Criminalità

Se un agguato davanti alla facoltà di Giurisprudenza a Napoli non fa notizia

18 Maggio 2015

Non auguro a nessuna madre di sentire in tv la notizia di un ragazzo ucciso in pieno giorno a pochi passi dalla facoltà frequentata dal figlio.

Eppure stamattina tantissime madri napoletane devono aver fatto la stessa cosa: chiamarlo subito per chiedergli come è andata la lezione, e sentirsi rispondere un tranquillizzante “tutt’appost” da un’aula vociferante.

Ore 11:00, via Porta di Massa, la strada che per molti studenti è il prolungamento di via Mezzocannone fino al mare ma soprattutto la sede della facoltà di Lettere e Filosofia e del nuovo edificio della facoltà di Giurisprudenza. Nell’androne di un palazzo di fronte alla facoltà, angolo tra Porta di Massa e via Chiavettieri al porto, viene freddato con un solo colpo alla testa Gennaro Fittipaldi, 24 anni, precedenti per estorsione e droga, un’evidente esecuzione di camorra. In pochi minuti in strada si scatena il panico: gli studenti che hanno sentito lo sparo dalle aule si affacciano e corrono in strada, arrivano polizia e carabinieri, e subito dopo giornalisti e fotografi. L’incontro con i parenti è agghiacciante: “Non dovete fotografare niente, il giornale non serve. I giornalisti non li vogliamo. Noi non siamo nessuno. Se eravamo qualcuno non ci uccidevano”. L’ultimo ad arrivare e ad andarsene è il furgone della polizia mortuaria del comune di Napoli.

Dalle aule sentiamo per molto le sirene dell’ambulanza, poi quelle della polizia. Si chiacchiera e ci si scandalizza. Periodo violento, di nuovo. E subito si ricorda la strage di venerdì scorso, quando un folle a Secondigliano dopo aver ucciso cognata e fratello ha iniziato a sparare dal balcone in un’affollatissima arteria di traffico della periferia uccidendo altre due persone, un tenente della polizia municipale e un passante sullo scooter.

Ma niente, la notizia di oggi non sfonda nelle prime dei giornali e dei tg come quella del fine settimana. E non temete: non vi toccherà sorbirvi sulla bacheca facebook interminabili appelli alla calma contro la violenza. Continuerete a non sentire nessuno dei candidati presidente alle regionali pronunciare una volta, una sola, anche per sbaglio, la parola camorra. E soprattutto appena partite le volanti nello stesso angolo dell’agguato sarà tornato il solito parcheggiatore abusivo “di stanza” lì. Ecco, chissà se lui ha visto qualcosa, dato che di quella strada conosce anche il numero dei mozziconi di sigaretta a terra. Purtroppo sono quasi sicuro che non servirà a nulla chiederglielo.

Perché a Napoli funziona così: un folle che spara all’impazzata fa notizia, la camorra no.

Ci penso e ci ripenso mentre salgo Mezzocannone tornando a casa. Un po’ perché ti chiedi sempre: e se la vittima avesse reagito e ne fosse nata una sparatoria, e io mi fossi trovato lì proprio in quel momento? Dopo tutto questa volta non era solo possibile, ma anche probabile. Come quella volta che spararono tra la folla nella stazione di Montesanto di fronte alla scuola: allora era pomeriggio e a perdere la vita fu un passante romeno. O come quando nel mio comune, Casoria, in un inseguimento tra una moto e un auto (nessuna delle due della polizia, chiariamoci) parte una raffica di mitra (manco una pistolettata, chiariamoci) e colpisce Andrea Nollino, mentre apriva il suo bar. Sono morti così, scasualmente, come si dice in dialetto napoletano.

E’ quello che fa andare in tilt molti napoletani: la scasualità. “Perché diciamocelo, finché si ammazzano tra di loro…” E’ il sintomo più evidente di una città così malata da accontentarsi di sapere che gli omicidi abbiano una ragione, pur di crogiolarsi in una retorica giustificazionista che va dalla crisi al nord affamatore. Forse non è questo il momento né la sede per una riflessione simile, ma trovo profondamente significativo che questa volta sia successo tutto proprio davanti alla facoltà di Giurisprudenza della più antica università pubblica d’Europa. Quella facoltà i cui studenti (futuri giuristi) parcheggiano tutti i giorni i motorini sul marciapiede, occupandolo, compresi i posteggi delle bici (“Ma tanto nessuno ce l’ha”) e ostacolando l’ingresso (“Non ti preoccupare si passa”). Ah, e ovviamente pagando il parcheggiatore abusivo (quello di sopra) nonostante il comune gli abbia messo a disposizione posteggi gratuiti nel vicoletto accanto: “Ma là mi fottono il bauletto”, che poi manco ce l’hai “eh, me l’hanno appena fottuto fra”. Gli stessi che hanno sempre fumato all’interno della facoltà, dal terzo piano a salire, perché tanto non ci passa nessuno, gli asmatici se hanno problemi lo dicono e soprattutto non si può interrompere la posteggia. Sono colleghi di quelli di Lettere, che hanno accettato passivamente che i loro seggi alle elezioni universitarie fossero spostati in un’altra sede (risultato: affluenza sotto il 10%) perché nella loro gli antagonisti non glieli fanno aprire.

Insomma, perché ci scandalizziamo: l’università ha smesso da tempo di essere quella palestra di crescita civile e democratica, prima che professionale, che sentite ogni tanto invocata nelle piazze o in Parlamento. Ecco perché un ragazzo napoletano non si sorprende quando viene a sapere che venerdì scorso, mentre quel folle (ormai famoso) sparava ancora, poco prima che arrivasse la polizia, strani personaggi si aggiravano pistola in mano, forse nell’intento di fermarlo. Magari i clan, che gli hanno venduto l’arsenale, volevano rimediare al casino di cui si sentivano in parte responsabili. Se ci fossero riusciti forse a Bellini venerdì sera avremmo sentito qualche amico accantonare anche quell’episodio con un illuminante, nuovissimo adagio: “Finché si ammazzano tra di loro…”.

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