Beni culturali
Dipinti rapinati nel ’92 a Modena, per i Pm fu l’inizio Trattativa Stato-Mafia
A gennaio di quest’anno durante la requisitoria del processo sulla presunta Trattativa Stato-Mafia il pm Roberto Tartagliaha ricordato la famosa rapina alla Galleria Estense avvenuta a Modena nel gennaio del 1992.
Il racconto del pubblico ministero era ovviamente finalizzato a dimostrare quello che per l’accusa fu il ruolo del generale Mario Mori (insieme a De Donno e Subranni) nella presunta Trattativa, ma senza addentrarci nel merito delle requisitorie finali dell’accusa e delle conclusioni definitive della difesa rappresentata dall’avvocato Basilio Milio, vale la pena soffermarci su quel fatto, su quella clamorosa rapina modenese.
Il colpo modenese, ma soprattutto le fasi successive (quelle legate al recupero delle opere d’arte trafugate) sono infatti da inserirsi secondo l’accusa del processo di Palermo nel contesto della ‘seconda Trattativa o Trattativa delle opere d’arte’.
LA RAPINA E LA TRATTATIVA SINORA NOTA
Parliamo della rapina del 23 gennaio 1992 effettuata dalla banda di Felice Maniero (che fece irruzione con 4 uomini armati e mascherati) alla Galleria Estense (per il Pm di Palermo Tartaglia avvenne a febbraio, ma tutti sbagliano…). In quel colpo furono trafugate cinque opere: il ritratto del duca Francesco I di Velazquez (nella foto), il trittico di El Greco, la Madonna col bambino di Correggio e La piazzetta di San Marco e L’isola di San Giorgio Maggiore di Guardì. Un anno dopo l’assalto alla Galleria Estense, è l’agosto del ’93, Maniero venne arrestato a Capri.
La storia finora ha raccontato un tentativo di trattativa con Maniero stesso (ne sarebbe stato protagonista l’ex pm Giuseppe Tibis che però ha sempre smentito). In cambio dei domiciliari il capo della Mala del Brenta avrebbe dovuto restiture i quadri (una ricostruzione offerta da Maniero stesso nel suo libro).
I quadri, alla fine, tornarono a Modena (il piccolo trittico di El Greco e uno dei due dipinti del Guardi a dicembre del 1993 vennero recuperati in un cimitero nella bassa ferrarese, il Velazquez, il Correggio e il secondo Guardi furono trovati dalla Criminalpol nel febbraio del 1995 nel padovano), ma il processo di Palermo racconta di un’altra – ben più eclatante – trattativa, con i quadri di Modena come merce di scambio.
LA SVOLTA NEL PROCESSO DI PALERMO
Il pm Tartaglia a gennaio ha infatti spiegato come Paolo Bellini (ex esponente dell’eversione nera, killer a servizio della ‘ndrangheta che dal 1999 ha iniziato a collaborare con la giustizia) consegnò, stando alle parole di Bellini stesso, al boss Antonino Gioè (suicidatosi nel ’93 a Rebibbia) una busta gialla, all’interno della quale ci sono proprio le foto delle opere d’arte rubate a Modena. In cambio della restituzione di quelle opere la Mafia avrebbe chiesto benefici per i detenuti eccellenti mafiosi di allora (da Brusca a Calò),
‘Bellini consegna a Gioè, una busta gialla all’interno della quale ci sono proprio le foto di Modena, delle opere di Modena. Bellini dice a Gioè: fateci ritrovare queste opere che io sto cercando e chi c’è dietro di me, vi potrà dare dei benefici, vi potrà dare degli aiuti – si legge nella trascrizione della requistoria di Tartaglia -. La conferma che quella busta gialla sarebbe stata contropartita di altro, arriva a stretto giro, perché all’appuntamento successivo è Gioè a dare Bellini a una cosa. Gli dà il famoso biglietto con cinque nomi: Bernardo Brusca, Luciano Ligio, Pippo Calò, Giuseppe Giacomo Gambino e Giovan Battista Pullarà. Sono cinque nomi per cui dice Gioè a Bellini: se noi vi facciamo avere queste opere, o altre, ora lo vediamo, vogliamo avere qualche beneficio, arresti domiciliari o ospedalieri per qualcuno di questi. Bellini dice anche che Gioè in quella stessa occasione, gli porta anche altre fotografie. Perché gli dice: guarda quelli di Modena non le riusciamo a recuperare, però abbiamo opere rubate in Sicilia, di cui alla disponibilità di Cosa Nostra. La disponibilità di quelle opere la dà Matteo Messina Denaro‘.
Ma sempre stando alle parole di Bellini, riportate dal Pm a gennaio nel processo di Palermo, la presunta ‘seconda trattativa’ a dicembre 2012 si arrestò e quindi, teoricamente, il recupero delle opere modenesi non è legato all’intervento diretto della Mafia.
‘In quello stesso periodo, Gioè, dice Bellini: alla vigilia del dicembre del 1992 Gioè in uno degli ultimi incontri, gli dice che i mafiosi non sono più interessati al discorso dello scambio opere d’arte, benefici penitenziari, e gli dice anche il perché – afferma Tartaglia – non hanno più interesse per uno scambio delle opere d’arte con alcuni benefici penitenziari specifici, perché – e ora sono parole testuali di Gioè – “avevano un’altra trattativa in corso che arrivava ai piani più alti del Governo”.
GLI ALTRI ARGOMENTI DEI PM DI PALERMO
Il Pm sottolinea anche alcune conferme circa questa Trattativa-modenese. ‘Il dato della presenza effettiva di Bellini a casa di Gioè, ci arriva innanzitutto da Mario Santo Di Matteo, con una integrazione importante. Non solo c’era Gioè che lo dice a Mario Santo Di Matteo, ma al piano di sopra, steso, sul pavimento, con la pancia a terra, a origliare, un altro collaboratore dietro la tenda. Mario Santo Di Matteo dice che Gioè gli disse personalmente che questo Bellini era uno potente, che aveva agganci nei servizi segreti, e che in cambio di questi quadri, poteva fare avere benefici per alcuni detenuti di Cosa Nostra. Un’altra conferma ci viene dal collaboratore La Barbera che ha detto di avere partecipato anche lui a uno di questi incontri e c’era il discorso dello scambio tra le fotografie dei quadri e i cinque nominativi per cui bisognava fare avere il beneficio ospedaliero penitenziario – si legge nelle trascrizioni del Pm Tartaglia -. La Barbera aggiunge che i soggetti che erano a casa di Gioè, e che ascoltavano Bellini, usciti dalla porta, andavano da tre persone, ore dopo, il giorno dopo, andavano da tre persone a chiedere se potevano continuare, dove potevano prendere le opere: Riina, Biondino e Messina Denaro. Dice La Barbera: “proprio da Messina Denaro, ci andarono subito, per portargli le fotografie di Modena – lo dice La Barbera – e per chiedergli se potesse Cosa Nostra fare qualcosa per recuperarle. Perché Messina Denaro era considerato il massimo esperto all’interno di Cosa Nostra, di arte e di quadri”. Ha parlato ancora dei rapporti con Bellini, Giovanni Brusca. Brusca ha confermato la sua presenza occultata a uno di questi incontri, dice che lui non era dietro le tende, ma era al piano di sopra, con la pancia a terra per origliare. Brusca ha detto anche di avere personalmente visto la busta gialla, quello con le fotografie di Modena, e dice ancora Brusca che Salvatore Riina in persona, gli aveva dato l’autorizzazione a proseguire quel contatto e glielo aveva dato, dice Brusca, dicendogli che quello era il momento in cui sostanzialmente erano state ritenute irricevibili le proposte del papello. La trattativa principale stava arrancando, e Riina dice a Brusca: vai avanti. E dice ancora Brusca che i nomi che già Brusca stesso aveva inserito, quello di suo padre, Bernardo Brusca e quello di Giovan Battista Pullarà, Riina ne aveva aggiunti degli altri: Ligio, Giuseppe Giacomo Gambino e Pippo Calò. Gli stessi che riferisce Bellini. Ancora Brusca dice che in questo incontro in cui Riina gli dà l’autorizzazione ad andare avanti, anche qui qualche opera da offrire l’avevano avuta da Porta Nuova, e questo spiega, dice Brusca il riferimento proprio al nome di Calò in quel bigliettino, mentre le altre opere d’arte da offrire come contropartita di quello scambio, effettivamente se ne sarebbe occupato Matteo Messina Denaro in un appuntamento che, dice Brusca, si tenne nella gioielleria di Geraci a Castelvetrano, in cui c’era un altro soggetto che pure ne capiva d’arte, e lì si fece una sorta di inventario di quello che Cosa Nostra poteva offrire come quadri, come contropartita. Dice Brusca: Matteo Messina Denaro, che era informato anche di questo secondo canale di comunicazione, di interlocuzione. È significativo per chiudere su Brusca, quello che Brusca dice quando fa riferimento al fatto che sentiva l’esigenza di informare Riina in tempo reale, di tutto il piano del rapporto con Bellini. Dice: io lo dovevo informare, perché non volevo che intralciasse la trattativa principale. Perché io sapevo che era in corso la trattativa principale, e quindi lo volevo informare. E la stessa chiusura che abbiamo già visto di questo secondo piano di trattative, ci arriva pure da Brusca. Ricorda Brusca che dopo l’estate, certamente l’estate del 1992, proprio quando si era ravvivato il canale della trattativa principale, Riina, all’improvviso, gli dice di chiudere il canale con Bellini, perché, la motivazione è questa: non serviva più. In quel momento non serviva più. Quindi un altro riscontro a Bellini, alla chiusura che gli arriva da Gioè. E anche Brusca dice: Riina fu a dirmi chiudi il canale, perché quello non serve più’.
LA DIFESA
Per completezza riportiamo anche la tesi della difesa su questo preciso punto. E la difesa ovviamente smentisce la tesi di questa trattativa di opere d’arte in cambio di benefici per i boss mafiosi in carcere.
“Il Pm ha raccontato come Gioè portò a Bellini il bigliettino con 5 nomi, e anche foto di opere d’arte in possesso di “cosa nostra” fatte avere da Messina Denaro che era informato anche di tale trattativa -afferma l’avvocato Milio -. Questa è la versione di Bellini. Il quale è un pregiudicato, assassino. Un delinquente, insomma. Il Pm ha creduto alla versione di questo assassino e ha omesso di citare le smentite del maresciallo Tempesta. Il quale disse: “Raccontai al generale Mori il discorso fatto da Bellini nei termini in cui è stato fatto, raccontando alla fine del discorso… Cioè ho consegnato… Gli ho parlato delle fotografie, che mi ha dato delle fotografie, di cose che erano nel frattempo risultate effettivamente rapinate a Palermo anni prima, quindi raccontai il perché, come ero stato avvicinato, quello che questo si era messo in testa di fare e che ormai si era creato come fatto compiuto, a sé stante, convinto di riuscire, però non capisco come potesse essere convinto di riuscire, cioè non capivo come, e raccontai anche il discorso dei monumenti alla fine proprio dicendo: mi ha anche detto questo perché fossi io a valutare questa cosa, ma preferisco esserne tirato fuori perché non sono in grado di seguire fatti di… A meno che non serva l’espediente del finto recupero di opere d’arte per poter favorire questo tipo di discorso…..No, no, è una considerazione che feci quel giorno, cioè mi dichiarai comunque disponibile a fare lo specchietto delle allodole qualora ci fosse stato un discorso di valutazione positiva di quelle che fossero le richieste, però sì, si stabilì subito che la cosa non era praticabile, se ne parlò subito che aveva proprio scarsissima praticabilità’. Tempesta ha ribadito che Mori “disse subito che la cosa era impraticabile, che i nomi rappresentavano il gota dell’organizzazione mafiosa e che non era praticabile minimamente il discorso” – ha detto l’avvocato -. Ne deriva che ciò che ha raccontato Bellini non è vero ed è smentito da Tempesta’.
Giuseppe Leonelli
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