Criminalità
Criminalità giovanile,la stretta istituzionale riuscirà a risolvere il problema?
“Io sono l’altro
Puoi trovarmi nello specchio
La tua immagine riflessa, no l’altro Quello che il tuo stesso mare
Lo vede dalla riva opposta
Sono il padre del bambino
Handicappato che sta in classe con tuo figlio
Il direttore della banca dove hai domandato un fido
Quello che è stato condannato
Il presidente del consiglio.
Quelli che vedi sono solo i miei vestiti
Adesso vacci a fare un giro
E poi mi dici”.
A pochi giorni dalla raccapricciante scoperta dei ripetuti stupri perpetrati ai danni delle due cuginette minorenni al Parco Verde di Caivano, Napoli è stata nuovamente scossa da un terribile evento che mette di nuovo in luce la dura realtà della violenza giovanile. L’omicidio di Giovanbattista Cutolo, un talentuoso musicista di 23 anni, scuote la città e porta nuovamente alla ribalta una serie di questioni complesse e preoccupanti. Oramai è chiaro che la triste realtà della violenza giovanile non può essere ignorata. È un problema che richiede l’attenzione delle istituzioni e della società nel suo complesso; una difficile sfida da affrontare con determinazione per creare un ambiente più sicuro per i giovani. Nella bozza del decreto concernente la criminalità giovanile “anche i minori che hanno compiuto 14 anni possono rischiare il Daspo urbano e l’avviso orale del Questore. Se il ragazzo che riceve l’avviso orale risulta anche condannato, seppure con una sentenza non definitiva, per delitti contro la persona, il patrimonio, per reati legati ad armi o droga, il questore può proporre al tribunale dei minori il divieto di usare piattaforme, servizi informativi e telematici, nonché il divieto di possedere telefoni cellulari”.
Sono molti i fattori che entrano in campo a spiegare da dove nasce tutta questa violenza. Fragilità narcisistica patologica, mancato controllo degli impulsi, tendenze antisociali. Di frequente, connesse a quanto si esprime come violenza; è possibile rinvenire rabbia da frustrazione, noia intesa sia come stato emotivo spiacevole che come anestesia emotiva, a volte solo squallida moda.
Questa ultima sembra forse meno associabile alla violenza, ma se pensiamo per esempio alla musica quale dimensione che impregna la fase adolescenziale, possiamo verificare l’attualità del genere trap, così comune e diffuso tra i ragazzi fin dall’età della scuola secondaria di primo grado, che di fatto inneggia alla violenza con testi cupi e minacciosi, i cui temi tipici di vita di strada tra criminalità e disagio, povertà e droga, si sono diffusi quale cultura giovanile. Questa modalità di riproporre la realtà americana si addice ormai a tutte le periferie del mondo, a quei luoghi abbandonati e degradati dei sobborghi in cui si spacciano sostanze stupefacenti, anche nel diverso contesto del nostro Paese e in questo momento storico
La diffusione di atteggiamenti tramite strumenti digitali non è da sottovalutare, immagini propagate attraverso una comunicazione immediata e molto reale, oltre che una diffusione istantanea su larga scala, non tiene conto dell’interlocutore o di eventuali sue fragilità. Per alcuni comportamenti può accadere che questo tipo di comunicazioni inneschi un effetto di contagio sociale, secondo il quale l’azione condivisa diventa una sorta di prescrizione nell’orientamento del comportamento di altri che si riconoscono simili. Il meccanismo alla base di questo è l’imitazione, che è una caratteristica innata dell’essere umano. Per esempio, i video e la musica più di tendenza sui social, suggestionano e attivano imitazione tra i giovani, orientando gli atteggiamenti e i comportamenti, fungendo da modello che assicura fama, successo e like.
Se pensiamo che oggi si cresce in un contesto dove il successo e la fama vengono prima di tutto, non è difficile comprendere come la violenza, quale moda, prenda piede sulla base della necessità di sentirsi parte di un gruppo che fa tendenza, che riscuote popolarità, che ti fa sentire ‘forte’. Il rischio che questi eventi si trasformino in fenomeni di moda pertanto è reale, e ci fa riflettere su quanto sia importante la comunicazione negli anni che stiamo vivendo, sollevando la necessità che si plasmi una società di adulti responsabili, che sappiano trasformare i messaggi in comunicazioni che abbiano effetto protettivo o che sappiano mediare sulle comunicazioni.
I social media e le nuove forme di comunicazione rapida rendono immediata la fruizione di ogni cosa. La velocità è la caratteristica di questo mezzo, cosa che porta a una riduzione del tempo del pensiero. In generale, gli adolescenti sono sempre meno in grado di procrastinare, di attendere la soddisfazione di un desiderio, soprattutto con l’arrivo dello smartphone. Tornano in auge i feature phone, ovvero i telefoni cellulari basici, quei dispositivi economici che non hanno tante funzioni e che riportano a un’era tecnologica ormai passata. I ragazzi della Generazione Z, ma anche i millennial, li usano per provare a disintossicarsi da smartphone e social media. Lo dimostra anche il fatto che hashtag come “bringbackfliphones” su TikTok hanno raccolto milioni di visualizzazioni.
Se è vero che le nuove tecnologie sono spazi arricchenti per gli adolescenti, è pur vero che nascondono insidie e rischi, del resto, come si può negare che anche vivere è rischioso? Sarebbe anacronistico e deleterio se gli adulti- ne siamo noi stessi fruitori- dovessero usare questi mezzi come silenziatori, devono, al contrario, interagire con i ragazzi anche attraverso queste nuove tecnologie anche perché un’educazione iperprotettiva non permette al giovane una piena maturazione intellettuale e spirituale, una conseguente assunzione di responsabilità e l’individuazione di strumenti per risolverli.
Confessiamolo pure: il mondo contemporaneo, per ragioni che non possiamo nascondere, incita in tutti i modi a sognare un mondo irreale. Lo fa tutti i giorni con il suo corteo di divi e di divette, di campioni e di veline, di personaggi famosi relegati nell’isola per offrirci un concentrato di stupidità. La cultura del servilismo di fronte ai potenti di turno e l’amore smisurato per il denaro, tendono a presentarci tutto questo come l’unico modello di vita. Tutto concorre a fare del successo come tale un ideale assoluto. Non viene risparmiato niente pur di raggiungere questo nuovo ideale di vita riuscita, e chi non riesce prova una forma di colpevolezza, si sente un fallito, destinato a rimanere anonimo.
Il giovane che ricorre alla violenza non spera più, ha fatto della disperazione il senso della sua vita. Non pensa e non crede che la sua vita trovi compimento nell’agire secondo i valori del bene, del rispetto e della convivenza pacifica. La disperazione porta l’uomo ad affermare la morte fisica del suo simile e, quindi, la soppressione di chi lo contrasta. In lui si spegne ogni voglia di creare una società migliore, più pulita, ma cresce sempre più l’affermazione della insopportabile incapacità di capire la vita come è data. Qualcuno aveva preconizzato troppo in fretta che le ideologie erano morte.
In un tempo in cui l’uomo è diventato l’alfa e l’omega della propria esistenza e le trascendenze di un tempo, quelle del Cosmo o di Dio, ma anche della Patria e della Rivoluzione, sembrano a molti illusorie, dogmatiche o mortifere, neppure il lavoro costituisce l’ideale di qualcosa che vada oltre l’orizzonte chiuso del materialismo radicale.
Per molti c’è la paura fondata che flessibilità nel mondo del lavoro si traduca inesorabilmente in precarietà. Il futuro oggi alle nuove generazioni appare come una minaccia e non come una promessa.
Senza dubbio esiste il problema di trovare un lavoro stabile che dia garanzia al futuro, ma nella mente di molti giovani c’è una grande confusione tra ciò che si chiama una vita felice, e la semplice riuscita sociale. C’è una bella differenza tra la saggezza autentica e il culto del successo. Non si può confondere la vera felicità con la bramosia narcisistica e illimitata del potere, del denaro, della notorietà. Far capire la differenza tra utilità e felicità è uno dei punti più difficili. E per un educatore rimane l’arduo compito di preparare seriamente alla vita dal punto di vista professionale senza dimenticare ciò che intendeva Don Bosco per felicità.
Arrivando da orizzonti molto diversi, molti ragazzi non si aspettano la sicurezza di un porto al riparo di tutti i pericoli. Non chiedono neppure la descrizione del porto, ma di accompagnarli nel cammino. Ciò che sperano, è una compagnia di ricerca e di disponibilità, non un armadio pieno di certezze.
Troppo preoccupati delle verità da trasmettere, siamo poco sensibili all’attesa di coloro che non ci chiedono ancora in cosa bisogna credere, ma che cosa significa credere.
Snoop Dogg
In the name of the streets
Fuck it, i thug for free and thug to eat (Fanculo io sono un delinquente gratis e un delinquente di strada)
ASAP Rocky
Fuckin Problems
I love bad biches, that’s my funcking problems
and yeah i like to fuck, i got a fucking problem
I love bad biches, that’s my funcking problems
and yeah i like to fuck, i got a fucking problem
I love bad biches, that’s my funcking problems
and yeah i like to fuck, i got a fucking problem
If finding somebody real is your fucking problem
Bring your girls to the crib mabe we can solve it
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