Criminalità

Benvenuti in Versilia, tra un mancato linciaggio e la polizia che spara

13 Agosto 2015

Ricapitoliamo, che in questa storia i dettagli sono importanti.

Raccontano i media locali e nazionali che sabato 1 agosto in tarda mattinata un uomo vestito con una pettorina colorata e parrucca si stava furtivamente introducendo in una villa nel comune di Camaiore.

Camaiore si trova in Versilia, tradizionale zona del turismo estivo, e quello popolare, e quello medio-alto borghese, fino ad arrivare ai ricchissimi russi e no che popolano la vicina Forte dei Marmi. È il primo sabato d’Agosto, Lido di Camaiore è piena di gente. Il presunto ladro, vistosi scoperto da una pattuglia della polizia, raggiunge i complici a bordo di un’auto e scappa verso il lungomare, zona dello struscio, dove avviene l’inseguimento – da Far West, come dicono i media – a cui partecipano diverse auto. Uno dei ladri (Angelo Riviera, di una famiglia piemontese, origini sinti) viene arrestato, dopo aver resistito ad un tentativo di linciaggio, mentre due riescono a scappare. C’è uno speronamento, in pieno centro, di una località turistica. E vengono sparati dei colpi. Da chi? Il comunicato ufficiale della questura è “estremamente chiaro e faceva riferimento soltanto a spari esplosi dai poliziotti”, racconta Il Tirreno (uno dei quotidiani locali) in edicola venerdì 7 agosto, salvo poi elencare testimonianza varie che vanno in un’altra direzione e sparando un titolo a tutta pagina “Per il pm i banditi erano armati”. E l’altro quotidiano La Nazione scrive il giorno dopo, “convinzione che però non è per il momento supportata dalle prove visto che non sono state trovate né le armi né i bossoli”. Per ora quindi, e sono passate quasi due settimane, la versione ufficiale dice che, a differenza del tanto evocato Far West, gli sceriffi locali hanno sparato per primi e per unici, anche se sui media l’ambiguità regna sovrana. Ed infine, nessuno sembra chiedersi se davvero un inseguimento del genere, con i rischi che comporta, fosse la migliore ipotesi. Vale davvero la pena mettere a repentaglio la vita di decine di persone su un affollato lungomare per catturare tre ladri?

Questa è una storia che si fa spia varie altre storie, e a quasi due settimane dai fatti, con il can-can mediatico che si è calmato, vale la pena ritornarci proprio per mettere in fila queste altre storie. Come l’immagine forte della villeggiatura e delle ferie, come spazio sacro, altro rispetto allo stress della città, non violato dalle paure e le insidie della città e della vita quotidiana in genere. Spazio che è stato violato dal “pomeriggio da cani versiliese” (devo aver letto o sentito quest’espressione da qualche parte, o forse mi sono immedesimato nei giornalisti locali e l’ho fatta mia), e che rimanda ad altre immagini, come quelle evocate da uno dei testimoni: “Abbiamo pensato ad un attentato dell’Isis perché abbiamo ancora negli occhi le immagine della spiaggia insanguinata in Tunisia” (proprio così, refuso incluso, sempre sul Tirreno). Spazio che del resto chi abita in Versilia sente violato già da un pezzo, e i giornali locali sono pieni di storie di furti, estorsioni in questa zona presunta idilliaca del nord est della Toscana: ancora il Tirreno racconta in una due pagine il 5 agosto che un pittore (l’americano Andrea Wielawski) dopo una serie di furti nella sua abitazione – l’ultimo, mentre traslocava –  ha deciso di lasciare, dopo 35 anni, la tranquilla Pietrasanta dove non si sente protetto per andare a vivere in Kentucky (dove, parole sue, “almeno se qualcuno ti entra in casa gli puoi sparare senza passare i guai che passeresti qui”). L’immagine di una Versilia in preda al crimine non sembra però convincere tutti, c’è per esempio il Sindaco di Seravezza che va “controcorrente” sostenendo che no, la Versilia “non è il far west” (Tirreno del 7 agosto).

In questa storia fa capolinea anche la paura per gli zingari.  Nel modo in cui alcuni giornali hanno coperto questa storia (per esempio, Il Secolo d’Italia) la parola Rom la fa da padrone. Il sindaco di Pietrasanta se ne sarebbe uscito con un laconico: “Sono zingari e basta. Punto”. Il Tirreno (3 agosto) nota come i criminali siano “Italiani appartenenti al gruppo di nomadi Sinti che di nomade ormai ha solo il pendolarismo del reato”. Ironia da quattro soldi a parte, e uso della parola nomade che è un po’ fuori posto, almeno qui si nota che sono italiani. Peraltro uno dei presunti ladri (gli altri due, per ora, non si sa chi siano) è Sinti, i quali, basta cercare su wikipedia, non sono Rom. I Sinti abitano in Italia da centinaia di anni. Provate ad immaginare lo stesso crimine commesso da un arbëreshë o da un discendente di una famiglia sefardita arrivata in Italia nel 1492. Difficilmente si sarebbe anche solo accennato all’appartenenza etnica.

E poi c’è il tentativo di linciaggio, che naturalmente non è niente di inusuale in situazioni come questa. Ma che non è neanche troppo inusuale nella storia: se recentemente, grazie ad un libro di Enrico Deaglio, si è tornati a parlare dei linciaggi negli Stati Uniti (specie al sud) tra otto e novecento, anche nelle cronaca italiane dell’epoca si trovano regolarmente episodi di questo tipo, ed uno dei grandi rimossi dell’Italia del dopoguerra è proprio il linciaggio nel settembre 1944 dell’ex direttore di Regina Coeli Donato Carretta. Non sono passati secoli. Sabato 1 agosto la folla inferocita si è fermata naturalmente molto prima, ma l’istinto del farsi giustizia da soli, del voler assicurare il criminale alle proprio mani prima che a quelle della giustizia è ancora molto forte.

Intanto due mostri su tre sono stati sbattuti in prima pagina, uno sanguinante sfuggito al linciaggio, uno comicamente corrente sulla spiaggia, in un piano americano distribuito a tutte le questure d’Italia. La caccia all’uomo probabilmente continua, anche se i media non ne parlano. La sicurezza dei bravi cittadini è garantita. La polizia non sta a guardare.

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