Criminalità
Dovremmo tutti cambiare da Willy, con Willy, per Willy
Il sorriso di Willy, la sua aria allegra e l’energia vitale che permeava il suo volto di gaiezza meritano parole trasparenti e ragionate, chiare ed essenziali, senza cedere alla retorica della riprovazione e della rabbia. Bastano la pietà e la tristezza infinita che si provano di fronte all’uccisione di un ragazzino pacifico e gioioso a dare sfogo alla nostra emotività inquieta. Per quanto mi riguarda, niente sociologia, dunque. E niente filosofia morale! Contestualizzare, o stigmatizzare un omicidio tanto cruento e inconcepibile senza adottare i giusti criteri scientifici, come è avvenuto un po’ ovunque, è un esercizio che un osservatore minimamente scrupoloso non contempla. Si cerchi di individuare, piuttosto, cosa si può fare per evitare che la violenza spenga per sempre altri sorrisi aperti alla vita. La sicurezza, in qualsiasi paese evoluto, a maggior ragione da noi, è una necessità fondamentale, e non costituisce un punto programmatico di destra, né di sinistra, ma un’esigenza collettiva che andrebbe soddisfatta nella maniera più congeniale e nel più breve tempo possibile. La politica, nel suo insieme di forze partitiche, dovrebbe lavorarvi col massimo impegno per garantire un risultato efficiente, derivante da una volontà compatta a difesa della libertà e serenità dei cittadini. E, invece, nella versione più gretta possibile, essa specula sull’orrendo delitto a proprio uso e consumo. Lo ha fatto nei giorni scorsi una certa sinistra, lo ha fatto ieri sera Giorgia Meloni nel salottino vespasiano della tv di stato.
Il dibattito pubblico, che andrebbe riveduto nella forma e riempito di contenuti autentici, tratta tutti gli argomenti divagando e cianciando allo stesso modo, che si tratti di una riforma, o di un efferato caso di violenza. Nella fattispecie, nessuno si chiede per quale motivo tanti bulli, al di là di quelli digitali, debbano godere di una sorta di impunità che permette loro scorribande impunite, azioni violente di ogni specie verso il prossimo e oltraggio deliberato al patrimonio pubblico. Tanti di loro vivono di angherie perpetrate nei confronti dei più piccoli e deboli, e pur essendo noti sia alla popolazione che alle forze dell’ordine, come nel caso di Colleferro, hanno piena libertà di azione. Tanto facili da individuare, così difficile da fermare? E, perché mai? Esiste, forse, un bullismo e una violenza di matrice politica che gode di una garanzia a protezione delle vigliaccate commesse? Da più parti viene sollecitato che la brutale condizione del palestrato invasato e potenziale omicida si risolva con un programma di educazione culturale, ed è anche probabile che sia così, ma nel frattempo cosa si fa? Non sarebbe auspicabile sanzionare questi aspiranti boss da copertina già alle loro prime manifestazioni di inciviltà?
Per interpretare il caos che ci circonda e il disorientamento che viviamo occorrono riflessioni rigorose e strutturate, non reazioni e osservazioni banalissime di opinionisti che spettacolarizzano finanche lo sport praticato dagli assassini di Willy, risucchiati evidentemente dall’onda metaforica del “Gomorra style”. Ecco, che affidarsi a Zygmunt Bauman, in questo frangente, potrebbe essere un toccasana. Il pensatore polacco, sociologo o filosofo, oppure entrambi, poco importa, che meglio ha interpretato i risvolti incresciosi della postmodernità, ci invita a non adagiarci nell’ampollosità e nella prolissità del risentimento, della collera, dello sdegno. La fase che viviamo è favorevole ai populismi e in special modo all’indignazione. In pratica, siamo consapevoli di ciò che non vogliamo e sempre pronti a manifestare in modo sterile e infruttuosamente la nostra rabbia per ciò che ci rattrista e irrita, nell’assenza più totale di un progetto di vita civile e comunitaria. Siamo, probabilmente, in una sorta di buco nero dell’intelligenza. La sfida è uscirne. Sarebbe bello se il mondo cambiasse da Willy, con Willy, per Willy.
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