Criminalità

Essere un cronista antimafia in Italia. Intervista a Giacomo di Girolamo

17 Dicembre 2014

Rispetto all’enormità del problema, in Italia si parla troppo poco di mafia. È costante il rischio che venga ridotta a un fatto di cronaca più o meno grave, più o meno esteso o complicato. Un seme che c’è sempre, ma che di tanto in tanto fiorisce. E allora se ne parla, con il solito tono tra lo stupito, l’indignato, e nei peggiori dei casi rassegnato.

L’indignazione è più che legittima: ma è davvero questo il modo giusto di raccontarla, tra spettacolarizzazione da cronaca nera e mille semplificazioni?

La mafia ha dimensioni titaniche, è vero, ma agisce localmente. E chi vuole parlarne dovrebbe seguirla passo per passo in tutte le sue sfumature, a partire dai più piccoli soprusi , fino a giungere ai grandi casi di corruzione. Ci vogliono dei media flessibili, attenti e fantasiosi. Come il nemico che si propongono di combattere.

In Italia questi media esistono: dal basso, e a partire dalle dimensioni locali, tentano di smuovere le coscienze. E  di bucare il silenzio criminale in cui le mafie operano impunite.

Ha fatto recentemente un po’ di scalpore – ma non quanto dovrebbe – la storia di Pino Maniaci, direttore di Telejato (un’emittente siciliana, di Partinico). Maniaci è stato vittima di un grave e codardo atto intimidatorio: l’uccisione (il 3 dicembre) dei suoi due cani, mascotte e costanti compagni di tutta la redazione, probabilmente malmenati o drogati e successivamente impiccati.

TeleJato non è l’unica redazione a fare informazione antimafiosa in modo capillare: sono tante le realtà presenti, soprattutto al Sud (alcuni esempi: I Siciliani, Scatto Sociale, Antimafia Duemila, DieciEVenticinque, TP24.it).

Ma combattono contro i mulini a vento dell’omertà e della rassegnazione. Nel silenzio.

Non basterebbe un’enciclopedia per parlare a fondo di queste tematiche. Per questo ho deciso di riportare direttamente le parole di Giacomo di Girolamo, direttore di Tp24, testata online della provincia di Trapani, che si occupa di raccontare “il territorio in diretta”, tramite cronache e inchieste dettagliate.

L’impressione che si ha costantemente, da semplici cittadini è che i vertici politici nazionali (esponenti del governo e dei partiti) parlino di criminalità organizzata attraverso dei meri proclami. Cosa ne pensa? Esiste una trattazione analitica, al livello politico nazionale, del problema della mafia?

La lotta alla criminalità organizzata ha una componente fortemente emotiva. Tutte le grandi leggi sono nate dopo fatti sanguinosi. C’è voluto l’eccidio di Pio La Torre affinché, nell’82, venisse riconosciuto il reato di associazione mafiosa. Solo dopo la strage di Capaci e Via D’Amelio ha preso il via il carcere duro, è nata la Dia, è stata regolamentata la confisca dei beni mafiosi. Anche oggi, nel nostro Paese manca una legge organica, seria, contro la corruzione e la concussione, e il premier Renzi ne ha annunciata una – molto depotenziata, in verità- solo dopo l’operazione “Mafia Capitale”. Purtroppo nessuno governo della storia della Repubblica ha messo la lotta alla mafia ai primi punti della sua azione di governo, ma l’approccio è sempre emergenziale, repressivo.

Crede che sia importante parlare di mafia in Europa o al livello internazionale? Può costituire un valido aiuto oppure l’Italia deve trovare da sola le risorse per “espellere il mostro dall’interno”?

Ormai si parla di mafia ovunque, anche in Europa. Queste perché le mafie non sono più geograficamente ristrette, ma allargano i loro orizzonti. A tutto questo parlare, però , spesso non segue un agire coerente. Per esempio, ancora oggi, in molti paesi europei, il reato di associazione mafiosa non esiste (in Inghilterra e in Germania ad esempio), così come non è uniforme la disciplina sulla confisca dei beni. Paradossalmente io penso che l’Italia, che è il Paese che ha “inventato” la mafia (ed è anche quello che però ha “inventato” l’antimafia), possa essere da guida in Europa per questo tipo di approccio, perché, sotto certi aspetti, ha la legislazione più avanzata ed efficace, soprattutto nell’aggressione ai beni mafiosi. Purtroppo siamo decisamente indietro nella lotta ai reati contro la pubblica amministrazione.

Esistono molti giornali online o emittenti che fanno informazione antimafia a livello locale. Quanto conta proprio la cronaca locale nel formare una coscienza estesa del problema?

Conta. Noi su tp24.it abbiamo scelto di fare del giornalismo di inchiesta e antimafia una delle travi del nostro lavoro. Siamo stati i primi e siamo ancora gli unici ad approfondire alcuni temi e inchieste. A volte si ha la sensazione, dal numero di lettori che abbiamo, dalle mail che riceviamo, che il giorno dopo accada qualcosa, che le persone si ribellino e le cose cambino. In realtà non cambia nulla, la capacità di adattamento dei siciliani vince sempre su tutto. Ma ciò non toglie che l’azione di denuncia e di racconto non vada fatta ugualmente, sia perché raccontare è il senso del mestiere – al di là delle reazioni -sia perché nessuno deve avere più l’alibi di non sapere. Le cose si sanno, perché noi le diciamo.

Come opera, a quali rischi si espone e quali ostacoli incontra in Italia un giornalista che si occupa di criminalità organizzata, anche come semplice cronista o collaboratore?

Non può operare. Paga misera, nessuna tutela, nessun aiuto. Noi siamo una realtà più unica che rara, ma paghiamo le spese: molti clienti rinunciano ai contratti pubblicitari dopo i nostri articoli, le minacce sono all’ordine del giorno, siamo costretti a non firmare i nostri articoli per evitare la caccia all’uomo. A ciò si aggiungono le querele e le richieste di risarcimento danni. Io stesso ne ho una per 50.000 euro da parte del Sindaco del mio Comune, che ritiene che con la mia attività giornalistica io faccia cattiva pubblicità alla mia città… Il resto della stampa è assolutamente allineato al manovratore, salvo poche eccezioni. Anche perché dalle nostre parti un giornalista per campare deve fare altro, è solitamente fa il pubblicitario, o lavora per l’ufficio stampa o il collaboratore di questo o quel politico, o prende sottobanco appalti dal Comune, o contributi pubblicitari. Quindi non ha intenzione alcuna di andare contro il potente di turno…

 

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