Consumi
Spendiamo più in vizi che al supermercato
Sono sempre più insofferente a quella retorica da convegno di marketing, da inaugurazione di nuovi format distributivi che straripa sui giornali e in televisione, che descrive il consumatore come un soggetto sempre più intelligente, la retorica delle ricerche di mercato da cui emerge il profilo di un consumatore attento all’ambiente come San Francesco, innovativo come Steve Jobs, ecumenico come Gandhi, risparmioso come Paperon de’ Paperoni e navigatore digitale come un Soldini del web.
Quelle analisi mi impressionano a tal punto che, sentendomi inadeguato rispetto agli altri consumatori, vado all’Esselunga con il Tractatus di Spinoza sotto braccio, mentre la Recherche di Proust è il mio compagno di scorribande all’Ikea.
Realizzo che sono l’unico con un libro sottobraccio, sicuramente perché gli altri clienti sono molto più evoluti di me: leggono solo ebook in lingua originale.
A salvarmi da questo senso di inadeguatezza consumistica accorre il flashback dell’ultima visita pre convegno che ho fatto al supermercato. Mi aggiro per gli scaffali osservando alcuni clienti studiare attentamente le etichette delle fette biscottate, per capire l’origine del grano, la località dello stabilimento, la riciclabilità della confezione. Poi mi avvicino a drappelli di perfetti sconosciuti che lodano il packaging ultraleggero dell’ultimo additivo smacchiante, che ha un impatto ambientale negativo: più ne compri meno inquini! Nessuno ha il coraggio di chiedersi a che serve un additivo smacchiatore da aggiungere ad un detersivo che dovrebbe smacchiare di suo. Infine, sbircio nello smartphone di altri clienti che consultano forum on line per scoprire se la tal pasta di acciughe pone dei problemi per chi è intollerante alla fave di fuca. Li seguo nel loro vagabondare caoticamente attorno agli scaffali.
Poi, poco prima di mettersi in fila alle casse, li vedo sbandare inesorabilmente verso la zona delle acque minerali. Perché gli Italiani sono i maggiori consumatori di acqua minerale in Europa. In questo reparto, come bambini in un luna park , perdono ogni inibizione. Comprano dozzine e dozzine di bottiglie di acqua poco più che potabile infagottata in copertina di plastica. Non sono guidati da criteri etici, ma quasi esclusivamente dalla promozione in corso. Lo dicono i dati di vendita, i clienti scelgono in base alla promozione del momento. Se ne infischiano di imballaggi riciclabili e impatto ambientale. Poco meno 10% del trasporto di beni alimentari è trasporto di acqua minerale. Se ne infischiano di livelli di sodio e sapore. Fanno una distinzione solo tra acqua frizzante e acqua naturale. Esaurito questo momento di euforia vanno alla cassa e pagano. Poi, escono alla luce del sole, in una mano una leggera sporta di moralissimi e costosissimi prodotti bio a basso impatto ambientale, nell’altra poco più di 9 kg di acqua potabile suddivisa in 6 bottiglie di plastica ad altissimo impatto ambientale pagata centinaia di volte di più di quella del rubinetto.
Di fronte a questo consumatore tanto contraddittorio, il cinefilo che è in me pensa a Joker, il protagonista di Full metal jacket, che sull’elmetto espone il simbolo Make Love Not War accanto alla scritta Natural Born Killer per esprimere la “dualità dell’essere umano”.
Se il consumo di acqua minerale contraddica l’ottimismo delle ricerche di mercato oppure sia l’ultimo rifugio del piacere consumistico fine a se stesso o più semplicemente esprima l’irriducibile dualità dell’essere umano è una questione aperta. In fondo qualunque acquisto, può essere visto come dettato dalla più profonda razionalità oppure stigmatizzato come stupido, indipendentemente che si tratti di golosissimi wurstel ripieni di cose di dubbia moralità gastronomica o di carissimi prodotti bio, di cui è dubbio che siano davvero più sani.
Ma non si tratta di giudicare come le persone spendono il proprio denaro. Si tratta di capire perché certi consumi siano sistematicamente ignorati dalle ricerche. Esimi sociologi sono pronti a spiegare il calo degli acquisti alimentari con la maggiore spesa per l’elettronica di consumo. Amministratori delegati di aziende commerciali di prodotti alimentaei sono trattati come guru sul cosa vuole la gente. Nessuno però ha il coraggio di mettere in relazione consumi socialmente accettati con altri socialmente condannabili, come il gioco d’azzardo, gli stupefacenti e la prostituzione, anche se questi ultimi due sebbene illegali sono stati inseriti nel calcolo del Pil. Eppure queste tre forme di consumo fatturano ogni anno oltre 150 miliardi di euro, più di quanto gli italiani spendano in tutti i supermercati e gli ipermercati di Italia. Il gioco d’azzardo vale circa 90 miliardi, la prostituzione fattura intorno ai 40 miliardi, 100 volte Eataly, la droga intorno ai 30.
Il gioco d’azzardo è cresciuto negli ultimi anni a ritmi del 25% all’anno. Insomma, non si tratta di un fenomeno arcaico. Il gioco d’azzardo è molto più rappresentativo di molti altri cobsumi emergenti come il biologico. In concreto, una nuova lotteria cannibalizza in termini di monetari la spesa in frollini delle famiglie italiane.
Vista così quei discorsi da marketing tornano ad apparirmi stucchevoli. Basterebbe poco: intendere il gioco d’azzardo come l’antenato della gamification, droga e prostituzione come tristi esempi di shopping esperenziale.
Allora penso che la dualità dell’uomo moderno di fonte al consumo è magnificamente illustrata da Dino Risi nell’episodio Vernissage del mitico film i Mostri.
In questo episodio, Ugo Tognazzi interpreta il capo reparto in una fabbrica che produce Fiat 600. A fine turno ritira la propria, che pagherà a rate. Appena sedutosi dentro, fissa sul cruscotto il magnete con la foto di moglie e figlio con la frase: Attento, non correre, ti aspettiamo. Poi sgomma uscendo dallo stabilimento, dopo qualche chilometro si ferma per far salire una prostituta, con cui contratta un prezzo più basso perché può consumare in auto invece che, come in passato, in una camera d’albergo.
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