Criminalità
Perché oggi che dà ragione a Contrada nessuno esalta la Corte di Strasburgo?
Il personaggio è controverso, e ha attraversato gli anni più caldi delle più intricate vicende italiane del secondo Novecento. Si chiama Bruno Contrada e per la giustizia italiana è colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa. È di oggi la notizia che la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, la stessa che ha condannato l’Italia sulla tortura della scuola Diaz durante il G8 di Genova, sulla vicenda-Contrada sta con l’ex super-poliziotto e agente segreto e contro la giustizia italiana. La sua condanna, secondo la Corte, è ingiusta, perché, relativamente all’epoca dei fatti oggetto della condanna, “il reato non era sufficientemente chiaro”.
Piccola nota, tecnica ma necessaria: il profilo del “reato” per cui è stato condannato Contrada, cioè il concorso esterno in associazione mafiosa, è frutto di una lunga e complicata elaborazione giurisprudenziale. Combinando le figure generali del concorso in reato con quelle specifiche dell’associazione a delinquere di stampo mafioso abbiamo nel tempo costruito, interpretativamente, la possibilità di condannare per mafia anche chi non sia affiliato all’associazione a delinquere, chi non sia parte organica dell’organizzazione, ma chi sia limitrofo ad essa contribuendo, volontariamente, a migliorarne i successi o limitarne gli insuccessi. L’abbiamo fatta più semplice che si può, per fare capire quanto complicata sia la questione: tanto più complicata se si pensa che in diritto penale vale il principio assoluto di legalità, poiché solo una legge pre-esistente ai fatti può servire da base per un processo penale, una condanna e l’inflizione della pena. Nessuno può essere condannato se non sulla base di una legge già vigente all’epoca dei fatti. E infatti, la figura stessa del “concorso esterno” è da lungo tempo discussa: le voci più garantiste la considerano da sempre una specie di mostro che finisce con allargare le maglie della punibilità per mafia ben oltre i confini della legge stessa, ed è quella figura che servì per processare anche Giulio Andreotti, il cui concorso esterno risultò accertato in un’epoca relativamente alla quale già erano scaduti i termini di prescrizione.
Cosa ha detto oggi la Corte di Strasburgo? Che relativamente al tempo in cui Bruno Contrada ha commesso il fatto, o i fatti che integrano secondo la giustizia italiana la fattispecie di concorso esterno in associazione mafiosa, l’elaborazione giurisprudenziale che ho cercato di descrivere sopra non era ancora avvenuta compiutamente. Cioè, la possibilità di essere condannati per quelle condotte era tutt’altro che chiara, poiché non c’era ancora una giurisprudenza consolidata, quindi: Contrada non andava condannato perché non aveva violato una norma già riconosciuta come tale, e di conseguenza lo stato italiano è chiamato a risarcire 10mila euro a Contrada. La Corte, con questa sentenza, sembra quasi riconoscere l’esistenza di norme penali che si forma al di fuori del parlamento, per consuetudine giudiziaria che, nel nostro ordinamento, è vietato dalla Costituzione (articolo 25), il che avrebbe conseguenza ancora più gravi rispetto a quanto rilevato relativamente alla vicenda Contrada.
Ma quel che qui rileva, non è solo o tanto il dato tecnico. È il dato squisitamente politico. La Corte di Strasburgo è la stessa che, pochi giorni fa, ha condannato l’Italia per le violenze al G8 di Genova e in particolare per la tortura alla scuola Diaz, e per non aver ancora introdotto il reato di tortura nell’ordinamento italiano. Le conseguenze polemiche della vicenda le ricordiamo tutti, con il presidente del Pd Matteo Orfini che, via tweet, rivendicava una lunga militanza contro la nomina dell’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro alla presidenza di Finmeccanica, la risposta di Renzi che si dichiarava smanioso di portare in aula il reato di tortura, e la vicenda finita nel dimenticatoio da cui non imbarazzerà più nessuno, essendo la responsabilità politica e di posizione di De Gennaro e di molti altri oggetto di quieta e silenziosa consapevolezza ormai da oltre un decennio. Con Contrada, invece, il problema è risolto alla radice: nessuno si è scandalizzato, nessuno ha twittato, nessuno ha detto niente. Il personaggio, dicevamo, è controverso, eppure la stessa corte, a pochi giorni di distanza, ha condannato lo stesso paese, l’Italia, a pagare per lo stesso capo di accusa, cioè la mala giustizia. Che evidentemente non è uguale per tutti.
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