Criminalità
15 gennaio 1993, il maresciallo Lombardo e le manette per Totò Riina
Il maresciallo aveva fonti affidabili che hanno potuto non solo far iniziare le indagini ma indirizzarle a colpo sicuro e fu solo grazie alle sue precise informazioni che la CRIMOR ha potuto mettere a segno l’arresto
Di chi fu il merito della cattura di Totò Riina? Del prefetto Mario Mori e del colonnello Sergio De Caprio o del maresciallo Antonino Lombardo, il comandante della caserma di Terrasini?
Come sempre gli atti processuali, ma non solo, mettono sulla giusta strada. Nelle motivazioni della sentenza del procedimento “Bagarella e altri” pubblicate il 5 agosto dello scorso anno, a questo proposito, è scritto:
«Più esattamente, già alla fine di luglio (del 1992, ndr), secondo la scansione temporale accertata nel processo che vide MORI e DE CAPRIO imputati di favoreggiamento aggravato in relazione all’episodio della mancata perquisizione del covo di RIINA — entrambi assolti con la formula “perché il fatto non costituisce reato” con sentenza emessa dal Tribunale di Palermo il 20.02.2006, confermata in appello e divenuta irrevocabile – e secondo quanto ha dichiarato il Generale MORI al processo BORSELLINO ter, risalirebbe una prima riunione operativa alla caserma dei Carabinieri di Terrasini. Il numero e il livello dei partecipanti denota l’importanza di quella riunione. Erano infatti il presenti M.llo LOMBARDO, all’epoca ancora comandante della locale stazione dei CC, il suo superiore gerarchico, Capitano BAUDO, comandante della Compagnia CC di Carini, nonché il Col. Sergio CAGNAZZO, vice comandante operativo della Regione Sicilia e, per il R.O.S., il Maggiore Mauro OBINU, comandante del Reparto Criminalità Organizzata, il Capitano ADINOLFI, comandante della Sezione Anticrimine di Palermo, il Capitano DE CAPRIO, comandante della I sezione del Reparto C.O.: “Lo scopo era quello di costituire una squadra composta sia da elementi del ROS che della territoriale, che avrebbe dovuto occuparsi in via esclusiva delle indagini finalizzate alla cattura di Salvatore RIINA. Al Mar.llo Lombardo, soggetto ben inserito nel territorio e profondo conoscitore della realtà mafiosa, in grado di disporre di utili canali confidenziali (tra questi, quel Salvatore Brugnano che, successivamente all’arresto del Riina, sarà sospettato dal gotha mafioso – come ha riferito in dibattimento il collaboratore Brusca – di aver contribuito alla cattura del latitante), venne affidato l’incarico di attivare le sue fonti al fine di reperire notizie che potessero essere sviluppate dal ROS, con l’effettuazione delle necessarie e conseguenziali attività di indagine, in direzione della ricerca del boss corleonese”».
Il maresciallo Lombardo, si legge, «disponeva di fonti confidenziali ritenute affidabili. E il territorio in cui il M.llo LOMBARDO operava e intratteneva i suoi contatti con le sue fonti era la zona di Cinisi-Terrasini e dintorni: ossia una zona in cui Bernardo PROVENZANO, per tutta una lunga fase della sua latitanza (fin dalla prima metà degli anni ‘70) aveva letteralmente messo radici anche messo su famiglia, sposando una “cinisara” (Benedetta Saveria PALAZZOLO), come la apostrofa RIINA in una delle conversazioni con la “dama compagnia” LO RUSSO captate al carcere di Milano Opera, rivolgendole peraltro convinti attestati stima affetto (al punto di farne una delle ragioni per aveva voluto bene allo stesso Binnu, cioè a PROVENZANO) anche per fatto che aveva saputo diventare una “corleonese”, dimenticando sue origini, ossia provenienza da territorio che – verosimilmente per essere stato il regno di Gaetano BADALAMENTI, ma anche perché non ci si poteva fidare cinisari – non era cuore di RIINA. Proprio la conoscenza del territorio, delle sue dinamiche mafiose e i suoi confidenti permisero al M.llo Lombardo di raccogliere le prime, ma importanti, informazioni su chi si facesse carico della latitanza dei Riina perché «a fine settembre, nel corso di una nuova riunione operativa non meno riservata della precedente, sempre alla presenza del Capitano De CAPRIO e del Maggiore OBINU, entrambi sotto il comando del Col. MORI, loro diretto superiore gerarchico n.q. di vicecomandante operativo del R.O.S., il M.llo LOMBARDO riferì l’informazione ricevuta dalle fonti, secondo cui era Raffaele GANCI, capo della potente famiglia mafiosa della Noce di Palermo a farsi carico in quel momento, insieme ai suoi figli, di proteggere la latitanza Salvatore RIINA (…) e degne di fede – tanto da farne discendere l’attivazione di una specifica operazione investigativa con l’allestimento di una squadra catturandi, al comando del Capitano DE CAPRIO – furono ritenute le informazioni acquisite alla fine di luglio-primi di agosto sempre dal M.llo LOMBARDO attraverso le proprie fonti, secondo cui era Raffaele GANCI con i suoi figli a farsi carico direttamente di curare la latitanza di Salvatore RIINA: una soffiata che si rivelerà fondamentale, oltre che esatta, per le successive indagine sfociate nella cattura del capo di Cosa Nostra, e che poteva provenire solo da persone che facessero parte dell’entourage dello stesso RIINA o avessero contatti stretti con soggetti che ne facevano parte».
A questo si aggiunge quanto dichiarato, durante processo relativo alla mancata perquisizione del covo, invero l’abitazione, di Totò Riina dopo il suo arresto, dal generale Domenico Cagnazzo, ora in pensione ma nel ’93 vicecomandante operativo della Regione Carabinieri in Sicilia «L’individuazione del covo di via Bernini fu merito esclusivo del maresciallo Lombardo, che portò le prime notizie sui Sansone, e di De Caprio, che le trasformò in indagini operative sul campo. Lombardo era un profondo conoscitore della storia di mafia, e aveva buoni agganci per arrivare alla cattura di Riina».
A riprova esiste una nota del maresciallo Lombardo, datata 29 luglio 1992, quindi successivo alla riunione citata dal Generale Mori, in cui scrive «Fonte confidenziale di comprovata attendibilità ha riferito che in atto la latitanza del noto mafioso Riina Salvatore viene favorita dalla famiglie mafiose della Noce Ganci-Spina e dai fratelli Sansone dell’Uditore». Confermato ancora una volta da Cagnazzo, che partecipò alla riunione, e che nello stesso dibattimento indicato ha ricordato che a Lombardo fu dato l’incarico di attivare le sue fonti. E ha detto che fu lui a dare gli input che poi si concretizzarono nello storico arresto.
Input non di poco conto, tenuto conto che nella nota viene indicato Sansone, il costruttore mafioso che realizzò il residence di via Bernini e fornì la villetta per la latitanza del boss. Per la cronaca, la famiglia Sansone è di nuovo assurta ai (dis)onori della cronaca lo scorso anno quando, scrisse l’ANSA, furono perquisiti «l’abitazione e gli uffici del costruttore Agostino Sansone, arrestato oggi (8 giugno 2022, ndr) insieme al suo collaboratore Manlio Porretto, e a Pietro Polizzi, candidato di Forza Italia al Consiglio Comunale di Palermo, impiegato di Riscossione, accusati di scambio elettorale politico-mafioso. La perquisizione ha riguardato alcuni immobili che si trovano nel complesso residenziale di Via Bernini, lo stesso in cui i Sansone, storici alleati dei boss corleonesi, ospitarono Totò Riina prima dell’arresto».
Una cosa è certa: il maresciallo aveva fonti affidabili che hanno potuto non solo far iniziare le indagini ma indirizzarle a colpo sicuro e fu solo grazie alle sue precise informazioni che la CRIMOR ha potuto mettere a segno l’arresto, anche se rimangono alcune domande cui non si è mai data risposta. Ad esempio se avessero lasciato proseguire il tragitto dell’auto con Riina e l’avessero seguita per alcuni chilometri, dove sarebbero potuti arrivare? Si sarebbero trovati a una riunione della Cupola cui era atteso il Riina e avrebbero consegnato allo Stato un bottino maggiore? E perché diversi ufficiali dell’Arma, tra questi De Caprio e il generale Delfino, hanno fatto di tutto per attribuirsi il merito esclusivo della cattura? A chi faceva comodo la delegittimazione del maresciallo Lombardo anche a fronte di evidenze inoppugnabili?
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