Agroalimentare

Agromafie e caporalato: fenomeni criminali in crescita esponenziale

7 Maggio 2023

E’ stato pubblicato il VI Rapporto agromafie e caporalato, ricerca imprescindibile sul tema che viene pubblicata ogni due anni. Ne ho parlato con Jean-René Bilongo, Capo Dipartimento Inclusione e Legalità della FLAI- CGIL [Federazione Lavoratori Agro Industria] e Presidente dell’Osservatorio Placido Rizzotto che cura il volume.

Jean-René, anzitutto vorrei che tu raccontassi ai lettori di GLI STATI GENERALI qualcosa della tua storia.

Ho 47 anni, sono arrivato in Italia tra gli ultimi giorni del 1999 e i primi del 2000. Sono nato nel cuore dell’Africa, in Camerun, in una famiglia dignitosa nella sua indigenza, in una fratria di sette. Come tantissime altre famiglie, abbiamo attraversato dei momenti difficilissimi in seguito allo sbriciolamento delle nostre fragili certezze che ci fece piombare nella miseria e nella disperazione in conseguenza dei traumatici aggiustamenti strutturali operati dalle istituzioni finanziarie di Bretton Woods.

Pensai di esplorare la via dell’emigrazione. Un’odissea che tengo invalicabile nel mio foro interno. La mia vita di immigrato iniziò a Castel Volturno, con il lavoro casuale alla giornata nei campi. Ho raccolto pomodori, angurie, patate. Ho fatto il mandriano in un’azienda bufalina. Con il tempo, partendo da un’esperienza maturata nella dialettica di gruppo e una certa inclinazione ad aggregare agibilmente nel polo sussidiario del Centro Fernandes, mi ritrovai presto ad avere ruolo e voce in una vasta galassia diasporica che ricomprendeva migliaia di subsahariani, magrebini, albanesi, europei dell’est, ecc. Ricordo ancora il giorno in cui andai in Prefettura a Caserta per espletare gli adempimenti del mio primo Permesso di Soggiorno. Ero uno dei 700mila beneficiari della regolarizzazione del 2002. Ricordo il giorno in cui fui convocato in Prefettura per gli adempimenti. L’Ispettore di Polizia addetto alla verifica dei documenti non ci credeva che non avessi il Permesso di Soggiorno. Il suo stupore era comprensibile perché mi ponevo in maniera esuberante nelle rivendicazioni.

Il primo giornalista che ebbi la fortuna d’incrociare fu Toni Mira, inviato di punta del quotidiano L’Avvenire, da sempre attento a cogliere e a dare cittadinanza mediatica a quello che si muove nelle geometrie migranti. Era nel 2002. Tuttora mi sento legato a Toni da grande affetto e stima.

Mi piaceva partecipare alle mobilitazioni, alle iniziative anche per impregnarmi di questioni e tematiche apparentemente lontane dal mio mondo.

Così sono cresciuto civilmente partecipando a tante le cause come l’ambiente, la scuola, il lavoro, la riqualificazione del territorio, la cultura e ovviamente l’inclusione dei migranti. Mi ero spinto sino a organizzare momenti di confronto politico trasversale sulla realtà migrante del casertano e del Litorale Domitio in particolare. L’approdo di tutto questo tracciato è stato la CGIL in quanto sponda naturale di tante istanze sociali. L’irruzione dei temi dello sfruttamento e del caporalato tra le emergenze sociali del Paese rientra in questa cornice e la FLAI ne è stata il baricentro.

Questo racconto ti accredita come un testimone di quanto poi oggi vivi nell’impegno sindacale. La prima considerazione che ti faccio riguarda l’importanza del Rapporto agromafie e caporalato ormai giunto alla sua sesta edizione. Si possono progettare interventi legislativi, sociali, culturali di contrasto a fenomeni così gravi e diffusi come le agromafie e il caporalato, però c’è la necessità di conoscere e sapere esattamente numeri e geografie del fenomeno, ricordando che la raccolta dei dati è difficile e complessa.

Il Rapporto agromafie e caporalato ha proprio questa finalità: far crescere consapevolezza, partendo da dati raccolti in chiave epistemica con gli strumenti della metodologia scientifica. Vogliamo rendere queste conoscenze patrimonio della collettività. Le formule sono volutamente semplificate nella loro complessità rispetto a quelle classiche della ricerca scientifica. Il nostro è uno strumento di conoscenza del fenomeno che vuol rappresentare la realtà fattuale con una fotografia nitida che scattiamo puntualmente da dieci anni. A ogni edizione, realizziamo dei focus territoriali con lo scopo di appurare che non è una realtà circoscritta ad alcune aree del paese, come vuole un certo pregiudizio concettuale, ma investe l’Italia nei suoi quattro punti cardinali. Cerchiamo poi di accendere i fari su alcune criticità e condizioni peculiari. Nelle sue ultime due edizioni, il Rapporto si è focalizzato sullo sfruttamento delle donne in agricoltura che non di rado assume anche i connotati degli abusi sessuali, oltre alla violenza. Cose di cui la comunità civile non sempre è edotta.

La raccolta dati è agevolata dal radicamento capillare della FLAI. Coinvolgiamo i referenti nostre strutture territoriali, i delegati, gli attivisti e anche gli attori della sussidiarietà sociale e le loro reti. La stessa formula viene applicata agli attori istituzionali laddove possibile. Il Rapporto agromafie e caporalato indaga le diseconomie e le incrostazioni che contrassegnano il lavoro nel comparto agroalimentare.

Vogliamo valorizzare le tante soggettività che possono avere un ruolo in questa lotta. Ecco perché nel VI Rapporto, abbiamo interpellato la FCEI- Federazione delle Chiese Evangeliche Italiane per declinare il ruolo delle comunità cultuali nell’ottica del contrasto. L’Osservatorio Placido Rizzotto ha un mandato preciso dalla FLAI- CGIL: allargare la trincea, stringere nuove alleanze, costruire ponti per avere coordinate ampie nella lotta contro l’idra dello sfruttamento. E’ questa la trincea della solidarietà sociale che è un patrimonio democratico enorme.

Il fenomeno è in crescita esponenziale rispetto al bilancio complessivo degli affari in Italia, al numero di lavoratori coinvolti. Tutto questo in un momento di stagnazione economica. Sembra una contraddizione e invece c’è una precisa correlazione tra questi due fenomeni. L’economia non cresce e si sviluppa il lavoro malsano.

Non è possibile perseguire obiettivi di sviluppo e crescita facendo leva sul lavoro malsano o schiavistico, violentando il lavoro. Quando si superano le crisi le persone rimaste indietro non recuperano.

Il quadro è difficile, precipitato a partire dal 2008 con la crisi di Lehmann Brothers e i suoi effetti a cascata sulle economie di tutto il pianeta e a pagarne il prezzo più alto è sempre la classe lavoratrice. Lo sfruttamento del lavoro trova linfa in queste crepe.

Non possiamo stare semplicemente a guardare. In agricoltura, su un bacino complessivo di un milione duecentomila occupati circa, c’è una vasta area del disagio occupazionale che computa, stando alle nostre stime, 230mila persone, tra le quali alcune con reddito annuo inferiore all’assegno sociale e altri addirittura con meno di 2100 euro all’anno. Parliamo di una questione che investe sia gli autoctoni che i migranti. Ed è in questa cornice che s’inserisce il tema del lavoro para schiavistico. La cronaca tracima di notizie inquietanti. Dalle Langhe alla Piana di Sibari, dalle campagne del Friuli alla Sicilia, passando per l’Agropontino, il Metapontino, la Capitanata, il quadro è deprimente.

Attenzione però. Guai a pensare che tutta l’agricoltura italiana sia insudiciata da queste incrostazioni. Ci sono tantissime realtà produttive, e sono la maggioranza, assolutamente rispettose del lavoro. Ma diciamo pure che la polvere non va nascosta sotto il tappeto. I consumatori sono sempre più attenti. I prodotti agroalimentari italiani sono già accusati di essere sporcati dallo sfruttamento anche là dove non lo sono. Basta leggere i servizi fatti nei media stranieri. E’ anche una questione di concorrenza. Non la si può fare al ribasso scarificando i diritti di chi lavora. La sostenibilità dei processi produttivi è un valore ampio che non può che partire dalla valorizzazione del lavoro che a sua volta è governato dal Contratto Collettivo. Non perdiamo di vista che il Contratto Collettivo nell’ordinamento è fonte di diritto.

Le criticità sono tante. Spaziano dal sotto-salario agli orari eccessivi, la non osservanza delle disposizioni su salute e sicurezza alle vergognose condizioni di vita negli accampamenti rurali informali. Non è un caso che siano spesso prospicienti ai grandi distretti agricoli. La sensazione è che siano consapevolmente tollerati per la loro funzione di serbatoi di persone da spremere come limoni. Non lo si sa, ma l’esercizio del sindacato di strada ci permette di intercettare tanta sofferenza in quei luoghi. Per dirne una, cominciano ad affacciarsi gravi patologie come i tumori probabilmente per l’esposizione prolungate ai pesticidi. Parliamo di persone che lavorano spesso senza dispositivi di protezione individuale. In prospettiva, potrebbe verificarsi una lievitazione di situazioni del genere. Ecco perché dobbiamo agire.

Pensiamo anche al futuro di questi lavoratori, alle loro pensioni. Hanno redditi di 3000, 4000 euro l’anno. Che ne sarà del loro futuro anche sul piano pensionistico? E i loro figli? Sono tutte questioni che toccano la collettività.

Torniamo al testo. C’è anche un contributo originale a cura di Paolo Naso, sociologo dell’Università della Sapienza da sempre attento alla rilevanza sociale dei fenomeni religiosi. Racconta il fattore religioso e la sua importanza sulla lotta al caporalato…

Quest’attenzione nella nostra organizzazione c’è ed è ovvio che è anche figlia di accortezze soggettive che diventano opportunità da valorizzare.

Le comunità di fede fanno tanto sul piano sociale e possono essere una leva straordinaria contro gli abusi sul lavoro. Tra gli immigrati molti fanno riferimento ad ubbidienze cristiane diverse da quella cattolica. Se le coinvolgiamo nella nostra lotta, non raggiungiamo il nostro obiettivo più velocemente? Un conto è che si distribuiscano volantini sullo sfruttamento, tutt’altro conto che un leader di comunità di fede dica lui delle parole sulla questione. Da questo punto di vista, il percorso della FLAI- CGIL è cominciato nel 2014 per costruire sinergie. Con la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia di strada ne abbiamo fatta. All’ultimo “Premio Jerry Masslo” prima della pandemia, avevamo promosso un momento intenso di confronto con le rappresentanze dei vari credi alla presenza di Maurizio Landini.

Per tornare alle Chiese Evangeliche, sono minoranza ma sono anche attori sociali rilevanti. Abbiamo delle sponde straordinarie sul campo con la Chiesa Cattolica soprattutto attraverso le Caritas, possiamo farlo anche con le aggregazioni islamiche. Tutti possono dare un contributo perché i dati su questo ambito di vita sono chiari.

Ultima domanda anche questa biografica. Sei anche presidente dell’Associazione Jerry Masslo. Hai maturato una passione per quest’uomo, martire dell’immigrazione in Italia. La sua morte nel 1989 ha consegnato all’Italia la consapevolezza che dopo un secolo in cui siamo stati un paese di emigrazione, ora siamo un paese di immigrazione. Vedendo la sua storia che ormai ha 30 anni, morto nelle baracche di Villa Literno, vien da dire che la storia non è andata avanti per nulla. C’è qualche segnale di speranza? Guardando a questo arco storico tu vedi che qualche luce si è accesa? C’è qualcosa che può autorizzarci a pensare che questa lotta alle agromafie e al caporalato ha prodotto qualche risultato?

Ci sono tante resistenze, ci sono parecchie reticenze. Il risultato più rilevante che c’è stato in questa lotta negli ultimi quindici anni è che è diventato un patrimonio diffuso che coinvolge ormai tanti cittadini. Ci sono corsi di laurea, associazioni, gruppi…una battaglia che coinvolge tantissime realtà e cittadini. L’allargamento della trincea permetterà il crollo di altre reticenze. L’Italia ha mostrato di saper reagire, abbiamo una legge straordinaria [n. 199 29 ottobre 2016]. Siamo l’unico paese occidentale che ha definito lo sfruttamento lavorativo e si è dotato di un’ottima legge di contrasto. La lotta che abbiamo sviluppato in Italia è oggi valorizzata in Europa con la clausola della condizionalità sociale nella Politica Agricola Comunitaria. Abbiamo insegnato qualcosa all’Europa partendo dalle nostre difficoltà. L’Italia merita fiducia come diceva Giorgio Napolitano. Sa reagire. La prova è che ne stiamo parlando, quante trasmissioni, quanti libri, quanti articoli, quanti ragazzi nelle scuole vengono coinvolti. Le mense scolastiche crescono nella consapevolezza e stanno attente agli acquisti. La questione si è molto allargata.

La classe politica cambia a seconda delle stagioni, ma penso che questa battaglia stia dando dei frutti. L’Italia si è impegnata a stanziare 200 milioni del PNRR per il superamento dei ghetti. C’è ancora molto da fare in ordine alla prevenzione ma riusciremo a conseguire anche quest’obiettivo. Non può essere diversamente.

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