Criminalità
Clero e abusi, quando il peccato è reato
Se ne parla poco, troppo poco. La prima considerazione è che, almeno in Italia ma non solo, l’argomento sia considerato un tabù. In realtà i dati, tragici, dimostrano che i numeri ufficiali sono enormi. Enormi e imbarazzanti per la Chiesa che, alla fine, continua ad avere una posizione non ben definibile.
Il 17 novembre scorso, La Cei ha pubblicato un primo report sugli abusi, 89 minorenni abusati da 68 abusatori, che sono stati denunciati presso i centri di ascolto aperti nel 2019 da molte diocesi italiane. Contestualmente ha anticipato il contenuto numerico di un secondo studio, di prossima pubblicazione, realizzato in base alle denunce canoniche giunte al Vaticano dal 2001 al 2020. “Sono 613 i fascicoli trasmessi dalle diocesi italiane al dicastero per la Dottrina della fede”, ha comunicato monsignor Giuseppe Baturi, segretario della Cei. In realtà si tratta solo dei casi di abuso sui quali è stato aperto un processo ecclesiastico in diocesi e che, in base alla normativa promulgata dalla Santa Sede nel 2000, va depositato a Roma sotto forma di “ponenza”, ossia un fascicolo, presso l’ex Santo Uffizio, il dicastero per la Dottrina della fede, l’ufficio del Vaticano cui competono per i processi canonici degli abusi sessuali.
Da questo primo report emerge che la maggior parte delle presunte vittime hanno tra i 15 e i 18 anni, circa il37%, e i 10 e i 14, ossia il 31%. La tipologia di abuso oggetto delle denunce canoniche è relativa a “comportamenti e linguaggi inappropriati”, “toccamenti”, “molestie sessuali”, “rapporti sessuali”, “esibizione di pornografia”, “adescamento online”, “atti di esibizionismo”. I reati segnalati fanno riferimento soprattutto a casi recenti e/o attuali, poco più del 52%, e si tratta sia di casi arrivati a conclusione di un processo, sia di episodi in attesa di sentenza.
In oltre la metà dei casi, l’analisi del profilo dei presunti molestatori, autori del reato, indica soggetti con età compresa tra i 40 e i 60 anni. Non solo preti ma anche laici, ad esempio insegnanti di religione, sagrestani, animatori di oratorio e religiosi. La quasi totalità degli abusi denunciati è avvenuto in un luogo fisico, la parrocchia, la sede di un movimento o di un’associazione, in seminario e a scuola. Solo poco più del 5% dei casi è avvenuto nel c.d. ambiente virtuale.
Nonostante le sbandierate buone intenzioni, però, il dolore, la sofferenza, le atrocità subite da minori, donne e persone in condizione di vulnerabilità sembrano “valere meno”, visto che, spesso, le diocesi hanno risolto il problema trasferendo il religioso in altra sede senza alcuna e, soprattutto, nessuna pena o limitazione del suo operato. Di fatto, tutti gli abusati, siano essi minori, persone in condizioni di vulnerabilità e donne sono le vittime degli abusi sessuali dei preti pedofili che commettono un reato, almeno sulla base della vigente legislazione italiana. E quella vaticana? Vi sono atti che sia lo Stato sia la Chiesa considerano “delitti”, e altri che vengono definiti “peccato” per la Chiesa ma per lo Stato sono indifferenti. E la pedofilia? Per lo Stato, in generale, la violenza sessuale su minori è un “delitto” variamente punito ma per la Chiesa è così? Il canone 1387 dichiara che «Il sacerdote che nella confessione sacramentale sollecita il penitente al peccato contro il sesto precetto del Decalogo sia punito (…) nei casi più gravi con la dimissione dallo stato clericale». A questo si aggiunge il canone 1395 comma 2 che indica chiaramente che se il chierico viola il sesto Comandamento «con un minore di 16 anni, sia punito con giuste pene, non esclusa la dimissione dallo stato clericale». In questi due canoni sta la vera, e ahimè attuale, risposta. Di fatto per la Chiesa la violenza del pedofilo su un minore non è un reato, ma una sola violazione del Decalogo.
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