Criminalità
Falcone, Gladio e la mistificazione delle sue parole
Gladio, nel tempo, sembra essere diventata il capro espiatorio di molte delle stragi avvenute in Sicilia soprattutto tra il 1976, anno della strage di Alcamo Marina, e il 1992, anno in cui furono perpetrate le stragi che uccisero Falcone, Borsellino e le loro scorte.
Verità, mito o leggenda?
La storia ci conferma che si può combattere un uomo anche solo per le sue idee. È possibile isolarlo al fine di costringerlo ad abbandonare il lavoro cui ha dedicato una vita. Ma, purtroppo, si può fare anche di più. Si può prendere il magistrato, quello che più e meglio ha lottato contro la mafia, e si può lasciare intendere che, in realtà, non ha avuto la forza, il coraggio o la convenienza di andare fino in fondo. Inoltre si può “girare la frittata” e, dopo avere partecipato e pianto pubblicamente ai suoi funerali, essendo stato ucciso dalla mafia, lo si può trasformarlo in un santino, in un monumento, accusando poi gli “altri” di averlo isolato, lasciato solo, impedito nel lavoro e, magari, fatto ammazzare. Ma, ancor peggio, è possibile prendere le sue parole, stravolgerle e piegarle a uso e consumo del proprio pensiero e utilizzarle come riscatto per trasformare le proprie sconfitte in intuizioni vittima di condizionamenti ricevuti.
Questa è la storia di Giovanni Falcone, odiato in vita e idolatrato dopo la morte le cui stesse dichiarazioni sono, spesso, rimanipolate o, ancor peggio, legate a memorie personali al fine di dare ai lettori e, in generale, al pubblico, la certezza che se lo stesso Falcone pensava che Gladio fosse la matrice di molte stragi dobbiamo per forza crederci. In realtà non risulta nessuna conferma, né nelle audizioni al Csm tantomeno nelle interviste rilasciate dallo stesso Falcone della sua certezza che Gladio abbia avuto il ruolo che, troppo spesso, le viene attribuito. Queste affermazioni, in realtà, sono più mirate a generare una concausa di tipo sociale e ideologico che non il raggiungimento della verità.
Sbattere il mostro in prima pagina
Possiamo concordare che, in molte situazioni, il ruolo di Gladio negli eventi che hanno destabilizzato la nostra società non è stato mai chiarito ma, come spesso accade, questo può far intendere che il primario obiettivo sia sempre stato quello di “sbattere il mostro in prima pagina” salvando chi, inevitabilmente, non si vuol fare apparire come mostro, ossia Cosa Nostra ma non solo. Cui prodest, soprattutto quando tutto ciò arriva da chi, per quello che c’è dato di sapere, dovrebbe essere più impegnato a cercare elementi, preferibilmente fatti, per arrivare alla verità piuttosto che fornire labili suggestioni ideologiche? O forse queste suggestioni ideologiche sono strumentali a un individuale posizionamento all’interno di un becero meccanismo di popolarità che rasenta l’idolatria? Inoltre, definiamolo effetto collaterale, minimizzare il ruolo di Cosa Nostra nella società e conseguentemente nelle stragi, rappresenta un assist verso quanti, per interesse personale o per semplice protagonismo, hanno sempre pensato che basti leggere un paio d’interviste, ovviamente pubblicate da testate compiacenti, per intendere che “non ci hanno mai voluto dire la verità” e far sì che le tesi di complottisti eccellenti vengano trasformate in verità indicibili, mai corroborate da prove.
Dalle parole di Falcone nessuna conferma
In realtà, in un’intervista rilasciata al Pungolo, periodico dei giovani siciliani, e pubblicata nel maggio 1992, poco prima della sua morte, Falcone stesso ebbe a dichiarare: «La questione del terzo livello è una singolare e strumentale cattiva interpretazione di quello che io ho detto in passato. Il terzo livello non solo non esiste, ma non è stato mai da me ipotizzato. Se per terzo livello intendiamo una sorta di organizzazione che si trova al di sopra degli organismi di vertice di Cosa Nostra, composta da politici e imprenditori, creiamo una trama per un film tipo “La Piovra”. Finiremmo con il creare la “Spectre” di Fleming. La realtà è molto più grave, molto più complessa. È peggiore: negare l’esistenza del terzo livello significa infatti affermare – conclude Giovanni Falcone – che comanda Cosa Nostra e non gli uomini politici. Questo, sfido chiunque a dimostrare il contrario, mi sembra molto più grave».
Non solo. Uno degli ultimi atti di Falcone prima di lasciare Palermo per Roma fu proprio quello di mandare in carcere Angelo Izzo e Giuseppe Pellegriti, nel cui mandato di cattura si parla di calunnia continuata in concorso con ignoti, reato consumato tra le mura della casa circondariale di Alessandria, che avevano tentato di imbrogliarlo propalando le stesse tesi che, oggi ma in realtà da diversi anni non essendo possibile per Falcone smentirli, sono oggetto di titoli sui giornali e di promo da parte di alcuni programmi di approfondimento sia della televisione di Stato sia di quella commerciale dimenticando che, in una audizione in Commissione Antimafia, proprio Falcone escluse la P2 e/o Gladio come responsabili dell’omicidio di Piersanti Mattarella.
Non esiste ombra di prova o d’indizio che suffraghi l’ipotesi di un vertice segreto che si serve della mafia
E come dimenticare quanto è scritto in “Cose di cosa nostra”, il libro che Falcone scrisse in collaborazione con Marcelle Padovani? «… questi crimini eccellenti, su cui finora non si è riusciti a fare interamente luce, hanno alimentato l’idea del “terzo livello”, intendendosi con ciò che al di sopra di Cosa Nostra esisterebbe una rete, ove si anniderebbero i veri responsabili degli omicidi, una sorte di supercomitato, costituito da uomini politici, da massoni, da banchieri, da alti burocrati dello Stato, da capitani di industria, che impartirebbe ordini alla Cupola. Questa suggestiva ipotesi che vede una struttura come Cosa Nostra agli ordini di un centro direzionale sottratto al suo controllo è del tutto irreale e rivela una profonda ignoranza dei rapporti tra mafia e politica. (…) Non esiste ombra di prova o di indizio che suffraghi l’ipotesi di un vertice segreto che si serve della mafia, trasformata in semplice braccio armato di trame politiche. La realtà è più semplice e più complessa nello stesso tempo. Si fosse trattato di tali personaggi fantomatici, di una Spectre all’italiana, li avremmo già messi fuori combattimento: dopotutto, bastava un James Bond».
Si può uccidere anche con la parola
Giovanni Falcone pagò direttamente e a caro prezzo il coraggio delle proprie idee. Non solo dovette difendersi dall’accusa di essere una sorta di connivente con la mafia, come quando fu accusato durante una trasmissione televisiva di tenere nei cassetti documenti anziché procedere ad arresti. Falcone capì cosa si stesse muovendo contro di lui, ed avvertì che «si può uccidere anche con la parola”. Quando fu messo sotto inchiesta al Csm e lo chiamarono a discolparsi, risponde che «non si può investire della cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità. La cultura del sospetto è l’anticamera del Khomeinismo». Quando si candidò per entrare nel CSM, furono proprio i colleghi magistrati, quelli stessi che poco tempo dopo ne piansero la scomparsa, lamentando l’incolmabile vuoto che lasciava e arrogandosi il titolo di suoi eredi, che non lo votarono, e Falcone non venne eletto.
Ma, forse, Falcone non aveva capito nulla e, anziché indagare, si lasciava andare a confidenze ma, in questo caso, la cosa strana è che le avrebbe fatte alle stesse persone che, in realtà, avevano contribuito alla sua delegittimazione e che egli stesso non annoverava tra i suoi amici ma, come ebbe a dire il maresciallo Antonino Lombardo, «il sospetto e la delegittimazione in Sicilia sono sempre stati l’anticamera della soppressione fisica».
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