come si comporterà la Prefettura di fronte alla richiesta del legale Kolakowska, anche perché il caso sta lievitando proprio in queste ore.
Intanto la polizia ha ascoltato anche il priore dell’abbazia milanese senza però iscriverlo nel registro degli indagati, mentre si apprende che molti confratelli furono spostati a Chiaravalle dopo la chiusura della basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, per opera di Benedetto XVI, nel 2011.
Pare infatti che in Santa Croce – una delle sette chiese obbligate sul sentiero pellegrino nella capitale – la vita monastica non fosse proprio ligia:
«Negli orti griffati della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme era di casa la Roma glamour – scrive su La Stampa.it del 21 maggio 2011 il vaticanista Giacomo Galeazzi– si vendevano frutta e verdura biologiche (in realtà acquistate dai monaci in un negozio vicino) e si davano appuntamento gli «Amici di Santa Croce», associazione presieduta dal marchese Giulio Sacchetti discendente di Carlo Magno (sua vice è Olimpia Torlonia), luogo d’incontro fra poteri temporali e spirituali. Troppa mondanità per uno dei luoghi più venerati della cristianità in cui sono conservati i frammenti di croce ritrovati sul calvario da Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino. Lungo le maestose navate le cappelle svelano tesori di devozione come l’iscrizione sulla croce di Gesù, un chiodo e due spine della corona di Gesù, il dito di San Tommaso, l’apostolo che dubitava della resurrezione e una parte della croce del Buon Ladrone».
Al centro dello scandalo al silenziatore di Santa Croce in Gerusalemme finì l’abate padre Fioraso, ex stilista nel giro degli atelier milanesi:
«Malgrado fossero lì da mezzo millennio, oramai la vita di clausura richiesta ai cistercensi mal si attagliava – rincara il Galeazzi – alla fiorente attività mondana-concertistica, al servizio limousine per i pellegrini più facoltosi, al negozio interno (i prodotti dell’orto disegnato dal paesaggista di casa Rothschild, liquori, miele, marmellate, pregiatissima cioccolata su ordinazione), al via-vai a tutte le ore del giorno, alle visite-passerella in Basilica di popstar trasgressive (Madonna «commossa» in una pausa del concerto a Roma del 2008, Gloria Estefan)».
Per farla breve, se si capisce perché Papa Ratzinger abbia chiuso Santa Croce in Gerusalemme, si fa un po’ più di fatica a comprendere perché fu disposto il trasferimento dei confratelli in Chiaravalle. Una motivazione vaga può essere quella dell’indole cistercense ‘un po’ così’ nonostante la semplicità predicata da San Bernardo, indole atta a confermare l’antico detto dell’abito che non fa il monaco, rivelatasi nella lussuriosa Roma, annunciata dal Galeazzi e risorta a nuova vita nei pressi della Milano devota -che stavolta non è quella degli atelier, ma quella del Paradiso e dell’Inferno che si rincorrono. Un po’ come quel “Cristo alla colonna” col cappio al collo del Bramante, che fece la fortuna della Pinacoteca di Brera ma che viene proprio dal cuore di Chiaravalle.
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