Criminalità
El Calighér de Trieste: storie di mafia a Nordest
In dialetto giuliano “calighér” significa “calzolaio”. Tra le vie scoscese del capoluogo di regione ci si imbatte di frequente in questi ruvidi bottegai che il tempo ha cristalizzato per sempre. Maestri della scarpa e dello stivale, abili artigiani dalle mani d’oro. Chi mai sospetterebbe di un “calighér”? Chi mai crederebbe possibile che un artista della tomaia si invischiasse in affari di mafia?
Accade anche questo, a Trieste. A Nordest.
L.Z. viene arrestato dai carabinieri quando si scopre che lui, storico calzolaio triestino, funge da basista per gli interscambi della droga targata camorra. Si apre così l’Operazione calighér, che porta all’arresto di tre napoletani domiciliati a Trieste e di un triestino: il “calighér”, appunto.
Lavoravano a Borgo Teresiano, invece, il commerciante R.A. e il barista F.F., entrambi triestini. Ma il loro lavoro, quello cioè di commerciante l’uno e di barista l’altro, era solamente una facciata per poter nascondere meglio la vera professione: l’essere i basisti per i fiumi di cocaina che a ritmi continui giungevano dai clan napoletani sulla città di San Giusto.
Lo scorcio giuliano può chiudersi citando un’ultima, strepitosa, storia di mafia quotidiana a Nordest. Quella di un giovane “mulo” (triestino, ndr) che faceva da basista per lo smistamento di hashish e cocaina nel suo posto di lavoro: l’obitorio. Qui, tra un cadavere ricucito e un altro sotto i ferri, i carabinieri hanno rinvenuto un vero e proprio arsenale di dirottamento della droga.
@giulio_serra
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