Criminalità
Educhiamo le ragazze alla diffidenza
Diffidenza. A questo bisogna educare le bambine, sin da piccole. Dobbiamo educarle a essere consapevoli dei rischi che possono nascondersi fuori, nel mondo. E che non arrivano soltanto sotto forma di “estranei”.
Purtroppo è necessario che le ragazze sappiano che i rapporti con i ragazzi, e con gli uomini in generale, possono comportare dei rischi. Rischi da non dare per scontati, ovviamente, ma neanche da liquidare come rari o patologici o eccezionali. Bisogna educare le ragazze a individuare subito i segnali di pericolo, e ad agire di conseguenza.
In Italia ogni due giorni una donna viene uccisa da un uomo. Un uomo che conosce. Il femminicidio non è un evento raro. E sotto a questo dato, già di per sé scioccante, si nascondono una miriade di casi di violenza fisica, psicologica, sessuale.
Un nuovo, tragico caso di cronaca ci investe di un’ormai ben nota sensazione. Quel senso di impotenza, quella costernazione di fronte all’ennesimo femminicidio, a una ragazza – una bambina – di soli sedici anni ammazzata. Da un diciassettenne che era già stato denunciato dalla madre della ragazza, e che aveva dimostrato di essere possessivo e violento. Ma che non è stato fermato in tempo.
Non sono una giurista, una criminologa e tanto meno una politica. Sono convinta che la politica debba fare di più, molto di più. Che ci voglia un impegno di tutta la società per mettere in moto il cambiamento culturale necessario affinché il maschilismo e la violenza sulle donne, in Italia, abbiano fine.
Nel frattempo, e non può essere altrimenti, bisogna educare le bambine, le ragazze, le donne a essere consapevoli, prudenti, e anche diffidenti. Anche a costo di essere etichettate come esagerate, paranoiche, stronze eccetera. Perché i fidanzati, gli amici, i compagni e i mariti che uccidono esistono davvero, non sono una creazione dei media. Così come esistono i fidanzati, gli amici, i compagni e i mariti che picchiano, violentano, ricattano, abusano.
Bisogna stare attente, dunque. Ma attente a cosa? Per cercare di capire se si possa individuare in tempo un possibile femminicida, l’anno scorso ho intervistato l’esperta Isabella Merzagora, professoressa di Criminologia presso la Sezione di Medicina Legale dell’Università di Milano e Presidente della Società italiana di Criminologia. Ecco i dati principali emersi dall’intervista e alcune raccomandazioni:
– Nella maggior parte dei casi, gli uomini che uccidono la compagna/moglie/ex non sono affetti da malattia mentale;
– Gli uomini abusanti non hanno un profilo sociale, né un’età specifica;
– Bisogna troncare il rapporto non appena si verifica una violenza di qualunque tipo, nonché denunciare quando gli abusi o l’insistenza si ripetono;
– Troppo spesso le violenze psicologiche non vengono percepite come violenze;
– La chiave sta nella frequenza: se gli insulti sono ripetuti, quella è violenza. E con un violento non si sta.
– Rispetto ai casi di violenza perpetrati da uomini, i casi di violenza femminile sono quantitativamente irrilevanti;
– Evitare come la peste (sic) i cosiddetti “ultimi colloqui chiarificatori”;
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