Criminalità
Grembiuli e lupara. A Reggio Calabria si processa la masso-‘ndrangheta
Grembiuli e lupara. I riti segreti della libera muratoria e quelli arcaici della ‘ndrangheta. Messa così, la sacra alleanza tra gli affiliati alle logge calabresi e i mafiosi delle ‘ndrine più potenti del pianeta potrebbe sembrare qualcosa a metà strada tra il folkloristico e l’esoterico. In realtà si tratta di un patto criminale che ha reso irrespirabile l’aria a Reggio Calabria, determinando il susseguirsi di stagioni politiche e il sottosviluppo economico della città dello Stretto.
Un’alleanza che, secondo la ricostruzione della Procura reggina guidata da Federico Cafiero de Raho, si è trasformata nella regia occulta della città nei suoi assetti politici e amministrativi.
Una piovra in grado di decidere sindaci e amministratori comunali, capace di gestire la cosa pubblica in base agli interessi della struttura segreta.
È quello che proverà ad accertare il maxi-processo “Gotha” il cui dibattimento è iniziato lo scorso aprile e nel quale convergono cinque diversi filoni di inchiesta. Alla sbarra, nel procedimento ordinario, ci sono una quarantina di persone con accuse che vanno dalla violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete all’associazione mafiosa, dal voto di scambio alla corruzione. E ancora: estorsione, truffa, falso ideologico e rivelazione di segreti d’ufficio. Di questi reati è accusata la presunta cupola masso-‘ndranghetista che avrebbe deciso ogni respiro in città negli ultimi quindici anni.
I nomi sono importanti. Tra questi l’ex presidente della Provincia, Giuseppe Raffa, un ex democristiano passato dal centrosinistra prima di approdare a Forza Italia; l’ex sottosegretario regionale di AN Alberto Sarra, il senatore Gal Antonio Caridi, il magistrato di Cassazione (oggi in pensione) Giuseppe Tuccio, padre dell’ex assessore comunale ed esponente politico di AN, Luigi. Tra i rinviati a giudizio figurano anche una giornalista, Teresa Munari, e un sacerdote, don Pino Strangio, per oltre vent’anni rettore del santuario di Polsi, luogo sacro dell’Aspromonte in cui si riunivano per i loro summit i boss della ‘ndrangheta.
Le eminenze grigie della “superloggia” sarebbero, però, due avvocati molto conosciuti in città: il primo, che ha scelto il rito abbreviato, è Giorgio De Stefano, cugino del boss Paolo il cui omicidio nel 1985 diede vita alla seconda sanguinosa guerra di ‘ndrangheta.
L’altro è Paolo Romeo, un personaggio che sembra uscito dalla trama di un romanzo di Le Carré: uomo di fiducia della potente cosca De Stefano, un passato da neofascista in Avanguardia Nazionale, transitato dall’MSI al PSDI con cui venne eletto prima consigliere comunale e regionale, e poi deputato in Parlamento dal 1992 al 1994. Arrestato (e poi rilasciato) per avere favorito la latitanza in Calabria del neofascista Franco Freda accusato della strage di Piazza Fontana.
Scontata una condanna a tre anni per concorso esterno in associazione mafiosa, appena uscito dal carcere l’avvocato Romeo avrebbe ripreso a tessere le fila della vita cittadina mettendo a frutto la sua fitta rete di relazioni con il paravento dell’associazione culturale Circolo Posidonia. La sua posizione si è molto alleggerita rispetto alla prima udienza. La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio le accuse nei suoi confronti rimandando gli atti al Tribunale della libertà per una nuova valutazione sul reato di violazione della legge Anselmi e costituzione di associazione segreta.
Al di là di quelle che saranno alla fine le risultanze processuali e le responsabilità penali individuali, le inchieste della magistratura reggina stanno svelando quel “mondo di mezzo” in cui si decidono le sorti di un’intera comunità.
Un rapporto, quello tra ‘ndrangheta e incappucciati, che è saldo da oltre quarant’anni. Secondo il giornalista Gianfrancesco Turano, che sul settimanale L’Espresso ha rivelato cifre e legami delle obbedienze massoniche italiane, «sostanzialmente ci sono due fasi storiche: la prima che nasce intorno al 1970 con la Rivolta di Reggio per il capoluogo e il gruppo De Stefano-Piromalli. In quel frangente è la ‘ndrangheta a cercare nella massoneria una sorta di legittimazione e soprattutto una rete relazionale. In una seconda fase, però, questa operazione risulta a doppio senso: gli apparati deviati dello Stato, presenti nelle logge, dalla P2 in avanti, si rendono conto che anche a loro interessa avere rapporti ravvicinati con la ‘ndrangheta. E qui si cita come un caso di scuola l’intercettazione del boss di Limbadi, Pantaleone Mancuso detto “Vetrinetta”, che al telefono dice che ormai la ‘ndrangheta è composta da quattro “storti” (stupidi) e che si deve parlare più propriamente di massoneria».
Questa sovrapposizione tra appartenenti alle logge e alle cosche si trasforma, nella vita di tutti i giorni, in una melassa di rapporti che coinvolgono la politica, il mondo delle professioni, l’imprenditoria. La borghesia della città che si trasforma in borghesia criminale.
Melassa è il termine che usa spesso Claudio Cordova, giovane direttore del quotidiano online Il Dispaccio, da sempre molto attento a rivelare e analizzare i mali della città: «Reggio Calabria è una città in cui tutti sono legati a tutti, al di là di presunte bandiere politiche. Un intreccio in cui il collante è la massoneria: una sorta di camera di compensazione in cui siedono professionisti, politici, imprenditori, oltre ovviamente ai mafiosi, per condizionare la vita politica ed economica della città. Sostanzialmente Reggio è stata tradita dalla sua borghesia perché un impero economico non si costruisce e non prospera senza il coinvolgimento di commercialisti, avvocati, notai ovvero senza quei professionisti che, indipendenti sotto il profilo economico e dotati di strumenti culturali, potevano tirar fuori Reggio dalle secche e invece sono scesi a patti con la criminalità organizzata. La città, di fatto, è stata tradita da quella che doveva essere la sua parte migliore».
Un quadro a tinte fosche che getta una luce sinistra sul futuro della città. Ma, oltre a riscrivere la storia giudiziaria di Reggio Calabria e di un pezzo d’Italia, il processo “Gotha” può servire a ripulire l’aria sul cielo dello Stretto?
Il pubblico ministero Stefano Musolino, uno dei magistrati che hanno indagato sulla masso-‘ndrangheta e che sostiene l’accusa in dibattimento, non ne è così certo: «Io credo che questo sistema di potere possa venire meno quando diminuirà quella che io chiamo la richiesta di ‘ndrangheta che proviene dalla società civile, cioè la richiesta di facilitazioni che prescindano dalla legalità. Ancora non si ha la chiara percezione di quanto questa situazione sia il frutto di una serie di istanze che nascono dal basso, basti pensare al sistema di arruolamento del personale nelle società pubbliche che nasce da una serie di richieste di raccomandazioni e di favori. In una città molto povera come Reggio Calabria se non ci si emancipa dal bisogno, e si continuano a scambiare i diritti per favori, il sistema che regola tutte queste situazioni rimarrà sempre molto forte. Allora io credo che, prima di quello che possiamo fare noi magistrati, è necessario che la città faccia qualcosa da sé per potersi liberare da questo sistema».
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